Jannik Sinner ha solamente vent’anni, è tra i giovani tennisti più promettenti in circolazione e da oltre un anno ha un proprio logo personale, che pochi giorni fa ha nuovamente postato sul proprio profilo Instagram, con annessa grafica che ne spiega il significato. Come i loghi di tanti altri sportivi famosi, quello di Sinner contiene le sue iniziali, un collegamento al soprannome “Fox”, affibbiatogli sin dai tempi della scuola, e uno alle sue origini montanare, visto che è cresciuto in Val Pusteria, sulle Dolomiti orientali. Per il momento, il tennista italiano è l’unico ad aver lavorato così in anticipo sulla sua visual identity, a differenza ad esempio di Matteo Berrettini, cinque anni più grande di Sinner e pure più avanti in classifica: l’altoatesino non lo utilizza per griffare gli indumenti che indossa durante i suoi incontri o per scopi di carattere commerciale, ma come semplice segno di riconoscimento. Questo logo lo identifica e verrà utilizzato, con tutta probabilità, quando la sua carriera sportiva entrerà ancora di più nel vivo.
Ovviamente quello di Sinner non è il primo e neanche l’unico logo scelto da professionisti nel mondo del tennis: tra i più famosi ci sono sicuramente quelli utilizzati nell’ultimo ventennio dai cosiddetti Big Four (Roger Federer, Rafael Nadal, Novak Djokovic e Andy Murray), mentre più recentemente ha ottenuto una certa popolarità quello scelto da Naomi Ōsaka per la sua prima collezione con Nike, in cui le iniziali si fondono con la bandiera giapponese. Il logo RF, ad esempio, è apparso per la prima volta nel 2006 e ha accompagnato per anni i successi di Federer, ma dopo la fine del rapporto di sponsorizzazione con Nike e la firma con Uniqlo è stato comprato direttamente dal tennista così da permettere al marchio giapponese di poterlo riutilizzare dopo anni, come avevamo raccontato in questo articolo. Lo stemma di Nadal, invece, non contiene le sue iniziali ma è la rappresentazione stilizzata di uno dei suoi nickname, “Toro Scatenato”: compare su tutti i prodotti d’abbigliamento realizzati da Nike, perfino sulle scarpe, e accompagna anche molte sue attività extra, come quella della Rafa Nadal Academy. E se quello di Djokovic può sembrare apparentemente semplice, è il contrario: è molto più complicato del previsto.
La paternità dei loghi ha spesso causato diatribe legali tra atleti e brand per questioni di copyright, spesso difficili da interpretare: un caso simile a quello che ha coinvolto Federer è quello che riguarda Kawhi Leonard che, dopo aver firmato con New Balance, ha fatto causa a Nike per reclamare i diritti sul celebre logo Klaw, che però è rimasto al brand americano. Quasi tutti i più importanti giocatori della NBA hanno una signature: da LeBron James a Kevin Durant, passando per Steph Curry, Chris Paul, Kyrie Irving, James Harden e Carmelo Anthony. Ne aveva uno anche Kobe Bryant, e pure abbastanza riconoscibile: niente iniziali o riferimenti al suo soprannome “The Black Mamba” ma un simbolo che ricorda la guaina di una spada, che debuttò nel 2003 dopo che il campione NBA firmò con Nike. Dopo la sua morte non viene più utilizzato e recentemente, vedi la release delle nuove Nike Kobe VI “Sweet Sixteen”, il logo posizionato sul retro è quello della Mamba & Mambacita Sports Foundation.
Le signature dei campioni di NBA vengono utilizzate molto spesso per griffare capi d’abbigliamento e sneaker e giocano un ruolo molto importante all’interno delle collezioni dedicate, per questo motivo risultano quasi sempre parecchio costruite, non limitandosi a essere l’accostamento di due lettere dell’alfabeto. Quelle di alcune stelle sono delle vere e proprie silhouette, vedi quella di Shaquille O’Neal che rappresenta una delle sue tante schiacciate e che per anni è stata scelta per i suoi prodotti firmati Reebok. Più recentemente, con la nascita dei cosiddetti own brand, contraddistinguere l’atleta con un logo è stato inevitabile: è successo con la nascita di Way of Wade, il marchio creato da Dwyane Wade e Li-Ning, e pure nel caso del Curry Brand, per cui Under Armour ha addirittura lanciato un secondo logo per rappresentare Steph Curry, che già ne utilizzava uno da anni sempre attraverso il marchio statunitense.
Pur restando molto meno visibili, in quanto non vengono mai sfoggiati sul campo, i loghi personali sono molto diffusi anche nel mondo del calcio. Nonostante si tratti di uno sport di squadra, negli ultimi anni non è riuscito ad evitare un processo di brandizzazione individuale che ha riguardato gli interpreti più famosi di questo sport (Lionel Messi, Cristiano Ronaldo, Kylian Mbappé, Robert Lewandowski, pure Alessandro Del Piero e Francesco Totti) ma anche altri molto meno rinomati. Di regola si tratta di operazioni legate allo sfruttamento economico del calciatore inteso come marchio, e finalizzato a progetti di merchandising o di altra natura commerciale, in taluni casi concordate con lo sponsor tecnico a cui il calciatore è legato: uno degli esempi migliori è quello di Neymar Jr., che aveva già un logo personale ai tempi del rapporto con Nike e che ne ha svelato uno differente quando è passato a far parte della PUMA family nel 2020. I casi simili a questo sono comunque innumerevoli, vedi le recenti campagne di Nike con Jadon Sancho e di adidas con Paul Pogba.
Al contrario, altre volte la creazione di uno stemma personale va semplicemente inquadrata come la costruzione artificiale e accessoria di una brand equity che possa esaltare al meglio il calciatore da un punto di vista extra campo, e che possa risultare appetibile per eventuali partnership o attirare nuove collaborazioni. Anche tra i calciatori il modello più ricorrente è quello dell’unione delle iniziali del nome e del cognome, assemblate o intrecciate tra di loro, mentre sono meno frequenti i loghi che prendono in considerazione un numero storicamente utilizzato (il tedesco Toni Kroos e il “suo” 8) o un’esultanza tipica. Paulo Dybala, ad esempio, partendo dalla sua celebre Dybala Mask è poi arrivato all’elmo di un guerriero. Memphis Depay invece ha lanciato la sua personale linea d’abbigliamento sfruttando, in maniera stilizzata, la blind and deaf to the world celebration che aveva iniziato a mostrare già ai tempi dell’Olympique Lione.
Dopo un po’ di anni che assistiamo a questo fenomeno bisogna dirlo: a parte qualche eccezione la maggior parte dei loghi dei calciatori – e degli sportivi in generale – risulta graficamente molto poco accattivante e talvolta anche poco originale. E la conseguenza è che spesso e volentieri, solamente una piccola parte di questi stemmi riesce veramente a risultare riconoscibile, per non dire iconica, o quantomeno a legarsi veramente al personaggio così da rimanere impressa nell’immaginario comune come segno distintivo dell’atleta che rappresenta.