Era tutto un gioco: intervista a Gio Forbice

Tra i temi e i trend fashion (e non) dell’ultimo anno, quello relativo al Y2K è stato uno dei più ridondanti. Ma cosa si intende per Y2K in ambito fashion? Si intende uno sguardo nostalgico ai prodotti e ai look che sono stati più presenti durante gli anni 2000: crop top, denim a vita bassa, collanine con perline, occhiali con montature spropositate e perché no, infradito abbinate a pantaloni baggy e cinte borchiate. L’estetica Y2K si interseca poi con un’altra tendenza contemporanea che ha visto l’affermazione di cuffie e macchinette fotografiche analogiche come accessori cool da sfoggiare in qualsiasi occasione, un po’ come quando da piccoli si passeggiava per strada tenendo in mano uno scintillante Motorola razr o un iPod nano.

Poche persone sono riuscite a rappresentare questa estetica nel proprio lavoro quanto Gio Forbice, un nome che può suonare sconosciuto ai più, ma nell’ambiente dello sneakers design è ben noto. Partito dalla provincia del nord Italia, Forbice è riuscito a lavorare con Hood By Air, Fenty e YEEZY, ricevendo anche la visita di Kanye West, passato dall’Italia per incontrarlo personalmente e capire come la sua visione giocosa potesse sposarsi con l’estetica di YEEZY. Sì, perché se guardiamo al lato fashion (e non solo), gli anni 2000 hanno provato ad esprimere uno spiccato spirito fanciullesco. È impossibile dimenticare le pubblicità di Lelli Kelly e Bull Boys, che, tra luci a intermittenza, rotelle montate nella zona dell’outsole, e accessori come pennarelli e trucchi a completare il packaging della scarpa, hanno pensato bene di vendere un concetto: una calzatura può essere divertente e sregolata. Nonostante per molte persone le vecchie pubblicità delle due aziende italiane sono finite nel dimenticatoio, per Gio realizzare sneakers dall’aspetto childish è sempre stato un punto di partenza.

Da dove inizia la tua storia e come nasce il tuo interesse per calzature e accessori?

«Ho iniziato ad avvicinarmi a questo mondo quasi per gioco. Ricordo che mi piaceva molto customizzare le Converse All Star con delle borchie, così ad un certo punto mi sono messo d’impegno con i miei amici in questo progetto, se così possiamo chiamarlo. Erano i tempi in cui negli anni 2000 andava molto di moda MySpace, era quella la grande vetrina in cui si poteva guadagnare visibilità online. Infatti, è proprio grazie a MySpace che le mie creazioni, quelle Converse contraddistinte da borchie e look vissuti, vennero notate da Sasha Grey.

Foto su concessione di Gio Forbice

In quel momento avevi già un tuo brand? Come si è evoluta la questione con Sasha Grey?

«Sì, in quel momento avevo già fondato il mio brand chiamato FORFEX, non chiedermi cosa significa perché neanche io lo so bene, dovrebbe essere la traduzione del mio cognome in qualche lingua, probabilmente in latino. Comunque, nel 2008 realizzai una collezione esclusiva firmata FORFEX per Sasha Grey, palesemente ispirata alla silhouette e alle componenti di una Converse All Star, come ad esempio la parte del toebox. Di quella scarpa c’erano due versioni, in particolare una era realizzata con materiali dall’effetto lucido nelle colorazioni rossa e viola, caratterizzata da rifiniture di pizzo nella zona del collar.»

Sono stati questi i primi passi mossi da te in ambito fashion? Cosa è successo dopo aver realizzato quella scarpa?

«Diciamo che è accaduto un po’ tutto all’improvviso, perché è sempre così quando è il tuo momento. FORFEX stava andando bene, e qualche mese dopo ho preso quindi un volo per Los Angeles e ho lavorato con Rick Klotz di Freshjive. Anche Luca Benini di Slam Jam si è accorto di me e mi ha aiutato a portare avanti FORFEX per ben sette anni. Per come sono fatto, o meglio, per come è costruito il mio mindset, non riuscivo a stare mai fermo: nel mentre ho lavorato anche ad una collaborazione tra Colette e Hello Kitty, insomma, tante piccole cose che mi hanno aiutato a fare esperienza.»

Foto su concessione di Gio Forbice

L’Italia era per te un posto stimolante o avevi bisogno di guardare fuori dall’oblò?

«Ho sempre guardato all’estero: per me gli Stati Uniti erano il luogo per antonomasia dove ci si poteva esprimere con maggiore libertà. Avevo altre ispirazioni, nel “nostro” paese non c’era moltissimo spazio per la mia creatività un po’ fuori dagli schemi. Ho provato ad emergere sin dall’inizio, spostandomi a New York per lavorare a un progetto cartaceo con il fotografo che ha per anni lavorato con Supreme, Ari Marcopoulos. Ne uscì fuori un bellissimo libro che distribuimmo addirittura da 10 Corso Como a Milano, una vera figata che mi permise di alzare l’asticella in questo mondo. Un’altra tappa che mi ha permesso di farmi notare è stato il rapporto di amicizia che ho stretto con Shayne Oliver di Hood By Air, con cui tuttora sono molto legato. Le collaborazioni con HBA e Opening Ceremony sono stati i primi progetti importanti di cui mi sono occupato a livello internazionale. Con entrambi i brand ho lavorato principalmente alla progettazione di stivali e, secondo me, proprio con Hood By Air, circa 7-8 anni fa, ho fatto una cosa che a quel tempo non faceva nessuno: un ibrido tra la Nike Air Huarache e il classico boot di Timberland, una roba davvero pazza. In America avevo la possibilità di sbizzarrirmi, qui in Italia ero sempre un po’ frenato, non c’era la stessa apertura mentale che pian piano si sta creando al giorno d’oggi.»

Foto su concessione di Gio Forbice

Durante il tuo percorso hai potuto lavorare con grandi menti creative in vari paesi. Qual è il designer che ti ha ispirato di più?

«Vuoi una risposta sincera? Nessuno. Non sono abituato a crearmi dei “role model” all’interno della mia vita, non che ci sia qualcosa di sbagliato nel farlo, ma va proprio contro la mia natura. Rispondo così perché ho provato ad affiancare tante persone per lunghi periodi durante il mio percorso, ma per come sono fatto sento il forte bisogno di avere sempre le mani in pasta in tanti progetti contemporaneamente, non sono uno che vuole lavorare a un progetto e basta, la mia mente è in continua elaborazione, ho bisogno di ritagliarmi la mia libertà creativa e di non avere nessuno come modello. La consulenza è una di quelle cose che mi piace fare di più, è il mio giusto angolo di libertà per esprimermi. Una buona fetta di questa libertà l’ho avuta lavorando con Rihanna. Lei era già da tempo cliente di FORFEX, quindi mi ha proposto di iniziare a lavorare alla collezione PUMA x Fenty dandomi totale fiducia. Invece, nei due anni in cui ho lavorato nella sezione footwear di YEEZY ho imparato a conoscere dinamiche ben diverse. In un’azienda come quella tutto è più complicato e funziona diversamente. Nell’ambiziosissimo progetto portato avanti dalla mente di Kanye West, ho lavorato a moltissime cose che non sempre superavano i vari step e arrivavano sul mercato, ma in un’azienda di quel calibro è una dinamica all’ordine del giorno. Proponevo i miei prototipi che all’inizio piacevano tantissimo a Kanye, poi però sul mercato spesso e volentieri non approdavano mai e venivano archiviati. Mi spiego, lavorare al suo fianco è un po’ come stare su una montagna russa. Magari una settimana prima ti riempie di complimenti per un progetto a cui hai pensato, dopo due giorni quel progetto non viene reputato completo o c’è bisogno di apportare delle migliorie. Ma tutto questo è normale, è quello che succede in una grande realtà. Si punta sempre a estrapolare il meglio da ogni creativo, deve essere tutto perfetto.»

Foto su concessione di Gio Forbice

Parlando del presente, ora stai portando avanti altri progetti. Forbitchescompany, Sicking ma anche molto altro. Da dove nascono e da cosa sono accomunati? Sono una vera ventata d’aria fresca nel mondo del footwear.

«Forbitchescompany, che si chiama così perché Shayne di HBA non riusciva a pronunciare il cognome “Forbice” e lo modificava in “forbitches”, è la dimostrazione che posso comunicare ciò che preferisco tramite le mie creazioni, quando e come voglio, ma non solo: voglio raccontare concretamente quali sono state le reference che per me sono state d’ispirazione nel corso della mia vita. Sono sempre stato un grande appassionato delle action figures e delle loro confezioni, per questo motivo le scarpe di Sicking si presentano all’interno di una confezione di plastica, praticamente come se fosse un Action Man. Ho sempre voluto farlo. Anche per quanto riguarda Forbitchescompany il discorso è molto simile. Mi è sempre piaciuto il mondo dei giocattoli, quindi ho pensato che produrre accessori che sono sempre stati accostati al mondo delle Barbie e delle Bratz e farli indossare a persone “vere” in qualsiasi occasione sarebbe stato grandioso. In qualche modo, questi due brand esprimono alla perfezione la mia indole, mi piace tantissimo fare progetti pazzi che non seguono regole.»

C’è qualche sfaccettatura dell’Italia che ha influenzato i tuoi progetti?

«Una delle poche cose che mi è rimasta impressa a livello culturale qui in Italia è stata la musica dance. Il mio artista italiano preferito è sempre stato Gigi D’Agostino. Allo stesso tempo anche gli ambienti del movimento Gabber, che sono ancora vivissimi nella mia memoria, sono stati di grandissima ispirazione. Infatti, al di fuori dei miei due attuali brand, Sicking e Forbitchescompany, collaboro ancora con artisti e marchi di vario genere per potermi esprimere a mio piacimento. L’ultimissimo progetto l’ho fatto con New Rock, brand spagnolo che è divenuto un caposaldo nell’ambito punk e goth da cui sono molto attratto. Ho deciso di riportare in auge un marchio che è stato messo da parte da molti, ho reinventato lo storico modello 525, quello caratterizzato dalle quattro fibbie per intenderci, l’ho interpretato facendomi trasportare dal mio gusto in una versione con le fiamme e in una argentata, e poi l’ho fatto indossare negli scatti di presentazione della collezione a Tommy Cash: in quelle foto di campagna, scattate da Yulya Shadrinsky, Tommy è ritratto in un minimarket e sul pavimento c’è una bottiglia di vino distrutta, così, perché mi piaceva. Sono queste le cose che mi piacciono, le cose in cui posso sbizzarrirmi, che la gente può reputare “strane” senza alcun apparente motivo. Sin da piccolo ho odiato seguire la massa, e sono state proprio alcune mie esperienze lavorative a farmi realizzare questo. Yeezy ha creato un’omologazione totale con la sua scarpa: il 99% delle persone che indossano le scarpe di Kanye – specialmente le 350 – lo fanno solo per moda, nel 2016/2017 non avere una Yeezy equivaleva a non possedere un iPhone. Le mie reference e il mio modo di ragionare mi hanno portato ad essere così, ad approcciarmi solamente ad alcuni progetti in maniera molto selettiva, voglio fare solo quello che mi piace, e nella moda non è mai detta l’ultima parola, magari un giorno avrò anche io il mio angolo di fama. Guarda i brand che producono calzature con il materiale foam! Chi l’avrebbe mai detto che un materiale utilizzato per scarpe che fino a cinque anni fa venivano indossate dalle casalinghe, potesse mai fare una scalata di questo genere nel mondo moda?»

Foto su concessione di Gio Forbice