Hans Nicolussi Caviglia ha appena finito la sua sessione pomeridiana di fisioterapia, quella che lo sta aiutando a recuperare dall’infortunio al legamento crociato del ginocchio patito lo scorso dicembre. «Eravamo su un campo di allenamento, ho allungato la gamba per stoppare la palla al volo, un movimento che ho fatto centinaia di volte, e quando sono atterrato ho sentito il ginocchio sinistro cedere» mi spiega prima di iniziare la nostra conversazione. Il centrocampista cresciuto nella Juventus, che all’inizio dello scorso ottobre era passato in prestito al Parma, è stato costretto a saltare quasi tutta la stagione, quella che sarebbe stata utile per maturare, per prendere confidenza con la Serie A e con il gruppo azzurro della Nazionale Under 21. Hans ha appena 20 anni ma ragiona già da adulto, sembra essere cresciuto in fretta. Fa parte della nuova generazione di speranze del calcio italiano e ne è consapevole, ma adesso vuole soltanto riprendere a giocare e continuare a maturare la propria esperienza. Abbiamo fatto due chiacchiere con lui per parlare dell’infortunio, dei suoi maestri, delle mode e di cosa gli piace fare nel tempo libero.
Ciao Hans. Innanzitutto, come stai?
«Bene, la riabilitazione e il recupero stanno procedendo bene, da qualche settimana ho iniziato a correre e siamo a buon punto. Tra una settimana tornerò a lavorare sul campo, e questa è una cosa che mi rende molto felice. Non si possono precorrere i tempi, ma la voglia di tornare in campo è tantissima, per rientrare nel calcio giocato pronto al meglio e meglio di prima.»
Quello che ti è successo ricorda un po’ l’esperienza di Hector Bellerín, che in seguito all’infortunio al ginocchio subito due anni fa ha deciso di raccontare i momenti più duri post operazione, la solitudine e il recupero fisico e psicologico prima attraverso dei brevi video su YouTube e poi con il documentario ‘Unseen Journey’. Come si gestisce un infortunio così grave, soprattutto in età così giovane?
«Si, il documentario l’ho anche visto. Quando l’infortunio è successo a me non ci potevo credere, perchè avevo troppa voglia di giocare. Sono portato però a cercare di valutare sempre l’interezza delle cose, intendo dire che penso non ci sia bene senza male e viceversa. Certo, sarebbe stato meglio non fosse successo, ma è successo, e quindi sto cercando di imparare anche da questo episodio e di trarre ogni insegnamento possibile. Accrescerà la mia esperienza e la mia consapevolezza. Dal momento dell’infortunio la società per cui sono tesserato, la Juventus, mi ha dimostrato di essere presente mettendo a disposizione i mezzi migliori per affrontare l’operazione e la riabilitazione e mi ha sostenuto emotivamente. Anche mr. Krause, il presidente del Parma, mi manifesta incoraggiamento. E poi ovviamente ho ricevuto la solidarietà di tanti miei compagni e colleghi. Per non parlare della mia famiglia.»
E in tutto ciò questa situazione si è complicata ulteriormente causa Covid.
«Qui alla Juventus godo delle migliori condizioni per riprenderemo e di questo sono grato. So che non è scontato. Mi hanno scritto tante persone in questo periodo, e tra loro una ragazza che sta aspettando l’intervento al legamento da mesi, causa Covid. Non voglio sembrare ingenuo, so che il mio lavoro prevede una pronta ripresa, ma non voglio essere accecato dalle contingenze e sono consapevole di essere fortunato. Per quel che riguarda la mia parte, sto lavorando con impegno e costanza ogni giorno. Quanto al Covid, seguo i protocolli. Abbiamo tutti dovuto imparare ad assumerci la responsabilità della salute nostra e anche pubblica. Le limitazioni sono necessarie, in questo momento. Lo scorso anno sono rimasto a Perugia tutto il lockdown a Perugia, da solo, per rispettare i protocolli anti Covid. Certo, è diverso per chi a causa del Covid ha problemi con il lavoro, con le persone magari anziane che non può vedere. Nonostante tutto in questo momento se mi lamentassi sarei ingiusto.»
Cambiamo discorso. Anche se forse molti non ci hanno fatto caso, non è un segreto che tu sia molto affezionato al numero 14, quello di Johan Cruijff. Ce ne vuoi parlare?
«Beh, Cruijff è il mio giocatore preferito, la mia fonte di insegnamento, ho sempre apprezzato il suo pensiero calcistico ed è stato l’autore di una rivoluzione senza precedenti i cui effetti si vedono ancora oggi nel calcio moderno. Anche se è stato un grande allenatore ed un grande dirigente mi piace proprio come giocatore. Hai presente la sua celebre azione in Olanda-Germania del 1974? Ecco. Poi comunque ho utilizzato spesso anche il 41 che oltre ad essere il 14 rovesciato è anche il numero con cui ho esordito in A.»
Come è possibile che un ragazzo della tua età abbia un idolo proveniente da un’altra epoca?
«Io mi sono appassionato al suo gioco per le qualità che esprime. La qualità non ha epoca. E poi c’è stata la coincidenza che mia sorella ha studiato ad Amsterdam (dove ore lavora al Dutch National Ballet) e dunque andando a trovare lei ho visitato tutti i luoghi più rappresentativi di Cruijff, e questo me lo ha avvicinato ancora di più.»
Quali sono i tuoi riferimenti attuali, anche al di fuori del mondo del calcio?
«Sono appassionato di cinema, amo in particolare i film di Stanley Kubrick, che riflettono sulla condizione umana e sulle sue contraddizioni. I miei preferiti sono ‘Barry Lyndon’ e ‘2001: Odissea Nello Spazio’. E poi sono un grande fan di Alejandro González Iñárritu, quello di ‘Amores Perros’ e ’21 Grammi’, Mi piace anche ascoltare i podcast di storia di Alessandro Barbero, ne ammiro la sua grande capacità comunicativa, e anche le conferenze di Umberto Galimberti su YouTube. É capace di parlare ai giovani e di farli appassionare alla filosofia!»
Ma non credi di essere l’unico calciatore, o tra i pochi, a coltivare passioni di questo tipo? O c’è anche qualche tuo compagno con cui le condividi?
«Ognuno ha le proprie passioni, e io le mie. Ad ogni modo la mia passione più profonda è il calcio, e le cose che attirano la mia attenzione, per esempio un film, una lettura o la musica, diventano nutrimento per il calcio. Lo sport non è solo condizione fisica. Il calcio mi ha insegnato nella pratica quanto corpo e mente siano collegati. Finito l’allenamento è creativo sapere trovare gli stimoli per valorizzare il tempo e la propria persona, ognuno a modo suo, anche cercando dentro di sé dove magari prima non si aveva avuto il tempo di guardare. E in questo l’arte aiuta.»
É inutile negarlo, ancora oggi nell’immaginario collettivo la figura del calciatore è spesso molto sottovalutata, come se la vita dei professionisti dovesse per forza rimanere ancorata a linguaggi e comportamenti tipici dell’atleta e non dell’uomo. L’unico modo per distruggere gli stereotipi e le convinzioni errate è proprio affrontarli in maniera concreta. Chiacchierando con Hans ho come l’impressione che potremmo stare a parlare a lungo dei suoi interessi paralleli, di cinema, di filosofia, senza dovermi sforzare per metterlo a suo agio trovando degli argomenti ‘facili’ da sottoporgli per poter discutere. Ed infatti divaghiamo un po’, e ne esce fuori una chiacchierata assolutamente spontanea. Anche quando gli faccio notare che sembra un ‘vecchio calciatore giovane’ non fa una piega, e allora continuo sull’argomento, incuriosito dai libri che si intravedono proprio accanto a lui.
Cosa ti piace leggere?
«Mi piace la poesia, che ti porti sempre dietro per tornarci, perché non finisce mai di parlarti. Per esempio amo rileggere Wisława Szymborska, per la sua ironia e la sua leggerezza. Ma leggo anche la narrativa. Ho appena iniziato ‘Cecità’ di José Saramago.»
Ma a proposito di letture, ti interessa anche il giornalismo sportivo? Leggi i quotidiani, anche soltanto per andare a guardare i voti che hanno dato alle tue prestazioni?
«Seguo la cronaca sportiva, perché mi piace essere aggiornato sugli sport. I voti assolutamente no, non li leggo: penso a giocare e se lo faccio male lo capisco già da solo. Da questo punto di vista, del calcio mi piace il calcio, quello vero che fai sul campo, e il suo valore fondante di condivisione che unisce atleti e appassionati.»
Segui altri sport?
«Mi piace molto lo sci, l’ho anche praticato per tanti anni da ragazzino, con buoni risultati, prima di scegliere di dedicarmi solo al calcio.»
E allora si può dire che la tua carriera assomigli un po’ a quella di Jannik Sinner.
«Siamo due atleti giovani e tutti e due abbiamo dovuto fare delle scelte, in questo senso sì, abbiamo probabilmente qualcosa in comune.»
Recentemente si è parlato tanto del ruolo attivo degli atleti nella società, del loro interesse nei confronti di temi più profondi rispetto a quelli puramente sportivi che tante volte avevano preferito evitare. Ci si è domandato se fosse giusto che i calciatori decidessero di affrontare delle sfide differenti, e lanciare messaggi di carattere politico senza averne il titolo, ma mettendoci comunque la faccia. Penso ad esempio a tutto quello fatto in prima persona dall’attaccante del Manchester United Marcus Rashford, per le communities locali e per i bambini inglesi.
Cosa ne pensi dell’impatto che alcuni giocatori come Rashford stanno avendo fuori dal campo?
«Penso che i calciatori che hanno così tanto seguito e visibilità hanno il potere di comunicare concetti positivi e chiunque intraprenda delle iniziative del genere faccia solo del bene, quindi ben vengano.»
A proposito di giocatori giovani ma già maturi e capaci di grandi cose (Rashford ha solamente 23 anni), un altro tema di cui mi sembrava opportuno parlare è quello relativo all’esordio, un momento particolare nella carriera di ogni calciatore. Nessuno può insegnare ad un ragazzo come si gestisce mentalmente un avvenimento così delicato, che talvolta costringe a fare i conti con la pressione e le aspettative dell’ambiente circostante. Dopo aver giocato nelle giovanili bianconere per anni, Nicolussi Caviglia ha debuttato in Serie A nel marzo 2019 contro l’Udinese, subentrando nel secondo tempo.
Ci racconti un po’ del tuo esordio, e soprattutto di cosa passa per la testa di un ragazzo di 18 anni che sta per esordire con la Juventus?
«É un ricordo fresco ma che rimarrà indelebile, è stato il giorno più bello della mia vita, ma nessun racconto di un sogno può descrivere veramente l’atmosfera del sogno. Ho iniziato il mio percorso con la Juventus quando avevo 8 anni e ho passato tutti i giorni ad allenarmi pensando a quel momento, poi quando finalmente sono entrato sono rimasto davvero concentrato e posso dire che è andata bene. Ogni esordio ha a che fare col principio delle cose. Per me è stato un nuovo inizio. Con l’esordio sono cresciuto, anche emotivamente. Dentro di me conservo tutti gli insegnamenti avuti fin qui con il desiderio di maturarli. Credo che il senso di un viaggio stia tutto nel percorso. Imparare mi piace, soprattutto dai grandi maestri.»
Le tue esperienze in prestito erano parte di questo percorso? A proposito di grandi maestri (hai già avuto tantissimi allenatori, Massimiliano Allegri, Serse Cosmi, Fabio Grosso, Francesco Baldini), a chi devi di più?
«Le esperienze a Perugia e Parma sono due ‘prestiti di formazione’ e sono molto contento di aver fatto parte, nel mio piccolo, della storia di questi club. A Parma sono rimasto poco tempo, purtroppo, solo due mesi e senza ritiro preliminare. Avrei voluto giocarmela molto diversamente da come è andata! Ho potuto disputare solo le due gare di Coppa Italia. Quanto ai grandi maestri, ne ho avuti e sono loro grato. Ognuno di loro mi ha formato attraverso le proprie peculiarità. Ma nel mio cuore c’è un mister che ha un posto speciale, è l’allenatore con cui sono stato per anni nel settore giovanile della Juventus, ‘Ciccio’ Grabbi, una persona con cui ho condiviso momenti fondamentali della mia crescita.»
Ma invece chi è il giocatore che secondo te interpreta meglio il tuo ruolo in campo?
«De Bruyne! É il giocatore a cui non manca nulla, e poi sa fare tutto.»
Ti piacerebbe continuare il tuo percorso giocando all’estero?
«Sicuramente si, è un’esperienza che mi piacerebbe provare magari più in là. Se c’è un campionato che mi affascina più degli altri quello è la Premier League, più che altro per i ritmi e l’espressione della tecnica in velocità che ti porta a pensare più velocemente.»
Tra le evoluzioni più recenti del mondo del calcio c’è anche quella estetica, con i top club sempre più interessati ad intraprendere nuove direzioni commerciali e a contaminare altri settori.
Hai visto la maglia Kappa x Marcelo Burlon x SSC Napoli e il nuovo Fourth Kit dell’Inter? Che ne pensi dei rapporti tra squadre di calcio e fashion brand e degli intrecci sport&moda sempre più frequenti?
«Si, certo, può piacere o no ma fa parte del nuovo modo di intendere il calcio, e riprende quello già fatto dal PSG con Jordan e dalla Juventus con Palace, una collaborazione che a me è piaciuta. Per fortuna ho conservato una maglia perché adesso non si riesce a trovare più in commercio.»
C’è qualche maglia che ti è piaciuta particolarmente? Le collezioni?
«Mi piacciono soprattutto le maglie…sudate. Mi piace scambiarle con i calciatori che affronto e con gli amici, due maglie che custodisco a casa sono quella di de Jong dell’Ajax, che lui mi ha dato all’Arena, e quella che ho scambiato con Villar della Roma, un calciatore che mi piace davvero tanto (e che poi tra l’altro ha pure il numero 14!).»
Qual è il tuo rapporto personale con la moda? C’è qualcosa che ti piace indossare più di ogni altra cosa?
«Mi piace scegliere cosa indosso, cosa compro e come comportarmi. Rispetto agli abiti e agli oggetti, a volte scelgo cose che corrispondono al gusto del momento, a volte no. Non mi piace la moda se è intesa come omologazione, o come ambizione. In questo senso, le persone più alla moda non sono sempre le persone più consone, anzi, spesso sono usate dalle cose e hanno un aspetto volgare. Credo che ognuno dovrebbe avere la propria, di moda, possedere una certa qualità di interpretazione di sé e del proprio momento, con i mezzi che ha, quali essi siano.»