La musica dance è da sempre fra i pilastri culturali di Newark, una delle principali città del New Jersey nonché il simbolo espansivo della Rivoluzione Industriale americana. Come la città è stata fondata nel 1666 da alcuni coloni che cercavano di istituire una teocrazia puritana, così la scena Jersey Club viene costruita all’inizio del nuovo millennio da una rete di DJ, ballerini e promoter dediti alla salvaguardia e alla diffusione della black clubbing culture locale, che per la prima volta era riuscita a smarcarsi dall’egemonia del Baltimore Club, un movimento fiorito già alla fine degli anni ’80 dalla fusione dell’hardcore rave britannico con l’house di Chicago. Prima che emergesse il Jersey, i locali di Newark suonavano principalmente proprio la house e la footwork di Chicago, o la techno di Detroit e Baltimora. Per esempio, il leggendario Club Zanzibar di Newark poteva contare su resident come Kerri Chandler o altre icone della deep e della garage. Negli stessi anni in cui, nelle anguste case diroccate dei sobborghi di Atlanta, stava nascendo quello che può essere considerato il movimento più influente degli ultimi vent’anni – la trap – i club di Newark erano letteralmente inondati dall’house music e dai suoi protagonisti.
Ecco perché non stupisce che entrambi i padri fondatori del Jersey Club abbiano iniziato maneggiando house, ma non siano mai riusciti a tenerla separata dalle proprie influenze interiori dell’hip hop. DJ Tameil ha iniziato la sua carriera musicale pubblicando mixtape house mentre contemporaneamente compariva in qualità di ospite fisso nel programma nazionale “Rap City: Da-Bassment” e un giovanissimo Tim Dolla – il compianto fondatore dei Brick Bandits – ha imparato a mixare i dischi house con le sue tracce rap preferite per riuscire a vendere i tape ai maggiori negozi di dischi di Newark. Dai campionamenti spezzettati dei loro brani rap e R&B preferiti, i due creano uno stile di musica dance di tendenza, con potenti terzine di cassa e l’aggiunta delle più disparate clip vocali, che oggi si sono estese fino ai suoni di Fortnite, alle musiche di Subway Surfers e persino al famosissimo meme di Drake che declama “Anita Max Wynn”. I ritmi cambiano costantemente, ma si assestano fra i 135 e i 145 BPM, ricoperti da snare e da sample di rumori regolari – il più caratteristico dei quali è senza dubbio il cigolio del letto campionato da Trillville nella sua “Some Cut” e ripescato proprio da Drake in “Currents”, una traccia contenuta in uno degli album che hanno contribuito a riportare il club rap in testa alle classifiche, “Honestly, Nevermind”.
I DJ dediti al Jersey Club utilizzavano qualsiasi strumento, dai controller MP3 ai jog shuttle, fino ai giradischi. Questo permetteva alla musica di rendersi portabile, ben prima dell’avvento delle piattaforme di streaming. E così, si poteva ascoltare facilmente agli angoli di ogni strada di Newark e in ogni festa, da quelle più accessibili organizzate nei cortili fino agli eventi più esclusivi al Robert Treat Hotel e alla storica Terrace Ballroom. Questo ha permesso di connettere facilmente le radici del Jersey Club con quelle ancor più profonde delle danze black, diffondendo le battle che tornavano a rappresentare – per la prima volta dai tempi del breaking – un aspetto determinante di questa cultura. I ballerini mostrano le loro abilità su schemi ritmici frenetici, contribuendo ad aumentare il fascino visivo del Jersey, grazie al quale il movimento inizia a guadagnare un seguito sempre maggiore lungo tutta la costa orientale degli Stati Uniti. Viaggiando lungo la East Coast, il Jersey Club continua così ad evolversi e adattarsi, incorporando influenze di altri generi musicali ma mantenendo i suoi caratteri distintivi.
Tra questi, la sua natura frenetica e competitiva, che gli ha garantito un timore reverenziale da parte di molti rapper. Del resto, rappare sul Jersey è innegabilmente difficile: le basi sono tanto veloci e stratificate da intimidire qualsiasi artista non abbia familiarità con il club rap. Eppure, nelle città intrise di club culture come Newark e Philadelphia, le produzioni veloci e martellanti – dal remix di “Ride That Wave” di DJ Frosty al singolo “Bank Rolls” di Tate Kobang – si sono sedimentate nell’immaginario collettivo anche degli artisti più giovani. Tra questi figurano Bandmandrill, Cookiee Kawaii e Skaiwater, che negli ultimi anni stanno riscrivendo la storia del Jersey Club, approfittando di quell’inevitabile cambio di paradigma che ha subito il movimento con l’avvento della pandemia. La sospensione della vita notturna ha trasferito la produzione e il consumo del genere quasi totalmente online, amplificandone nel giro di pochi anni gli aspetti più glitch e promiscui.
Ed è proprio lì sul web, in particolare su Tik Tok, che il Jersey Club rifiorisce e ritrova la propria natura vivace e incisiva, adatta a quei luoghi nei quali un video ha a disposizione meno di due secondi per attirare l’attenzione di un utente. Una diffusione quasi inaspettata, che porta il Jersey a mescolarsi con le culture musicali maggiormente presenti oggi sul mercato, diventando una chimerica miscela di clubbing, drill e hyperpop che ispira innumerevoli meme dance virali e finisce per coinvolgere attivamente artisti come Lil Uzi Vert, che utilizza le vibes del movimento per realizzare un singolo di grande successo come “Just Wanna Rock”, o Playboi Carti, che ha portato addirittura la popstar Camila Cabello nei territori inaspettati del Jersey Club.