Il mondo esports è sicuramente quello che meglio è uscito dalla quarantena dovuta al COVID-19. Quella dei videogiochi competitivi è l’unica sezione sportiva a non essersi fermata, anzi ha conquistato sempre più fan che in passato non avevano mai considerato questa come un’opzione di intrattenimento.
Contemporaneamente, il mondo del gaming tradizionale, ovvero quello non competitivo, è diventato una risorsa importante per gli altri sport e i relativi club che hanno virato sui videogiochi per portare ulteriori contenuti ai propri fan.
Una realtà videoludica particolarmente influente in Italia è quella relativa a FIFA. D’altronde il calcio tira da sempre le fila dello sport italiano, quindi non poteva che essere lo stesso anche per la sua versione virtuale. Per questo motivo, abbiamo parlato con chi questo mondo lo vive tutti i giorni per capire maggiormente i funzionamenti del gaming professionistico e delle eSerie A, e come questo mondo ha avuto impatto sullo sport durante l’ultimo particolare periodo storico.
Il protagonista della nostra intervista è Nicolò Mirra, gamer professionista di FIFA, nonché volto di QLASH e dell’Inter, o per meglio dire Inter | QLASH, essendo la squadra creata in partnership. Insa, come è noto online, è la persona giusta per discutere queste dinamiche, avendo messo la testa nel professionismo già nel 2016, con esperienza in diversi team di pro gaming e club di eSerie A. Nel 2017 infatti è entrato nei Fnatic e conseguentemente nella Roma, in partnership. Nel dicembre 2018 è invece passato a QLASH come pro e talent, mentre da febbraio 2020 si è aggiunto anche il ruolo di influencer e frontman per Inter | QLASH, in aggiunta all’impegno per QLASH.
Ciao Insa. Ci puoi spiegare i passaggi per diventare dei gamer professionisti?
Negli ultimi anni le modalità sono cambiate molto. Prima era diverso. Bisognava partecipare a più eventi possibili per farsi notare come “quello che vinceva di più”. Ora è più strutturato. Prima bisogna cercare di farsi verificare in Weekend League, ovvero facendo 27 vittorie su 30 in questa modalità, una volta all’anno. Giocando in Weekend League si ottengono anche premi, sia in game che per il ranking competitivo: prima si ottiene il verificato, poi punti per il ranking globale. Vari eventi mensili creano una struttura di eventi che culminano in una classifica generale finale, che a sua volta determina i partecipanti al Mondiale.
Al giorno d’oggi non conviene nemmeno accettare contratti semiprofessionistici. Ormai ci sono investimenti solidi e diverse realtà molto ben organizzate che possono supportare gli atleti. Questo perché il mondo professionistico è cambiato enormemente: quattro anni fa il montepremi della stagione era 20.000 dollari, ora è 4 milioni.
Ora abbiamo la eSerie A TIM, la eChampions League, la eNations Cup e tanti altri eventi. Considera che la eSerie A è stato l’ultimo campionato ad arrivare sulla scena europea, anche dopo quello di Malta. Trovo sia importante avere un campionato nazionale, non solo per la visibilità di un giocatore, ma anche per tenere allenati i professionisti.
Come ci si fa notare da squadre e sponsor?
Le vie sono principalmente due: o tramite i social network, pur mantenendo un buon rendimento competitivo, o facendo risultati in continuazione, mostrando buone prestazioni durante le competizioni. Non è necessario vincere e arrivare ai Mondiali, di solito solo un paio di italiani si qualificano, però quantomeno fare bene aiuta. In ogni caso, quasi tutti i giocatori competitivi o validi hanno ormai dei social sviluppati. Senza questi è davvero complesso, perché è più facile notare un giocatore che fa solo un buon risultato ma lo mostra, rispetto a chi vince sempre ma senza dirlo a nessuno. Ovviamente ciò vale per le qualifiche. Una volta che si prende parte a un torneo si è sotto gli occhi di tutti, quindi se non sei forte non andrai comunque avanti.
A proposito, come è cambiato l’impatto dei social media con la crescita nel mondo esports?
Fino a un anno fa saremo stati in quattro o cinque a streammare costantemente nell’ambiente professionistico italiano. Quest’anno c’è stato il boom e quasi tutti ormai fanno stream costanti, e di conseguenza è più difficile farsi notare. L’importante sta nello sviluppare ogni social, da Twitch a Instagram, fino a Facebook, Twitter e YouTube.
Tu fai parte di QLASH, team che a sua volta ha stretto una partnership con Inter per la creazione di una squadra. Ci spieghi come queste partnership formano e portano avanti l’odierna eSerie A?
I club hanno diverse possibilità per creare un team esports. Quando giocavo per AS Roma, ero sotto contratto con Fnatic come loro giocatore di FIFA per XBOX e venivo messo a disposizione della Roma nella creazione del team di AS Roma esports. Questa squadra era quindi gestita da Fnatic, un po’ come quando un’azienda subordina la comunicazione o il marketing a terze parti. Molti club hanno fatto così, in modo da capire come muovere i primi passi in una realtà nuova. Il gioco è calcistico, ma non è calcio. Le due parti poi possono dividersi i costi (salari, viaggi, strutture, hardware, ecc.) o subordinare solamente la parte dei giocatori. A mio avviso, questo è il modo migliore per affrontare la situazione perché ti permette di muoverti su più fronti durante tutta la stagione. Considera che la eSerie A dura un mese, la stagione globale quasi un anno.
Altri club non usano supporti: prendono un giocatore e lo mandano in eSerie A. Altre squadre non hanno addirittura preso nessuno, si sono solo affidati al draft. Ogni squadra lavora in modo diverso. In Inter | QLASH, ad esempio, abbiamo sia FIFA che PES e i giocatori che la rappresentano sono “QLASH_Crazy” come giocatore di FIFA per Playstation e “Kirito Yuuki 00” come giocatore PES, sempre su Playstation. Io per esempio sono giocatore di XBOX (per QLASH), che al momento non c’è per Inter, per la quale invece sono il content creator e frontman. Una voce narrativa. Anche perché al momento la eSerie A è solo Playstation.
Essendo tu giocatore XBOX, come affronti una eSerie A solo Playstation? Hai pensato di passare a Playstation?
Alcuni club me l’hanno chiesto ma ho preferito concentrarmi sulla comunicazione. Un po’ per motivi personali, un po’ perché non sono abbastanza forte su questo gioco. FIFA 20 non si adatta molto al mio stile di gioco, inoltre ero anche demotivato, specie dopo tanti anni a giocare senza sosta. L’opportunità di fare l’influencer con l’Inter è stata perfetta perché amo QLASH e sono interista. Come dicevo prima, l’intersezione col mondo dei social è importante, quindi sto utilizzando questa stagione per muovermi su più fronti. Sto facendo anche il commento tecnico per la eSerie A e il conduttore della rubrica esports per Crossover Universo Nerd. Sto iniziando a sviluppare il mio brand, tra l’altro con un logo che ha diversi elementi provenienti dallo streetwear e un mascotte logo, per lanciare anche progetti paralleli in futuro.
Puoi farcelo vedere?
Hai detto che FIFA 20 non si adatta al tuo stile di gioco. Quanto è complesso competere in maniera professionistica su FIFA?
Molto, per un semplice motivo: FIFA cambia tutti gli anni. Chi è forte in un gioco come Counter-Strike, lo era anche dieci anni fa. In FIFA è diverso perché ogni anno c’è un gioco nuovo, con meccaniche diverse. Poi ovviamente il Messi, il Cristiano Ronaldo di turno c’è sempre. Nel nostro caso è Tekkz. Escludendo quei tre o quattro alieni però, in base al gioco c’è sempre chi fa meglio o peggio. Il cambiamento non è lineare: un anno funzionano i cross, un altro funzionano i passaggi lineari, un’altra volta i tiri da fuori. In base a questo cambiamento, ogni stagione avrà giocatori più forti di altri. A livello competitivo non giochiamo a FIFA, ma al meta di FIFA. Praticamente analizziamo il gioco come una partita a scacchi.
Gli aggiornamenti cambiano tanto l’impatto di una stagione professionistica?
Cambiano tutto, perlomeno se parliamo degli aggiornamenti che vanno a toccare il meta. Può capitare che un giocatore passi dall’essere il primo al mondo a fare fatica. L’anno scorso ad esempio si giocava con i tiri a giro da fuori area, nella seconda ci si focalizzava sui tiri rasoterra e nella terza si utilizzavano i tornado cross. Ogni sezione portava ad avere un leader diverso.
A questo proposito, ogni anno partite tutti da zero quando esce una nuova versione di FIFA?
In passato non era così, perché c’erano i Capture Event, gli eventi in cui provavi il gioco completo per un giorno intero così da creare contenuti prima dell’uscita. Il sistema all’epoca era meno strutturato, quindi a volte venivano invitati anche i pro. Si tratta di un vantaggio piccolo ma ai primi eventi professionistici si faceva sentire. Non succede più dal lancio di FIFA 18. Io ad esempio feci il “Capture Event” di FIFA 19 in quanto parte di EA Gamechangers e da regolamento non mi sarei potuto qualificare ad eventi ufficiali, pena l’estromissione dal programma EA Gamechangers.
Qualche vantaggio lo ha anche chi prova la beta, che dall’anno scorso viene data a chiunque sia verificato. Personalmente però non sono d’accordo, credo che la beta debba essere data a tutti o a nessuno, altrimenti chi si affaccia per la prima volta a FIFA 21 senza aver mai giocato al 20 parte comunque svantaggiato, indipendentemente da quanto forte possa essere.
Quanto dura una carriera professionistica? E come questo influisce sui vostri contratti?
La carriera del gamer di FIFA si rapporta abbastanza con quella del calcio reale, così come il lato contrattuale. Mediamente ogni contratto strettamente di pro-gaming dura circa 1/2 anni con rinnovo, se invece si parla anche del lato talent, il termine può allungarsi.
Per quanto riguarda il corso della carriera nel gaming in generale, questo varia da una disciplina all’altra. Quella di FIFA la paragonerei mediamente al calcio, quindi 35 o 36 anni, tra le più alte nel pro gaming, ma è anche vero che si tratta di un gioco che è competitivo da poco tempo, quindi è difficile tracciare un filone. Dovremo aspettare cinque o sei anni per un campione completo. FIFA è un gioco basato sulla concentrazione, ma compresso in 15 minuti. In giochi come League of Legends un match dura minimo un’ora e talvolta si gioca al meglio delle tre partite, quindi è quasi difficile fare sessioni sotto le tre ore di gioco. Poi dipende anche dalle quantità di azioni di gioco richieste. Nel mio team c’è Reynor, il miglior giocatore italiano di StarCraft. Ha solo 17 anni ma spesso StarCraft ti costringe al ritiro intorno ai 26 o 27 anni per via della quantità di azioni che richiede al minuto, al punto che potrebbe rovinare persino le articolazioni.
C’è un calciomercato associato ai gamer? Se sì, è maggiormente legato ai team o ai club?
Il mercato c’è. Solitamente sono associati ai team, più che altro perché la maggior part dei club indipendenti sono entrati in questo mondo solo negli ultimi mesi prendendosi un player (pagandolo o in prestito) ma non sono attivi nel mercato. In altri giochi come League of Legends ci sono proprio delle sessioni dedicate al mercato, come nel calcio può essere quello estivo e invernale. Su FIFA al momento un giocatore può cambiare squadra in qualsiasi momento ma immagino ci saranno delle future strutture anche di questi momenti.
Hai detto prima che fai anche il commentatore tecnico. Immagino che anche questo ruolo cambi molto rispetto a quello del calcio tradizionale.
Il commento play-by-play è molto similare, ma è comunque realizzato quasi sempre da un ex gamer professionista o comunque uno che in quella determinata stagione non sta competendo. Il commento tecnico è estremamente diverso, incentrato sulla conoscenza del gioco dal punto di vista non calcistico ma di meta. Appunto per questo, il commentatore tecnico dovrà adattarsi al meta di ciascun capitolo.
Ci sono giocatori che tutti devono avere in squadra per vincere?
Certo, ci sono i giocatori meta. A centrocampo bisogna avere almeno due di questi tre: Zidane, Gullit e Vieira, ciascuno nella versione Icon Prime Moments. Allo stesso modo, in attacco ci deve essere almeno uno tra Cruijff, Ronaldinho, Eusebio e Ronaldo (il Fenomeno) nella versione Icon Prime Moments, così Cristiano Ronaldo e Messi nella versione Team of the Year. In difesa invece, Maldini Icon Prime Moments è un must. Chiaramente non parliamo di undici giocatori fissi, perché il tutto varia in base allo stile di gioco, ma solitamente sono tre o quattro i nomi che cambiano. C’è da considerare anche che in ogni partita, giocando a Ultimate Team, è possibile cambiare completamente la squadra, quindi ci si adatta al gioco e ai moduli.
Molte squadre professionistiche hanno virato sul gaming per il proprio content durante la pandemia e la conseguente assenza di sport giocato, usando spesso i propri asset, ovvero calciatori, piloti, ecc. Come avete visto tutto questo dall’interno?
Per noi è utile, visto che molta gente ci ha conosciuto così, perché voleva continuare a supportare la propria squadra, i propri giocatori preferiti, ma ha poi visto quanto fosse interessante il nostro mondo.
Ormai quasi tutte le squadre hanno anche la controparte eSports, nel calcio come in altri sport. Per questo motivo il passaggio è stato veloce: molti erano già preparati con attrezzatura e account. Il gaming in questo periodo ha dimostrato di poter fare sempre la sua parte, perché difficilmente si può fermare completamente. Può essere sempre intrattenente, sia quando si parla di uno scontro tra pro, sia quando è solo per show (un match tra calciatori reali) o quando si mischiano questi due mondi. Si è anche visto come si complementi bene con lo sport tradizionale, perché quello che per noi è lavoro, per i calciatori è intrattenimento e viceversa.
Qual è stata secondo te quella meglio riuscita?
Una delle migliori secondo me è stato l’evento organizzato da EA a livello global che ha coinvolto alcuni club per nazione, inserendo un giocatore per club. Anche la riproduzione del Derby di Milano che abbiamo realizzato con la sfida tra Sebastiano Esposito e Rafael Leão è venuta molto bene.