Fenomenologia del cibo da stadio

Ovunque si vada, specialmente in Italia, il cibo è uno dei pilastri su cui si basa la cultura sportiva, specialmente se parliamo di calcio. Lo sguardo polarizzante che il pubblico ha nei confronti dello sport si è evoluto in una sorta di credo religioso, al punto che dedichiamo sempre più tempo a predicarlo nei luoghi di culto prediletti, ovvero gli stadi. Come spesso accade, la lunga permanenza e soprattutto l’aspetto legato all’intrattenimento, ha portato a un proliferare della presenza del cibo nei contesti sportivi.

Ci sono argomenti più intoccabili per gli italiani di calcio e cibo? Le divisioni territoriali e tradizionali che questi due argomenti portano alla cultura dello Stivale non hanno paragoni nel resto del mondo. Si potrebbe infatti rimanere ora a parlare di chi è stato il portiere più forte della storia dell’Inter, il numero 10 più rilevante della Nazionale Azzurra o in quale anno fosse più competitiva la Serie A. Allo stesso modo, sono decenni che le piazze, i bar e i salotti dibattono sul miglior piatto romano, su quale cucina regionale sia la più buona e completa o quale cibo da strada regni sovrano. Ci sono persone che solitamente non prendono parte a queste discussioni, tendenzialmente perché sono protagonisti di queste attività in un contesto spesso domenicale: parliamo dei calciatori e di chi effettivamente realizza ciò che siamo soliti mangiare prima o dopo l’entrata allo stadio, i paninari. Questi sono da sempre i veri eroi non celebrati del contesto sportivo, mai attivamente coinvolti nella visione di un match. Per questo motivo, Heinz ha deciso di celebrarli, regalando una giornata allo stadio. Il brand non solo ha raccontato le storie personali di tre paninari fuori dallo Stadio San Siro, ma ha permesso loro di vedere una partita (finalmente) come normali tifosi. Ovviamente la loro attività non si è fermata, in quanto Heinz ha fatto in modo di sostituirli con tre chef d’eccezione, ovvero Federico Fusca (@federicofusca), Luca Palomba (@lellopanello di @chefincamicia) e Ruben Bondì (@cucinaconruben).

I paninari fuori dagli stadi vivono questa particolare vita da sempre. Come detto, la storia parla chiaro. Ci sono infatti reperti storici che testimoniano come già fuori dal Colosseo fosse comune il “cibo da stadio”. All’epoca, infatti, si gustavano piatti caldi con carne, pesce e frutta, con un grande proliferare di olive, noci, fichi, uva e meloni. Oggi invece, come testimonia anche una ricerca della UEFA, il centro e sud Europa, Italia compresa, preferisce la combinazione perfetta di panini e patatine fritte, il tutto corredato da salse come ketchup e maionese. Salsicce, salamelle, cotolette e porchetta sono i capisaldi dei panini nostrani, una base che fa contenti tutti e dà un sentimento di uniformità ai piazzali fuori dagli stadi italiani da nord a sud, da est a ovest. Certo, le diversità territoriali rimangono: vuoi infatti privarti di pane e panelle nei pressi dello Stadio Barbera di Palermo? O di un panino col lampredotto prima dei 90 minuti di gioco all’Artemio Franchi di Firenze? Ciò che accomuna però tutti questi posti è il lavoro costante delle persone che questi panini li realizzano, partita dopo partita.

La costante opera che queste figure a metà tra l’imprenditore e la figura materna portano avanti è fondamentale tanto per il godimento dell’evento quanto per il fabbisogno morale di ciascun tifoso. Loro continuano a rimanere davanti a una griglia indipendentemente che ci siano 35 gradi o -5, lo fanno per ore e ore, che sia una partita infrasettimanale o durante il weekend, solo per darci supporto. Questo perché mangiare fuori dallo stadio non è solo alimentazione, ma un atto rituale. Sia ben chiaro, l’atmosfera non è la medesima che siamo soliti vedere nei parcheggi statunitensi prima delle partite di football americano, il cosiddetto tailgating. Quello storicamente associabile al mondo NFL è un contesto solitamente goliardico, in cui il cibo si mischia all’eccitazione per la presenza a un evento. Il contesto legato invece ai match di Serie A italiani è solitamente un rito, un momento di incontro scaramantico prima di un match che necessita dell’energia di ogni tifoso. Quasi una presa di coscienza. Non a caso, anche da questo punto di vista, la scaramanzia non viene mai lesinata. Spesso si ordina nello stesso stand, il medesimo panino, con le solite salse, messe nello stesso ordine di sempre. Poi ci si dedica al tifo. Talvolta, invece, il panino diventa un abbraccio emotivo. Che sia per festeggiare una vittoria o per dimenticare una sconfitta, il panino fuori dallo stadio ci aiuta a trovare la forza per intraprendere il percorso verso i festeggiamenti o, nel peggiore dei casi, verso un mesto ritorno a casa. Questo perché il nostro paninaro di fiducia è anche un amico, un parente, un consulente, uno psicologo, una valvola di sfogo. Anche il paninaro quindi, come tutte queste figure, si merita di godersi una partita allo stadio, una possibilità che Heinz ha reso concreta con questa nuova iniziativa che celebra il “calcio mangiato”.