Harry Styles, una figura centrale del pop contemporaneo (anche) grazie al suo stile

Nel video di “Treat People With Kindness”, un estratto del secondo album “Fine Line” uscito pochi giorni fa, Harry Styles balla al fianco di Phoebe Waller-Bridge sfoggiando giacca, maglia a rombi e papillon interamente cosparsi di paillettes, un ensemble che più sparkling non si può, firmato ancora una volta Gucci.
La clip è soltanto l’ennesimo tassello nella costruzione di una superstar del pop da oltre 35 milioni di follower su Instagram, ammirata e seguita anche, forse soprattutto, per lo stile rutilante, camaleontico, costantemente in fieri, espressione di una personalità propensa a esplorare ogni sfaccettatura della mascolinità, dall’empatia verso il prossimo alla fluidità di genere.

I look del cantante inglese sono lo specchio di una spiccata sensibilità, che lo porta a intercettare con estrema naturalezza i cambiamenti e gli umori che attraversano la nostra società. Dall’inizio del suo percorso da solista dopo i fasti degli One Direction, Styles ha così abbracciato senza remore temi di grande impatto, dalle istanze LGBTQ+ a quelle del movimento Black Lives Matter, all’inclusione e accettazione di sé; ha fatto propria quell’inclinazione alla nostalgia che, oggi, caratterizza buona parte del panorama mainstream, recuperando gli stilemi degli anni ‘60 e ‘70 sul piano sia musicale sia estetico, guardando a mostri sacri come Mick Jagger, David Bowie, Prince o Elton John; si è messo alla prova in contesti più o meno affini alla musica, recitando in “Dunkirk” di Christopher Nolan e prestandosi volentieri agli sketch di programmi quali “The Late Late Show” e “Saturday Night Live“.

Per non dire poi della questione relativa al gender fluid, che lo ha visto sfidare stereotipi e tabù maschili consolidati a colpi di unghie smaltate, tessuti eterei – dallo chiffon alla seta – e capi o accessori presi in prestito dal guardaroba di lei; un percorso culminato nella cover del numero di dicembre di Vogue Usa, dove mostra sotto la giacca da smoking un vaporoso abito a balze, primo uomo a guadagnarsi in solitaria la copertina della “bibbia dello stile” nei 128 anni di attività della rivista.

Proprio in virtù degli outfit estrosi, a tutto colore esibiti dentro e fuori dal palco, Styles è diventato una celebrità assoluta, status sancito anche dall’abituale report Year in Fashion di Lyst, che lo ha eletto «power dresser» più influente del 2020, in grado di far aumentare vertiginosamente le ricerche relative ai pezzi indossati di volta in volta, si tratti del bucket hat giallo visto in “Golden” (+92% di visualizzazioni nel giorno seguente l’uscita del singolo) o del cardigan patchwork JW Anderson (+166%).

Questo 26enne originario di Redditch è ormai una star che macina milioni tra dischi, stream e visualizzazioni su Spotify, YouTube e altre piattaforme, un dato sorprendente se si considera la sua evoluzione sotto il profilo artistico e, ancora di più, stilistico.
Durante gli anni degli One Direction, infatti, l’abbigliamento di Styles risultava coerente con l’immagine di un teen idol adorato da legioni di fan della band, lanciata dall’edizione britannica di “X Factor” del 2010 e trasformatasi rapidamente in un vero e proprio fenomeno mediatico.
Mise ricercate ma tutto sommato canoniche quindi, all’insegna di completi affusolati, pantaloni skinny e boots sfinati, sostituiti nelle occasioni meno formali da evergreen come t-shirt morbide, felpe e capispalla avvolgenti; presente con una certa regolarità alle sfilate di Burberry, il cantante rivelava un debole per gli abiti dall’aplomb british, tra suit sartoriali tagliati al millimetro, trench e blouson in suede, senza tralasciare i vezzi da rocker – blazer ricamati, giubbini animalier, bomber dai decori scintillanti, stivaletti scamosciati e così via.

Il punto di svolta risale alla fine del 2015, quando il frontman del gruppo – che verrà messo in stand by l’anno seguente – comincia a indossare le creazioni di Gucci, marchio che nello stesso periodo, grazie alla cifra caleidoscopica e massimalista del neo direttore creativo Alessandro Michele, pone le basi di una scalata fulminea ai vertici del fashion system.
È l’inizio del sodalizio con la griffe, che si rafforzerà parallelamente alla carriera da solista di Styles, scandito dalla sfilza di look man mano più eclettici e appariscenti, in equilibrio tra i codici dello stile seventies e la totale libertà espressiva, che scansa etichette o categorie di qualunque tipo.

Da una parte si susseguono dunque completi dalle linee svasate, pantaloni flared, bluse con fiocchi voluminosi, giacche spolverate di glitter e fantasie tapestry; dall’altra, il cantante fa propri con nonchalance indumenti e accessori tradizionalmente appannaggio del pubblico femminile (i top in pizzo, le camicie floreali, il filo di perle in bella vista sul collo, la borsa Jackie di Gucci, ripensata dalla label in chiave genderless, ecc. ), per non dire dello smalto colorato sulle unghie.
L’intesa con Alessandro Michele è pressoché totale, e viene suggellata dal Met Gala 2019 in cui i due calcano insieme il tappeto rosso: a calamitare le attenzioni è soprattutto Styles, in una jumpsuit trasparente increspata da ruches e jabot.

Prima e dopo la kermesse di moda più seguita al mondo, l’ex One Direction è stato testimonial di Gucci Tailoring per tre stagioni (A/I 2018-19, Cruise e Pre-Fall 2019), indossando con notevole disinvoltura gli abiti dal twist retrò della linea, si è ritagliato un ruolo da protagonista nella campagna del profumo Mémoire d’une Odeur ed è apparso, infine, in uno spezzone della miniserie Ouverture of Something that Never Ended, vestito con tee rosa confetto, shorts in denim, calzettoni e gli inossidabili mocassini col morsetto del brand.

Styles a dire la verità ricorre di frequente anche ad altre griffe, con un occhio di riguardo per gli stilisti impegnati nello sfumare quanto più possibile i confini tra generi, prediligendo ad esempio i capi fortemente scenografici realizzati da Palomo Spain o Harris Reed.
Limitandosi ad alcune delle uscite più recenti, si possono menzionare i pantaloni in velluto millerighe animati da disegni, toppe e scritte, personalizzati ad hoc dal marchio Bode, oppure la mise Lanvin composta da gilet a pois su loose pants sartoriali, o ancora il completo tre pezzi giallo citrino di Marc Jacobs, appartenente tra l’altro alla collezione donna s/s 2020 del designer americano.

Quella con la maison della doppia G è tuttavia una sorta di affinità elettiva, portata al massimo grado dagli outfit pensati per i vari progetti ed esibizioni dell’artista, che siano i concerti del Live on Tour o i videoclip dei brani di “Fine Line”. Gli esempi sono innumerevoli, tra tute di macramè, motivi optical, jeans a zampa, field jacket in denim scuro, texture finestrate, abiti dalle tonalità pastello alternati ad altri color block e chi più ne ha più ne metta.

Nel frattempo, Styles prosegue a infrangere cliché profondamente radicati nell’immaginario maschile: la già citata cover story di Vogue, in effetti, era stata preceduta in estate da quella del magazine Beauty Papers, in cui posava davanti all’obiettivo del fotografo Casper Sejersen indossando solamente collant a rete e loafers con il tacco (Gucci, ça va sans dire).
Lui, da parte sua, sembra quasi stupirsi del clamore suscitato da determinate scelte, e precisa che «è come qualsiasi cosa: ogni volta che metti delle barriere nella tua vita, ti stai limitando. C’è così tanta gioia nel giocare con i vestiti. Non ho mai pensato troppo a cosa significhi: è solo un altro modo di essere creativi».
Una figura poliedrica insomma, che il giornalista di Rolling Stones Rob Sheffield ha cercato di tratteggiare parlando di «un ragazzo curioso che non riesce a decidere se essere la popstar più adorata del mondo o un artista eccentrico. E allora decide di essere entrambi». Difficile immaginare una definizione più calzante.