Le celebrazioni per la festa del 4 Luglio 2019 sono più avvelenate che mai. Dopo che l’ex quarterback Colin Kaepernick ha intimato a Nike di ritirare la sua Air Max 1, la situazione è precipitata.
Se per caso non vi ricordate il suo nome, Colin Kaepernick è colui che, l’anno scorso, ha dato inizio alla “protesta dell’inno” rimanendo seduto durante l’inno americano. Pubblicamente, poi, aveva dichiarato come non si sarebbe mai messo la mano sul cuore per cantare un qualcosa che rappresenta l’oppressione delle minoranze etniche. Da quel momento, nessuno l’ha chiamato più in TFL e lui ha, ancor di più, abbracciato la sua lotta per i diritti sociali.
Ebbene, la casa di Beaverton ha effettivamente tolto la scarpa dal commercio. A questo punto, però, lo scacchiere politico degli stati americani ha avuto una forte scossa. La bandiera cucita e pensata da Betsy Ross dovrebbe rappresentare, per tutti o per molti, un periodo di liberazione. Ma così non è.
L’attivista americano Kaepernick ha ricordato come, quella bandiera, rappresentasse un ricordo ancora vivido dello schiavismo in atto all’epoca, nel 1776. La bandiera rimase in uso fino al 1795 e venne definitivamente abolita nel 1865, quando venne promosso il XIII emendamento che sancì la fine delle guerre civili. Nonostante ciò, il simbolo delle prime tredici colonie costituenti il nucleo iniziale degli Stati Uniti è stato spesso, tra l’altro, usato da gruppi di suprematisti bianchi come vessillo.
Questo improvviso ritiro ha scosso sia Nike, sia il mercato stesso: l’effetto boomerang, infatti, che ha visto aumentare il valore dei pochi esemplari in giro fino a toccare i 3.000 dollari, gli si è ritorto contro portando la casa sportswear a perdere un punto percentuale in borsa. Come se non bastasse, il repubblicano Doug Ducey, governatore dell’Arizona, ha dichiarato che ritirerà i fondi e la disposizione per la costruzione di un nuovo stabilimento sul territorio.
Il secondo attacco, poi, viene direttamente da Donald Trump Jr. tramite il suo account Twitter. Una saetta avvelenata è comparsa online, e a una piccola didascalia infastidita si accompagnava la foto di una Nike Roshe Run su cui comparivano una falce e un martello, chiari simboli vicini all’URSS, al comunismo e al socialismo. Il piccolo di casa non è comunque nuovo a forme di sfottò simili: proprio in occasione della “protesta dell’inno”, usò l’iconico spot Nike “Believe in something even if it means sacrificing everything” con stesso font e stessi colori ma con la faccia di Donald Trump. Non contento, taggò Nike scrivendo “Fixed for you”.
Dulcis in fundo, una netta presa di posizione anche dalla piattaforma di consignment e reselling GOAT che, attraverso un comunicato, ha dichiarato di riconoscere la potenzialità discriminatoria dietro quella bandiera e che dunque, nel rispetto della sensibilità di tutti, ogni esemplare verrà rimosso dal loro sito.
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Come continuerà questo corporate drama? Donald Trump riconoscerà la legittimità del tweet del figlio?