Gregorio Paltrinieri è uno dei nuotatori più vincenti e rappresentativi della storia del nuoto italiano. Mi correggo. Gregorio Paltrinieri è uno degli atleti più vincenti e rappresentativi della storia dello sport italiano.
Nel suo palmares, lungo uno spanna abbondante, ci sono tutte le medaglie che contano. Ori, argenti e bronzi collezionati in ogni competizione nazionale, continentale e mondiale. La più importante è ovviamente l’oro nei 1.500 metri stile libero vinta nella piscina di Rio De Janeiro nel 2016, durante i Giochi Olimpici. Quell’oro l’ha fatto trascendere. Da quell’agosto del 2016 Paltrinieri non è conosciuto soltanto dagli appassionati di nuoto, ma da ogni appassionato di sport in Italia. Non a caso il suo nome è sempre presente nelle immancabili conversazioni su chi debba essere il portabandiera italiano prima di ogni appuntamento olimpico. Anche quest’anno è successo, ma ci arriveremo.
Lui è un fondista. L’equivalente di un maratoneta per l’atletica. E così come nell’atletica i 100 metri sono la gara più seguita, anche nel nuoto chi gareggia nella brevi distanze è quello che di solito cattura la luci della ribalta e la copertine. Gregorio Paltrinieri è talmente forte da aver cambiato la percezione che il pubblico ha dei fondisti. 1.500 metri in vasca olimpica – 50 metri – sono 30 vasche. 60 se nuotati in una vasca da 25 metri. Un nuotatore amatoriale ci può mettere dai 30 ai 50 minuti per farle. Il miglior tempo di Paltrinieri su questa distanza è poco più di 14 minuti e 30 secondi, a meno di 2 secondi dal record mondiale.
Mentre stava per toccare per primo il muretto della piscina di Rio, il telecronista italiano nel commentare le ultime bracciate di Gregorio nella finale olimpica dei 1500 stile libero a Rio, urlò “Gli dei dell’Olimpo allargano le braccia, la scalata è terminata”, incidendo nella memoria collettiva una delle poche frasi in grado di rivaleggiare con “Il cielo è azzurro sopra Berlino”.

Cuffia Arena, occhiali Gentle Monster, camicia COS.
Dietro aveva fatto il vuoto. Davanti aveva i grandi dello sport italiano che lo stavano aspettando. Alberto Tomba, Valentino Rossi, Roberto Baggio, Marco Pantani, Gianmarco Pozzecco, Fiona May, Sofia Goggia, Federica Brignone. Gregorio Paltrinieri è in quel Pantheon lì di persone che sono diventate qualcosa di più che sportivi e sportive, sono diventati icone.
Era parecchio che non entravo in piscina. Il set per il servizio fotografico di questo pezzo non poteva che essere lì, e nonostante abbia frequentato spesso la piscina da bambino e adolescente, entrare mi ha sorpreso. Non ricordavo il caldo che ti incolla i capelli alla fronte, l’odore di cloro e acqua. I suoni che rimbombano, le voci che si mischiano al frusciare dell’acqua. È un posto strano la piscina se uno ci pensa.
A bordo vasca, circondato da luci e fotografi, c’è Gregorio Paltrinieri. Fa un caldo tropicale. Mi sono tolto immediatamente la felpa, ma la maglietta si è già incollata alla schiena.
Lui è lì in abito, camicia e cravatta e non è nemmeno sudato. Sorride, scherza con chi gli sta attorno, a un certo punto chiede se le foto vanno abbastanza bene o se deve fare qualcosa di diverso. È un campione olimpico, un essere umano gentile e un anfibio. Le definizioni si mettono in fila da sole a mano a mano che mi avvicino. Come spesso accade, non so dove andrà la conversazione che stiamo per fare. Di solito non mi preparo domande troppo specifiche, perché mi piace lasciare libero chi ho di fronte di parlare di quello che sente in quel momento.
L’unica cosa che so è che non voglio parlare delle Olimpiadi che inizieranno tra poche settimane. Non mi interessa sapere che si sta preparando al massimo, non voglio sapere che cosa si aspetta, non voglio ascoltare risposte con il pilota automatico. Io voglio capire chi è Gregorio Paltrinieri, che cosa lo rende così diverso da tutti gli altri e per farlo ci metto pochi secondi. Ce l’ha scritto in faccia ed è la prima cosa che mi dice, come se fosse il suo manifesto. Lo sport di Gregorio Paltrinieri non è il nuoto. Il suo sport è la competizione.
Il nuoto è uno sport particolare, soprattutto per il fatto che passano mesi tra un grande appuntamento e l’altro. È lui a spiegarlo. Nonostante fosse lampante, non ci avevo mai dato peso. «Se giochi a calcio o a basket hai l’opportunità di metterti alla prova ogni settimana. Puoi cercare di correggere gli errori che hai fatto subito. Nel nuoto ti devi preparare per qualcosa che succederà tra sei mesi, tra un anno».
«Per questo devi essere un martello, presentarti in piscina e buttarti in acqua due volte al giorno per 6 giorni alla settimana. Nel mio sport conta la qualità, ovviamente, ma conta tantissimo la quantità, la costanza. Stare 5 ore al giorno in acqua è fondamentale per migliorare la tua sensibilità con l’elemento. Quando torno in piscina il lunedì, dopo la domenica di pausa, nuoto sempre un pochino peggio degli altri giorni. Basta un giorno per perdere il contatto con l’acqua».

E allora come si alimenta la costanza? È una domanda che mi faccio pensando alla mia vita di tutti i giorni, alla lotta che combatto per mettermi davanti alla tastiera e scrivere per esempio.
La riposta che una volta avevo provato a darmi sono le aspettative. Alzare l’asticella per cercare di saltare sempre più in alto mi porterà un po’ più in là di dove sarei arrivato senza le aspettative. Me lo ripetevo cercando di convincermene, perché allo stesso tempo dovevo fare i conti con la possibilità che le aspettative potessero essere deluse. «Non vivo di aspettative».
Quando me lo dice, Paltrinieri è tombale. Siamo in una sala corsi di una palestra, seduti su due fit-ball su cui saltelliamo impercettibilmente. Quando pronuncia questa frase lui è piantato a terra come se fosse una stele di pietra. «Vivo di gare. Posso sbagliare, lo faccio ancora oggi che ho 29 anni e a questo punto penso proprio che continuerò a farlo. Ma il sentimento dopo un errore è sempre quello di tornare in piscina, rituffarmi in acqua e farlo meglio. È vero che tra le gare passa del tempo, ma a me piace allenarmi, fare fatica e vedere cosa posso migliorare mentre aspetto la gara. Dentro di me c’è sempre la voglia di essere competitivi».
Paltrinieri vive un gioco, uno sport, come se fosse una guerra, ma allo stesso tempo come se andasse in ufficio. È una dicotomia strana. Siamo abituati a pensare ai campioni come degli animali da competizione ed effettivamente Paltrinieri lo è. Quando mi racconta che anche in allenamento cerca di inventarsi competizioni che non esistono, con se stesso o con i compagni, mi ricorda le storie di Jordan con il Dream Team, quando trasformava un allenamento nella più bella partita di basket mai giocata.
Ma c’è anche quell’altro lato di Paltrinieri che mi affascina, quello che lo porta a vivere la gara come il suo lavoro d’ufficio.
«Io sono un martello, è vero, ma sono arrivato alla convinzione che a un risultato ci si possa arrivare in mille modi diversi. Non è vero che tutti i campioni olimpici della storia sono stati così come ti sto raccontando. Ognuno ha il suo percorso ed è per questo che è bello sentire gli atleti, per capire quale strada percorrono per arrivare all’obiettivo. La vittoria o la sconfitta vengono dopo. È molto più interessante conoscere il percorso, sapere quello che si muove dentro. Io lo so che ci sono altri modi per arrivare in gara, però devi essere sincero con te stesso ed essere sicuro e convinto di quello che fai. L’importante è che tu creda nel tuo metodo. Per come sono fatto, a me non piace fare le cose a metà. Guarda ad esempio anche altri nomi di sport differenti: LeBron James, Novak Djokovic, Lionel Messi, Cristiano Ronaldo. Se non sei focalizzato, non ci arrivi a quell’età a fare sport così ad alto livello».
«E attenzione, non significa per forza che tu debba perdere altre cose nella vita. È vero, ci sono sacrifici, ma se credi in quello che fai, te la vivi bene. Non mi segue nessun mental coach, cerco di prendere spunti da tante cose diverse, non soltanto dal nuoto e dallo sport. Guardo tanti film, leggo libri che mi fanno luce – ha detto proprio così, usando queste parole, e la trovo un’immagine bellissima – che mi danno risposte che mi indirizzano. Ultimamente ho visto La società della neve (racconta la storia vera di un gruppo di passeggeri che sopravvive in condizioni estreme, compiendo gesti agghiacciati, a un disastro aereo sulla cordillera delle Ande. Si trova su Netflix, ndr). Vedi? Non c’entra niente con il mio sport, ma il giorno dopo che l’ho visto mi sono buttato in acqua e volavo. Avevo una voglia di vivere bestiale. Ai mondiali ho letto L’Arte della Guerra, di Sun Tzu».

Lo guardo e fatico a pensare che sia un’icona sportiva, un veterano che ha vinto tutto quello che ci si aspetta da un grande campione e anche qualcosa di più. Sembra un ragazzino: ha il ciuffo biondo che si muove leggero con i movimenti della testa, denti bianchissimi sempre aperti in un sorriso enorme. Quando sta per dire qualcosa di serio, di grave, chiude le labbra per qualche secondo, inizia la frase, ma poi il sorriso prende il sopravvento. Sembra un ragazzino che affronta la vita con entusiasmo.
Il picco di forma nella sua specialità, gli 800 e i 1500 metri stile libero – le due distanze più lunghe che si nuotano in vasca – arriva a 21 anni. Molti grandi campioni del passato e del presente hanno smesso tra i 24 e i 25 anni. Paltrinieri ha registrato il suo miglior tempo in carriera lo scorso anno, a 28 anni.
All’ultimo mondiale che c’è stato qualche mese fa si è trovato in vasca con nuotatori del 2007. Quando loro avevano 2 anni, lui entrava in nazionale e da allora ci è sempre rimasto. Eppure la sua condizione non è lontana dal prime, dal suo stato di forma migliore. «Quando scendo in vasca, o vinco o ci vado vicino. Se ho perso qualcosa fisicamente, ne ho guadagnato di esperienza, di strategia. Oggi sono più pronto a gareggiare di quanto lo fossi una volta. Una volta mi caricavo di aspettative, ora non più. La gara per me è diventata un altro allenamento. Quando arrivo sul blocchetto di partenza non ho paura di niente, può succedere qualsiasi cosa e non ho paura. È una gran bella sensazione».
D’istinto penso alle Olimpiadi che si apriranno tra qualche settimana.
«I Giochi sono una gara diversa. Quando arrivi lì, la tensione dell’evento la senti. È molto diverso da un mondiale (che nel nuoto si tiene ogni due anni). Non ci pensi, ma inconsciamente lo sai che non hai tante Olimpiadi in carriera e che potrebbe essere sempre l’ultima. È una gara che ti mette davanti alla caducità del tempo. E poi alle Olimpiadi sei circondato dai grandi campioni dello sport. Ti senti parte di qualcosa di grandissimo. Fai la loro stessa vita, stai con loro, fai le stesse gare».
Parla come se non fosse uno di loro. Come un ragazzo davanti ai campioni che ha sui poster in cameretta. Non come uno che su quei poster c’è per davvero. «Io farei un’Olimpiade ogni anno, perché nonostante la tensione e il fatto che sia diversa da tutte le altre gare, è la più bella da vivere».
A Rio De Janeiro Paltrinieri è diventato campione olimpico, l’ho già scritto. È sempre interessante vedere cosa succede dopo che uno sportivo arriva sulla vetta dell’obiettivo che si era prefissato all’inizio della carriera. C’è chi molla, perché non ha più nulla da chiedere. C’è chi continua spinto dalla smania di vedere se è in grado di rifarlo. C’è chi si butta su una nuova sfida, esattamente come ha fatto Paltrinieri che dopo Rio ha iniziato a nuotare in acque libere.
Nuotare in acque libere significa fare un altro sport. Non soltanto perché non c’è la vasca. Le distanze sono diverse – si va da 5 km a oltre i 25 – ci sono le onde, i pesci e le meduse, ci sono le correnti e le condizioni atmosferiche, ma soprattutto ci sono gli altri. Non più separati dalle corsie, i nuotatori in acque libere fanno a sportellate, c’è contatto fisico e a volte qualcuno esce con un rivolo di sangue dall’acqua. Le gare si sviluppano in modo diverso rispetto alla piscina.

Essendo più lunghe, la strategia e la tattica la fanno da padrone. «È uno sport di situazione, di momento. Le gare durano 2 ore, ma tutto si gioca in una frazione di secondo. Vedi che succede qualcosa e tu in un attimo devi decidere se buttartici o meno. In piscina segui la tua strategia, ti butti e fai la tua gara. In acque libere devi avere occhi ovunque. La testa è molto più reattiva e io dopo Rio avevo voglia di provare qualcosa di nuovo. Mi sono innamorato di questo sport al punto che ho lanciato un progetto, si chiama Dominate The Water, per cercare di far conoscere e portare il nuoto in acque libere in tutta Italia. Qui non è ancora praticato come in Australia o negli Stati Uniti, dove ho fatto gare con 1500 o 2000 partecipanti. È bellissimo pensare di nuotare con così tante persone».
Quando aveva 10 anni, il papà l’ha portato a Barcellona, dove si stavano svolgendo i mondiali di nuoto, e Paltrinieri aveva visto per la prima volta nuotare dal vivo i suoi idoli Massimiliano Rosolino e Domenico Fioravanti. È un’immagine affascinante quella del presente e del futuro di uno sport che si incontrano. Nessun di loro, nemmeno Gregorio, sa che il futuro del nuoto italiano passerà anche tra le mani di quel bambino.
Ho chiesto due cose a Paltrinieri, collegate a quest’immagine: quando ha capito che era più forte degli altri, e che cosa vedrebbe quel bambino se in vasca oggi ci fosse Gregorio Paltrinieri di 29 anni. Lui mi ha risposto così: «Quando ero piccolo ero sicuro di farcela. Non vincevo, ma sapevo che un giorno avrei vinto. I momenti di difficoltà che ho incontrato in carriera li ho sempre superati continuando a lavorare. Mettendo la testa in acqua e andando avanti. Credo che la ripetizione costante ti aiuti a uscire da alcune situazioni e poi per ritrovare fiducia in quello che fai. È normale avere paura di non farcela, ma di nuovo torno sul concetto di credere in quello che stai facendo e in come lo stai facendo».
Sorride – ancora – prima di rispondere all’ultima domanda.
«Non so cosa vedrebbe oggi quel bambino. Anzi sì, sono sicuro che gli piacerebbe quello che sta vedendo. Perché io non mollo mai e ho sempre amato gli atleti, non solo i nuotatori, che non mollano mai. Che nelle difficoltà tirano fuori la grinta, che lottano. All’epoca c’era Phelps che stava iniziando a vincere, c’erano nuotatori che vincevano medaglie, ma io ero attratto da chi si spremeva e combatteva, da chi era in difficoltà e risorgeva».

L’ho scritto all’inizio di questo racconto di quel giorno in cui sono stato nell’ufficio di Gregorio Paltrinieri: tra poche settimane ci saranno le Olimpiadi e anche questa volta non sono mancate le immancabili discussioni su chi dovesse essere il portabandiera italiano. Il nome di Paltrinieri dopo Rio De Janeiro è sempre venuto fuori, ma non ci è ancora riuscito. Quando ho letto il suo messaggio con cui ha commentato la nomina di Gianmarco Tamberi e Arianna Errigo ci ho ritrovato tutta la persona e l’atleta incontrato quel giorno.
Nelle sue parole emerge la sincera felicità per l’assegnazione di un onore così grande a un amico come Tamberi è per lui. È chiaro, non c’è possibilità di fraintenderlo. Poi però alla fine ha aggiunto un PS: “mi avevano detto che lo sarei stato nel 2021, ma niente. Mi avevano detto allora 2024 ma niente, mi obbligano a… va beh non lo dico”.
Anche questa volta ce l’ha fatta, anche questa volta Gregorio Paltrinieri è riuscito a fare ciò che riesce a fare meglio: trasformare tutto in una sfida.
Lui è Gregorio Paltrinieri. Il suo sport è la competizione.