Molto improbabile fino a pochi anni fa, in questa stagione i calciatori statunitensi stanno trovando sempre maggiore spazio nel calcio europeo, fino a figurare quasi stabilmente tra i titolari di squadre blasonate: nella Juventus non è affatto passato inosservato l’arrivo di Weston McKennie; nel Chelsea la numero 10 è indossata da Christian Pulisic; il Barcellona in estate ha invece scelto di puntare su Sergiño Dest come terzino destro, soffiandolo alla concorrenza del Bayern Monaco, che ha comunque in rosa un altro giovane elemento di valore proveniente dagli States, Chris Richards. Il numero dei calciatori made in USA presenti nelle rose dei club di Serie A, Liga, Premier League e soprattutto Bundesliga potrebbe essere ulteriormente esteso, ma soprattutto è destinato ad aumentare ancora nei prossimi anni, assolutamente non per caso. Questo perchè dopo il tremendo fallimento della scorsa generazione, culminato con la sorprendente sconfitta contro Trinidad & Tobago nell’ottobre del 2017 che ha causato l’estromissione dai Mondiali di Russia dell’anno seguente, il movimento calcistico statunitense, che già aveva fatto intravedere dei segnali incoraggianti all’inizio del decennio scorso, sembra aver ripreso il suo percorso di crescita. E punta non soltanto a vivere un ruolo importante nella prossima Coppa del Mondo, ma a presentarsi nel migliore dei modi ai Mondiali del 2026, quelli che gli Stati Uniti ospiteranno insieme a Messico e Canada.
La prepotente ribalta della new wave di calciatori nordamericani è strettamente legata a quella del proprio campionato nazionale di riferimento, la Major League Soccer, che negli ultimi anni sta vivendo il suo periodo di massimo splendore. In un Paese che ha beneficiato moltissimo della popolarità e dei trionfi del calcio femminile, ma anche dell’hype dovuto agli arrivi dei vari Ibrahimovic, Kakà, Henry, Pirlo e Drogba, quello che ha aiutato maggiormente la produzione di giovani calciatori di prospettiva è stato il recente upgrade nell’organizzazione delle academies sparse su tutto il territorio nazionale e il lavoro svolto in maniera funzionale allo sbarco dei giocatori più promettenti nel professionismo, e subito dopo in Europa. Il programma denominato US Soccer Development Academy, organizzato dalla Federazione a partire dal 2007, nei mesi scorsi è stato ulteriormente perfezionato portando alla nascita della piattaforma MLS Next, di cui si occupa esclusivamente la MLS e che coinvolge oltre 110 club e più di 9000 baby calciatori statunitensi e canadesi, suddivisi in sei categorie dall’Under 13 all’Under 19, e il cui funzionamento è finalizzato sullo sviluppo tecnico con metodi di allenamento standardizzati. Tutto ciò seguendo un manifesto molto chiaro e preciso, studiato nei minimi dettagli, e che ha permesso di rafforzare sinergie e affiliazioni con club e federazioni europee, coinvolte più che mai in questo enorme piano di esportazione e condivisione di talenti: oltre ad aver recentemente costituito un canale privilegiato con la Federazione Francese, quello che resta estremamente solido è il legame con la Germania e con il calcio tedesco. Il Bayern Monaco, ad esempio, lavora da anni con il FC Dallas (e questo ha permesso, oltre che l’arrivo di Richards, anche la pianificazione di tantissimi scambi tra il Texas e la Baviera che hanno coinvolto anche Bryan Reynolds, il terzino destro ad un passo dal firmare con la Juventus), mentre è di più recente costituzione la partnership strategica tra l’Hoffenheim e il FC Cincinnati, finalizzata ad una crescita parallela dei due club. Ma il rapporto tra il calcio statunitense e quello tedesco è ben più fitto e articolato e ha radici lontane.
Per chiarire le idee è obbligatorio elencare una serie di nomi, che a partire degli anni ‘90 ad oggi hanno marcato sempre più questa connessione così fortunata. Innanzitutto iniziamo col dire che hanno giocato in Bundesliga 58 statunitensi ma soprattutto due tra i giocatori più rappresentativi della storia del calcio a stelle e strisce: Claudio Reyna, l’ex capitano della Nazionale (nonché papà del nuovo fenomeno del Borussia Dortmund, Giovanni) sbarcato in Germania poco dopo i Mondiali di USA 1994, e Landon Donovan, miglior realizzatore della Nazionale e della MLS. E poi ancora vi dice qualcosa Jürgen Klinsmann? L’attaccante tedesco fu allenatore della Germania e degli USA per cinque anni, a cavallo dei Mondiali 2014. Hanno fatto fortuna in Bundesliga anche John Anthony Brooks al Wolfsburg e Timothy Chandler all’Eintracht. Poi è arrivato il momento di Pulisic, McKennie (cresciuto nei pressi della base aerea di Ramstein dove il papà faceva il militare), Josh Sargent del Werder Brema, Tyler Adams del Lipsia (nel cv ha già un gol vittoria nei quarti di Champions League, a 21 anni) e di Matthew Hoppe, capace di salvare lo Schalke 04 dalla peggior striscia negativa di sempre e nel frattempo di diventare il primo statunitense a siglare una tripletta nella Serie A tedesca.
Il nome del futuro potrebbe essere invece Joe Scally, altro laterale destro che il Borussia Mönchengladbach ha appena acquistato dal New York City FC, dopo averlo prenotato mesi fa. Il senso di questo listone, in cui non figurano gli americani protagonisti altrove (in Premier League ad esempio, dove non è si mai insediata una vera e propria colonia di americani ma si ricordano solo pochi grandi interpreti, Clint Dempsey e Tim Howard su tutti), sta comunque nel voler dimostrare i motivi di questa fortunata relazione. Per caratteristiche intrinseche (poca pressione nei confronti dei risultati, nessuna diffidenza su chi arriva dall’estero, grande fiducia nei giovani) la Bundesliga è sempre stata storicamente considerata un approdo ideale e un torneo particolarmente fertile per la crescita dei calciatori statunitensi. Anche perché spesso sono stati proprio i giocatori ad essersi rivelati congeniali al modo di giocare della Bundesliga (Tyler Adams, ad esempio, si è rivelato il quarterback di cui aveva bisogno Nagelsmann a Lipsia): per questi motivi, soprattutto in tempi recenti, dopo l’arrivo del giovanissimo Christian Pulisic a Dortmund, giocarci è divenuto un obiettivo professionale molto ambìto per i giovani provenienti dall’altra parte dell’oceano, rinfrancati dal rapido e clamoroso impatto del giocatore di origini croate nato in Pennsylvania.
Tra i grandi meriti della nuova generazione di calciatori statunitensi c’è sicuramente quello di aver finalmente contribuito a rimuovere un immaginario sbagliato sulle loro qualità e sulle possibilità di vederli nel ruolo di protagonisti in uno scenario complicato e competitivo come il calcio europeo. Lo stesso immaginario secondo il quale i calciatori americani venivano spesso bocciati ancor prima di essere valutati sul serio (senza andare troppo indietro negli anni, Alphonso Davies, sebbene di nazionalità canadese, fu scartato da alcuni dirigenti del Barcellona semplicemente perché proveniente da un club della MLS, i Vancouver Whitecaps), oppure ricordati per anni per essere diventati dei modelli in negativo, per le loro performance deludenti o per aver disatteso i pronostici (si pensi a Freddy Adu).
Nel nuovo progetto del calcio USA, che può vantare tre piazzamenti consecutivi ai quarti di finale dei Mondiali U20, non solo c’è spazio per tutti ma molti lo hanno ritenuto credibile fin da subito, perfino molti calciatori dalla doppia nazionalità che qualche anno fa avrebbero tentennato parecchio prima di accettare una chiamata in nazionale maggiore. Dest, ad esempio, nato ad Almere da mamma olandese, ha rifiutato la Nazionale Orange e ha scelto di rappresentare quella a stelle e strisce: nel frattempo coach Gregg Berhalter (un passato in Bundesliga anche per lui, nell’Energie Cottbus), non ha perso tempo ed ha approfittato delle recenti amichevoli internazionali per convincere il classe 2002 del Valencia Yunus Musah e il 2001 del Wolverhampton Owen Otasowie, entrambi richiesti da una folta schiera di pretendenti. Con loro un altro bel prospetto, il 2001 del Barça B Konrad de la Fuente. Domani potrebbe toccare al 2002 di papà bresciano in forza allo Sporting Kansas City, Gianluca Busio.
No, non ci siamo dimenticati di Brenden Aaronson: il trequartista dei Philadelphia Union, reduce da un’ottima stagione di MLS ma soprattutto perfetto esempio di calciatore cresciuto nelle academies statali, ha di fatto sostituito Dominik Szoboszlai nel roster del Red Bull Salisburgo. In Austria troverà Jesse Marsch, ad oggi senza dubbio il miglior allenatore statunitense in circolazione (anche se occhio a Pellegrino Matarazzo, che sta facendo molto bene con lo Stoccarda), un passato a Lipsia come vice di Nagelsmann e destinato a far parlare di sé ancora negli anni che verranno. Come forse avrete immaginato, anche il colosso austriaco è decisamente protagonista dello sviluppo del calcio americano, se non altro perché proprietario dal 2006 della squadra nata come New Jersey Metrostars e poi divenuta New York Red Bulls, quella in cui giocò anche Thierry Henry a fine carriera. Dalle parti di Harrison, dove gioca i suoi incontri casalinghi, si parla un gran bene di Caden Clark: nato nel 2003, ha segnato all’esordio in MLS e di segnato pare avere anche il destino: affermarsi in Europa, probabilmente passando per la Germania.