Parigi, 1987
Un giovane impiegato, fino a quel momento addetto alla progettazione degli stabili della sua compagnia, passeggia per la capitale francese ammirando le meraviglie architettoniche che lo circondano e tutto ad un tratto ha l’idea che deciderà la sua vita oltre che la sua carriera. Questo impiegato si chiama Tinker Hatfield, e l’idea di cui stiamo parlando si chiama Air Max 1.
L’idea prese forma osservando il Centro Pompidou, famoso per la sua netta contrapposizione di stile rispetto al cosiddetto “vicinato”. La struttura , progettata da Renzo Piano, lascia intravedere la struttura portante dell’edificio (tubature, scalinate, persino gli ospiti sono visibili dall’esterno) scontrandosi in maniera forte con l’architettura parigina. Perchè non generare lo stesso stupore anche in un mondo che man mano si definirà come qualcosa di molto vicino all’architettura, ovvero quello delle sneakers?
Il risultato è quello che tutti noi conosciamo, una delle silhouette più riconoscibili della storia delle sneakers, tutto per via di quel dettaglio che agli occhi di Nike, ad una prima occhiata, sembrava quasi un difetto da eliminare.
Ad onor di cronaca il merito della creazione della Air Unit va a Marion Frank Rudy, che brevettò il più famoso cuscinetto d’aria della storia delle sneakers per poi tentare di venderlo ad alcune ditte. L’unica lungimirante fu quella con sede a Beaverton.
Una delle rivoluzioni più importanti della storia aveva un colore che poi diventò il suo tratto distintivo, stessa sorte venne riservata all’AM1, anche se creata sul finale dai toni aspri della guerra fredda.
La colorazione scelta per la prima versione dell’Air Max 1 rompe appunto gli schemi con le precedenti scarpe da running, le quali adottavano colorway molto più sobrie non discostandosi molto dalla palette di colori che va dal nero al blu, passando per il bianco e il grigio. Il colore scelto per i dettagli venne definito “Sport Red” e i materiali scelti furono il suede e il mesh. La rivoluzione ebbe inizio e questa pubblicità che in molti conosceranno ne sancisce la portata. Ma questo era solo l’inizio…
Small changes, same soul
L’AM1 non rimase sempre uguale ma nel corso del tempo subì piccole modifiche che non alterarono l’anima della sneaker (alcuni sneakerhead non la pensano così però, ndr)
Le modifiche più famose riguardano i materiali e i dettagli, come il mini swoosh presente sulla toe box o lo shape della stessa.
Per lo shape va fatto un discorso più completo. Ci sono due fasi storiche in cui suddividere questa storia, una che va dal 1987 al 2010, in cui lo shape rimase immutato rispetto alla OG, per poi cambiare fino a discostarsi molto dall’originale con il reshape del 2010. Nello sneakergame questo è uno degli argomenti più discussi e perciò abbiamo chiesto un parere ad uno dei massimi esperti riguardo questa scarpa, Woei Tjin, proprietario dello shop Woei di Rotterdam.
Nella prima immagine possiamo vedere il cosiddetto “naso” della scarpa che mantiene una forma tondeggiante e affusolata, queste versioni sono le più richieste in ambito di collezionismo.
Nella seconda foto invece abbiamo un AM1 post reshape, come possiamo notare, la forma del naso è molto più squadrata, alimentando le critiche degli appassionati.
Le collaborazioni speciali
Parlando di valore, non possiamo non parlare delle versioni speciali della AM1. Ce ne sono davvero tante e per voi abbiamo deciso di fare una sorta di scelta “di redazione”, inserendo le nostre preferite:
Air Max 1 x Atmos “Safari” & “Elephant” (2003 -2007)
Come avete potuto intuire dall’immagine scelta per parlare del mini swoosh, questo pack è uno dei nostri preferiti.
Scelta ardua tra due delle più ambite AM1 di sempre che nascono dalla collaborazione tra l’azienda dell’Oregon e il noto store del Sol Levante. Nel 2017 una votazione online ha scelto di riproporre proprio la Elephant per il trentesimo anniversario della prima Air Max.
Air Max 1 x Supreme – Animal Pack (2006)
Una delle collaborazioni più acclamate tra due colossi dell’hype made in USA, Supreme e Nike, stupisce per la particolarità dei materiali oltre che la fantasia dei pattern scelti. Ah, se non l’avete capito, le scelte animal in redazione vanno abbastanza.
Air Max 1 x Parra – Amsterdam (2005)
C’è un posto al mondo in cui le Air Max 1 sono un must have ormai da tre decenni. Quel posto è l’Olanda e Nike nel 2005 decide di rendere omaggio alla capitale lanciando questa collab con Piet Parra, noto artista olandese.
Air Max 1 x Atmos – “Viotech” (2003)
Seconda collaborazione tra Nike e Atmos che in questo caso sceglie colorazioni più sobrie e si ispira alle colorazioni Acg degli anni ’80.
30 anni e non sentirli
Nel 2017 la nostra beneamata spegnerà 30 candeline, un’eternità se pensiamo a quanto sia rapido il cambio delle mode. Per l’occasione Nike sembra decisa a fare le cose sul serio, riportando tutto “agli albori” e guardando un po’ di sneakpic in giro per la rete, anche il fantomatico shape tornerà ad essere quello di un tempo.
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Se siete arrivati fin qui vuol dire che siete tra quelli che avranno messo ai piedi almeno una volta nella vita questa splendida sneaker, che col passare del tempo non perde un colpo ma anzi, acquisisce quel fascino vintage che in tanti hanno provato ad imitare.