Gli artisti non sono influencer

La musica va pagata. Gli artisti non sono influencer e non possono vivere con la speranza di diventare virali. È James Blake ad aver tirato fuori l’argomento, con una serie di tweet in cui denuncia un sistema che sta diventando insostenibile. In supporto non sono mancati altri artisti, tra questi Ye e Ty Dolla Sign dall’estero e Mecna in Italia.

«Il lavaggio del cervello ha funzionato e adesso le persone pensano che la musica sia gratis».

James Blake

È un periodo in cui viviamo con questa strana concezione che TikTok sia una benedizione per gli artisti, che hanno la possibilità di diventare virali e di conseguenza guadagnare in altri modi, come l’advertising, ad esempio. Ma i musicisti dovrebbero essere pagati per la loro musica.

«Vi ricordate quando la mia cover di Godspeed è andata virale? Né io né Frank [Ocean] abbiamo guadagnato un centesimo perché in ogni video era un “suono originale”. La maggior parte delle persone nemmeno sapeva fossi io perché il mio nome non compariva mai. La prossima volta che il vostro artista preferito diventa virale, ricordatevi che non sta guadagnando un c*zzo».

James Blake

L’idea che l’artista debba trovare altre vie per guadagnare, così da poter continuare a fare musica, è deleteria e va a discapito della musica stessa. Se le piattaforme streaming non pagano cifre adeguate e le etichette spingono per far sì che l’artista diventi virale, con quest’ultimo che si trova in un sistema non più sostenibile, chi pensa effettivamente alla qualità della musica? Inseriti in un contesto che non garantisce un certo ritorno, gli artisti sono quasi obbligati a guardare altrove e probabilmente saranno spinti a fare musica adatta a un pubblico di TikTok, non più ciò che stimola il loro estro creativo.

«Mi capita spesso di leggere ‘se sei così fortunato da diventare virale, usa l’esposizione per generare guadagno in qualche altro modo”. I musicisti dovrebbero poter guadagnare dalla loro musica».

James Blake

Anche la situazione dei concerti non aiuta. Se prima si facevano i tour per promuovere i dischi, come ha detto qualcuno una volta, adesso si fanno i dischi per avere un motivo di andare in tour. Ma anche i tour non sono più così remunerativi e spesso, chi ci tiene, impegna gran parte della cifra a disposizione per la produzione dell’evento.

Se tutto continua in questo modo, non dobbiamo meravigliarci se poi la musica ha una qualità sempre più bassa e se i concerti si trasformano in ben più semplici dj set oppure in listening party incredibilmente minimal. Va bene l’evoluzione, ma dobbiamo domandarci se è giusta la direzione.