Era il 1837 quando il sedicenne Louis Vuitton abbandonò Anchay per dirigersi a piedi verso Parigi in cerca di un futuro. Una volta arrivato nella capitale francese egli trovò un impiego presso la bottega del mastro artigiano Monsieur Maréchal e presto prese una decisione che avrebbe cambiato non solo la sua vita ma anche quella delle future generazioni: diventare un creatore di bauli. Dopo diciassette anni d’esperienza come dipendente, nei quali apprenderà i trucchi del mestiere dimostrando un particolare talento, il giovane decide di mettersi in proprio e aprire l’atelier Louis Vuitton Malletier al numero 4 di Rue Neuve-des-Capucines, vicino a Place Vendome.
All’epoca, i principali mezzi di trasporto erano le carrozze trainate da cavalli, le imbarcazioni e i treni e i bagagli venivano maneggiati con scarsa delicatezza e cura, dunque i viaggiatori ricorrevano all’aiuto di artigiani per imballare e proteggere i loro oggetti personali. Consapevole di questa realtà, Louis Vuitton si rende presto conto che era necessario creare un “compagno di viaggio” solido, affidabile e funzionale, ma che andasse incontro anche agli sfarzosi gusti dei clienti più facoltosi. Prima di dare vita al concetto di “baule couture“, il fattore da mettere al centro era però quello della funzionalità, così, dopo vari studi e tentativi, nel 1858 viene prodotto il primo baule: un parallelepipedo dalle misure di 50x50x100 cm costruito con tela resistente e impermeabile, base rettangolare, rinforzi metallici e coperchio piatto anziché arrotondato com’era in uso all’epoca, il che lo rendeva estremamente durevole, agile da trasportare e facilmente impilabile. Tutte queste caratteristiche all’avanguardia fanno si che il successo non tardi ad arrivare e il nome di Vuitton diventa presto molto richiesto tra l’alta borghesia, tant’è vero che Eugenia de Montijo, moglie di Napoleone III, lo nominò suo personale imballatore e costruttore di bauli. Di conseguenza la domanda crebbe a tal punto da spingere Louis Vuitton a inaugurare un nuovo e più efficiente atelier ad Asnières che continuerà a crescere e che tuttora viene utilizzato dal brand per fabbricare i suoi prodotti.
Fino a questo punto la favola sembra perfetta, ma dietro l’angolo vi sono sempre degli ostacoli. Per quanto possa sembrare strano, uno dei problemi che affliggerà maggiormente Louis Vuitton sarà quello della riconoscibilità. Sebbene i suoi bauli si fossero contraddistinti per il lato tecnico, non si poteva di certo dire lo stesso per quello estetico. Il primo modello non godeva infatti di tratti distintivi a livello decorativo, poiché utilizzando una semplice tela grigia chiamata Gris Trianon (successivamente ribattezzata Vuittonite) il focus era rivolto quasi esclusivamente all’aspetto pratico e al mantenimento della sobrietà. Questo però costituì una mancanza d’attenzione verso il rischio di vedere i suoi prodotti facilmente replicati a causa della scarsamente marcata identità del brand. Da allora ci sarà quindi un susseguirsi di tentativi per rimediare alla situazione: nel 1872 Vuitton sostituì il canvas Gris Trianon con una tela a righe rosse e bianche, la quale verrà poi rimpiazzata quattro anni dopo dal motivo Rayée a strisce beige e marroni che resterà in uso fino al 1888, quando comparve per la prima volta il pattern Damier. Malgrado quest’ultimo cominciò vagamente a dare i primi risultati, la svolta vera e propria arriverà soltanto nel 1896 quando, dopo aver rilevato l’azienda del padre, Georges Vuitton inventò l’iconico monogram costituito dalle iniziali LV e da uno schema floreale d’ispirazione giapponese-vittoriana.
Un altro importante accorgimento che sarà brevettato dall’erede di famiglia sarà quello del Tumbler Lock, un innovativo sistema di chiusura a cinque tamburi a molla progettato appositamente per proteggere il contenuto dei bauli dai ladri che viene ancora oggi usato. La leggenda vuole che, per dimostrare a tutti la validità di questa serratura, Georges sfidò pubblicamente sulle pagine di un quotidiano Harry Houdini a liberarsi attraverso il metodo dell’escapologia da uno dei suoi bauli. Purtroppo il celebre illusionista non raccolse l’invito, probabilmente perché convinto di fallire, dato che l’affidabilità del congegno non fu mai messa in discussione.
Alla fine del XIX secolo dunque l’ambito raggiungimento della perfetta funzionalità era arrivato al culmine e risultava ormai difficile aprirsi verso nuovi orizzonti che non fossero quelli della fantasia e della personalizzazione. È infatti in questo periodo storico che l’azienda inizia a mettere tutto il suo savoir-faire a disposizione della stravaganza e dell’eccentricità dei suoi rinomati clienti in cerca di nuove esperienze di viaggio. Gli ordini speciali fanno a gara per ingegno e raffinatezza: è l’epoca dei trasporti moderni, in cui la gente desidera muoversi e poter trasportare oggetti particolari quali strumenti musicali, brandine, cabine doccia e quant’altro.
Abbiamo realizzato parecchi bauli per personaggi eccentrici. Ricordo un cliente cinese che chiedeva un baule per guardare la televisione e prendere il caffè alle cinque, dovunque si trovasse.
Patrick-Louis Vuitton
Negli anni sono stati così ideati numerosissimi modelli diversi tra loro e destinati alle più disparate funzioni, molti dei quali sono stati esposti nel 2016 al Grand Palais di Parigi in occasione della mostra “Volez, Voguez, Voyagez – Louis Vuitton“. Tra questi per esempio troviamo il Tea Case costruito per il Maragià di Baroda Sayyaji Rao Gaekwad III che lo voleva per bere comodamente il tè durante le partite di caccia; il baule armadio-verticale, inventato con lo scopo di trasportare il guardaroba senza dover disfare le valigie grazie alla ripartizione interna in cassetti e appendi-abiti; il Trunk Bed ordinato dall’esploratore Pierre Savorgnan de Brazza dotato di rete, materasso e gambe estraibili che gli consentivano di dormire comodamente nelle colonie francesi; infine il Library Trunk inventato da Gaston Louis Vuitton nel 1927 per Ernest Hemingway, che, confermando la sua passione per le borse, volle un baule con cassetti segreti e comodi ripiani per trasportare tutte le sue cose. Quest’ultimo fu ritrovato dopo una lunga sparizione nei sotterranei dell’Hotel Ritz a Parigi insieme al manoscritto ancora inedito “Festa mobile”, che uscì postumo e divenne uno dei tanti capolavori dello scrittore.
Facendo un passo avanti arriviamo all’era in cui Marc Jacobs assunse il ruolo di primo direttore creativo della maison introducendo nuove sezioni come quella del prêt-à-porter. Tuttavia la valigeria, quindi bauli, valige, borse e tutto ciò che è legato ai viaggi, è rimasto il settore più rappresentativo del marchio. A dimostrarlo saranno le originali interpretazioni di Helmut Lang e Manolo Blahnik per festeggiare i cent’anni del monogram, i quali disegneranno rispettivamente il baule portadischi per DJ e il baule portascarpe ovale. Ancora più emblematici sono però i bauli creati nei primi anni Duemila da due personaggi d’eccezione che sono stati in grado di unire sorprendentemente l’artigianalità e il know-how francese al mondo dell’arte e sì, anche a quello dello streetwear. Finalmente infatti una firma del lusso si apriva nei confronti di alcune sottoculture considerate ancora underground, come quella dello skate, omaggiata nel baule porta-skate da Stephen Sprouse e quella della pop art grazie all’intervento di Takashi Murakami, che reinterpretò il monogram secondo la sua brillante visione Superflat.
Tale pensiero anticipato da Marc Jacobs verrà ripreso e amplificato dal suo successore Kim Jones nel 2017 attraverso una delle collaborazioni più innovative di sempre, quella tra Louis Vuitton e Supreme. Oltre a una selezione di capi d’abbigliamento e accessori tipicamente street, la partnership comprendeva anche il Monogram Malle Courrier 90 Trunk, un rarissimo baule con monogramma rosso e bianco in tessuto spalmato arricchito da Box Logo, finiture in pelle di vacchetta, interni bianchi e rinforzi argentati, il quale ha valore che si aggira intorno ai €100.000.
Oltre a ciò, Louis Vuitton si è aperto anche al mondo dello sport, dove si è ritagliato una posizione di prestigio nella commissione di bagagli destinati al trasporto dei trofei di alcune delle maggiori competizioni, come la Fifa World Cup, le NBA Finals e il torneo mondiale di League of Legends.
Se questo fattore è indice di cambiamento dei tempi, lo è altrettanto il percorso evolutivo intrapreso da Virgil Abloh che, portando la sua multiculturalità, aprirà l’heritage della griffe a nuovi orizzonti. Le sue molteplici competenze nei campi della musica, della sneaker culture e della moda si rifletteranno quindi in alcune delle sue creazioni simbolo: lo Sneaker Trunk, un prodotto pensato per i collezionisti di sneakers; il baule speaker dell’autunno/inverno 2020, che per mezzo della connessione bluetooth trasforma la valigia in uno stilosissimo autoparlante; e il baule valigia monocromatico in pelle arancione con tanto di charm a forma di Swoosh presentato in collaborazione con Nike durante la sfilata della primavera/estate 2022. Merita invece una menzione a parte la serie Soft Trunk, che possiamo considerare come una delle sue invenzioni più geniali e autentiche, dal momento in cui riprende il design squadrato tipico del baule e lo rielabora sotto forma di borsetta, zaino o tracolla con materiali più morbidi e forme estremamente versatili.
Se Louis Vuitton fosse ancora vivo probabilmente sarebbe rimasto male nel scoprire che nel 2013 il governo russo fece sgomberare un enorme padiglione espositivo a forma di baule LV in Piazza Rossa perché ritenuto troppo imponente, ma senza ombra di dubbio apprezzerebbe molto il fatto che, in occasione del suo duecentesimo compleanno, l’azienda che porta il suo nome ha voluto dedicargli un progetto speciale intitolato #Louis200, il quale consiste in una lunga lista di collaborazioni con duecento creativi da tutto il mondo per la realizzazione di altrettanti bauli customizzati che sono stati venduti all’asta da Sotheby’s per finanziare un’organizzazione di beneficienza scelta dalla holding LVMH. Tra le figure coinvolte spiccano i volti di NIGO, Shayne Oliver, i BTS, Samuel Ross e Willo Perron, oltre ai concept digitali di LEGO, Pat McGrath, I Simpson e Frank Gehry.
È innegabile il fatto che oggi il baule venga utilizzato meno per il suo scopo primario, però è altrettanto vero che il suo ruolo è cambiato in quello di uno scrigno gelosamente custodito o complemento d’arredo e ce lo insegnano le immense collezioni personali di celebrities come Kanye West, Travis Scott, Chiara Ferragni e Paris Hilton. A noi piace pensare che, come afferma Louis Vuitton, “I bauli sono straordinari custodi di antiche memorie. All’apertura di un vecchio baule, riaffiorano miriadi di immagini, odori dimenticati e aneddoti curiosi. Dall’inizio del XIX secolo a oggi, ne sono stati prodotti centinaia di migliaia. Ognuno con la propria storia. Ognuno con una diversa destinazione nel mondo. Alcuni riposano in soffitta. Altri sono esposti in un museo. Altri ancora, proseguono il loro viaggio“.