Giaime non ha voglia di parlare del suo passato, e non perché quel periodo lo ha fatto stare male o perché vuole dimenticarlo, semplicemente perché adesso ha qualcos’altro da dire.
Sono passati ben 8 anni da quando ha iniziato a buttare giù le prime barre, il suo percorso si è evoluto, si è incanalato nella giusta strada grazie e insieme a Andry The Hitmaker, per poi continuare a cercare il sound perfetto. Se prima si era buttato sulle rime con la spensieratezza dei 16 anni, oggi Giaime sta sperimentando e la realizzazione di qualcosa di concreto potrebbe essere vicina.
Lo abbiamo incontrato e abbiamo parlato della sua gioventù, dei momenti no e della ricerca di una meta che è stata trovata ma non raggiunta.
Il tuo percorso non è stato lineare, c’è stato un periodo in cui sei sparito nonostante avessi già dimostrato di avere le potenzialità. Quanto è stata importante la consapevolezza per riportarti a galla?
“Quando ottieni dei risultati e in seguito, anche e soprattutto, per tue responsabilità perdi alcune “medaglie vinte”, ti stai confrontando con un piccolo fallimento, tra virgolette, che però ti può dare una carica in più. Ma a un certo punto ho rimosso questa cosa e ho fatto sì che non mi influenzasse più di tanto, quando ho conosciuto Andry, con il sound che abbiamo trovato insieme, mi sembrava non mi fossi mai fermato.”
Sei sempre stato consapevole delle capacità che avevi?
“Sono state messe in discussione.”
Abbiamo dovuto costruire qualcosa senza i mezzi che i ragazzi di oggi si possono permettere.
Giaime
Oggi si guarda subito con interesse il ragazzino talentuoso, le nuove leve sono sempre più piccole. Mentre nel tuo caso mi è sembrato che tu abbia dovuto scalare la vetta sempre da solo, sia prima che dopo. Forse eri arrivato troppo presto?
“Beh sicuramente ho avuto un’esposizione mediatica ovviamente limitata rispetto ad oggi, l’uso di Instagram era meno presente, non caricavamo ancora i brani su Spotify nel 2011/2012, non c’erano major così interessanti, non c’era neanche la risonanza che oggi il rap italiano ha, quindi abbiamo dovuto costruire qualcosa senza i mezzi che i ragazzi di oggi ovviamente si possono permettere.
Parlando così sembro uno di un’altra generazione, ma semplicemente perché sono riuscito a far parlare di me, anche se, ripeto, limitatamente rispetto ad oggi, in un momento che era a cavallo tra la generazione odierna – quella di Plaza, per intenderci – e quella precedente, di Emis, o dei Club Dogo. Quindi sì, la solitudine da questo punto di vista c’era per questi motivi.”
Si cercava di far diventare un artista rap sempre più come Moreno.
Giaime
Chi è stata la prima persona che si è resa conto che avevi qualcosa di importante da dare?
“Sicuramente devo riconoscere che Universal nel 2013/14 ha avuto degli interessamenti nei miei confronti perché avevano visto alcuni video che erano andati molto bene ed evidentemente ci hanno trovato un talento, o comunque qualcosa di interessante da sviluppare. Il problema è che non c’era ancora una consapevolezza vera e propria di cosa poteva essere il rap italiano e quindi si cercava di far diventare un artista rap sempre più come Moreno, quindi mettendolo in un ambiente pop. Che poi lo capisco, anche perché al tempo non potevi scommettere sul rap.
Due anni dopo, quindi neanche troppo, gente come Sfera è riuscita ad arrivare in un momento in cui si era capito che il rap poteva far di più e quindi c’era più spazio per chi lo faceva, nessuno cercava più di dirti fai più così o così: fai rap e basta.”
La spontaneità era sicuramente una forza. Non lo ritroveremo mai più quel modo di fare musica.
Giaime
“Paga” è il video più vecchio che si trova sul canale di Zero2 e guardandolo è chiaro pensare “quei due faranno successo”. Per voi era altrettanto chiaro otto anni fa?
“No. Ma noi non avevamo neanche proprio… Ieri ad esempio Lazza è stato invitato a una cena di Audemars Piguet, okay? Quando abbiamo fatto quel video penso che non avessimo neanche il Casio e io personalmente non conoscevo neanche quella marca di orologi. Quindi non c’era neanche la possibilità di pensare chissà quali grandi introiti potrei generare con la musica, anche se io comunque quando ho iniziato ho pensato sì sicuramente arriveremo chissà dove, con un sacco di soldi, il sogno americano, però era talmente tanto naturale, un po’ come innamorarsi – diciamo così – che non vedevi cosa succedeva dopo, facevi quello e basta. La spontaneità era sicuramente una forza. Non lo ritroveremo mai più quel modo di fare musica.”
Quando sei tornato si sapeva già chi eri, sapevano tutti da dove venivi. Cosa c’è oggi nella tua musica e nella tua testa che ti ha permesso di avere ciò che cercavi?
“Ritengo che per affermarmi nel mio posto ci voglia ancora un po’ di tempo, ci vogliono dimostrazioni. La via è molto più definita rispetto a prima, la considerazione che si ha da parte dei colleghi quando si hanno dei successi chiaramente cambia. Anche se prima, come dicevi tu, tutti sapevano chi fossi, non davo l’idea di qualcuno che potesse fare qualcosa di interessante o che potesse andar bene. Però al momento in cui le cose cambiano succede che ti viene dato più adito, e quindi più rispetto anche, capito? Però la tua domanda forse era un’altra (ride, ndr).
Nella mia testa rispetto a prima c’è un po’ più di sicurezza. Quindi quando mi confronto con qualcuno della scena che ha ottenuto risultati negli ultimi anni e fa parte di questa nuova generazione che abbiamo detto prima, so che mi posso porre sapendo che lui o lei sa che posso offrirgli qualcosa. È cambiata la sicurezza di dire io faccio questo tipo di cosa, la faccio in questo tipo di modo, quindi quando parli con me anche a livello di business, di musica, sai con chi ti stai confrontando. È più chiaro adesso.”
Il tuo primo Disco D’Oro lo hai ottenuto con “Fiori”, brano in collaborazione con Lazza. Immagino sia stata una grande soddisfazione, quasi un segno del destino raggiungerlo proprio con lui.
“Sì, è molto bella questa cosa, sembra un cerchio che si chiude, no? Il primo brano che ha avuto un semi successo è stato con lui e il primo Disco D’Oro è stato con lui. Tutto è tornato al suo posto. È come se fosse un nuovo inizio, un ricominciare dallo stesso punto, solo a livelli molto più alti.”
Ultimamente ti sei buttato in varie collaborazioni, “Mai” con Lele Blade e Fred De Palma riprende un famosissimo brano anni 2000 di Paola & Chiara, che poi in realtà è un tormentone estivo. Come vi è venuto in mente?
“Mi è venuto in mente ascoltando “China”, che è un brano latino di Daddy Yankee o di Anuel, non so bene di chi, c’è Ozuna, J Balvin, c’è Karol G dentro. È una posse track reggaeton diciamo così, in cui viene ripreso il ritornello di “It Wasn’t Me” di Shaggy, però in spagnolo e tenendo la stessa melodia. Sono stato affascinato da questa idea, l’ho rubata e ho detto quale potrebbe essere una canzone italiana sulla quale applicarla? e tra le varie scelte “Vamos A Bailar” era la più adatta secondo me. Paola & Chiara ci hanno concesso di utilizzare la loro roba e siamo riusciti a riprodurre questa cosa.”
Sono figli del momento in cui sono stati fatti e pubblicati ed è giusto che rimangano tali.
Giaime
È da un anno a questa parte ormai che stai pubblicando singoli con costanza e tutti con lo stesso concept. Siamo a circa 8 se non sbaglio, a partire da “Timido”, si potrebbe dire che sia quasi un album. Dove andranno a finire questi pezzi?
“Ti posso già dire che questi pezzi resteranno singoli tutta la vita, non andranno a finire in nessun tipo di progetto. Sono figli del momento in cui sono stati fatti e pubblicati ed è giusto che rimangano tali. Per quanto riguarda un progetto un po’ più impegnativo, io punto su qualcosa di totalmente inedito, che abbia un minimo di filone, che i brani all’interno del progetto siano abbastanza riconoscibili, mentre con i singoli okay, il sound si sta un po’ assestando – soprattutto da “Fiori” – però si può sperimentare un po’ di più. “Mai”, ad esempio, è un singolo più sperimentale rispetto a “Fiori” o “Mi Ami O No”, che invece navigano nelle stesse acque.”
Due anni fa in “Prova 3” rappavi “a 22 anni non ho mai concluso un cazzo, come i miei coetanei mi dò tempo un anno poi dopo m’ammazzo”. Ora se non sbaglio ne hai 23, pensi di aver trovato il tuo posto?
“24 (ride, ndr). Allora, anche quando lo dicevo non era vero che non avevo concluso un cazzo, era un’autoprovocazione, un po’ come dire mi sento di aver perso un po’ troppo tempo perché appunto c’è stato quel periodo di cui abbiamo parlato prima e quindi avevo proprio bisogno di togliermi di dosso questa cosa, anche perché in tutte le interviste, magari di un anno fa, l’argomento era principalmente quello e allora sentivo il bisogno di scollarmelo. La rima ha riassunto quella cosa: devo metterci un po’ più di impegno, un po’ più di costanza, e sicuramente ce l’ho messa.
Ad oggi potrei fare una rima che risponde a quella, ci avevo già pensato ma non è ancora uscita bene, però mi stai dando un motivo in più per farla bene.”