Il primo marzo è sbarcato su Netflix “Biggie: I Got A Story To Tell”, nuovo documentario che ripercorre la vita e la carriera di Notorious B.I.G., uno dei rapper più iconici della storia del genere, scomparso prematuramente prima ancora di compiere 25 anni. La sua storia è stata narrata diverse volte e su molteplici media, e la nuova opera diretta da Emmett Malloy non è stata pensata per portare alla luce nuove informazioni, quanto più per raccontare l’epopea del rapper newyorkese anche alle generazioni più giovani. Missione riuscita.
“Biggie: I Got A Story To Tell” è solo l’ultimo di una lunga serie di lavori documentaristici a tema musicale presenti sulla celebre piattaforma di streaming. Qualche tempo fa, in questo articolo, vi raccontavamo di quanti fossero i contenuti presenti (non solo su Netflix) legati al mondo dell’hip hop, sia con velleità biografiche che fittizie. Nel frattempo, sono usciti anche “Travis Scott: Look Mom I Can Fly” e “Everybody’s Everything”, documentari rispettivamente su Travis Scott e Lil Peep. Il primo è forse povero dal punto di vista della narrazione, ma compensa con un ritratto incredibilmente vivido e intenso del rapporto tra il rapper di Houston e il suo pubblico; il secondo, invece, l’abbiamo sviscerato in profondità, per poi parlarne anche con Mezzy, il regista, che ci ha raccontato quanto sia stato difficile creare un ritratto fedele di Peep, tragicamente scomparso nel 2017. Menzione d’onore a tema rap, nonostante sia effettivamente già citata nell’articolo sui contenuti a tema hip hop, è “I Ribelli”: la docuserie a puntate che racconta le storie di Dr. Dre e Jimmy Iovine, prima in parallelo e poi incrociandole, è un capolavoro di rara precisione e pathos, un must per chiunque abbia il benché minimo interesse nei confronti del mondo della discografia. Contenuto bonus per gli amanti dell’hip hop è invece “Sample This”, opera del 2012 diretta da Dan Forrer. Si tratta di un documentario che racconta la storia dimenticata dell’Incredible Bongo Band, band nata nel 1972 negli States, dedita alla produzione di tracce interamente strumentali, soprattutto funky. La loro importanza per il mondo hip hop è dovuta al fatto che è stata la loro musica a permettere a DJ Kool Herc di dar vita al movimento che tutti conosciamo oggi, recuperando i break di batteria proprio dai loro brani. Il documentario si avvale della voce narrante di Gene Simmons, fondatore dei KISS, e vede la partecipazione dello stesso Herc, di Questlove, Grandmaster Caz, Melle Mel, Afrika Bambaataa, della Rock Steady Crew e di altri pionieri dell’hip hop americano. Una vera gemma nascosta.
Allontanandosi dal rap non mancano, però, altre opere mastodontiche, soprattutto quando si entra nel pantheon di vere e proprie icone della musica. Nel 2013 Morgan Spurlock si imbarca nell’impresa di realizzare “One Direction: This Is Us”, documentario che racconta le origini e la storia di una delle boyband più di successo della storia contemporanea, nata letteralmente a tavolino; lo fa nel mezzo di un tour mondiale, che tocca palchi del livello della O2 Arena di Londra e del Madison Square Garden di New York. Nel 2015 invece esce “What Happened, Miss Simone?” di Liz Garbus, candidato nello stesso anno al Premio Oscar come Miglior Documentario. Ripercorre la vita di Nina Simone, una delle grandi voci soul della storia della musica – chiunque sia appassionato di rap avrà sentito almeno una volta un brano che campionava “Feeling Good” -, la cui vita è stata segnata da turbolenze continue, dovute al suo attivismo per i diritti civili e al clima politico degli anni ’60, che l’ha addirittura portata a trasferirsi in Liberia per un periodo. L’integrità dell’opera è testimoniata anche dalla presenza della figlia della cantante come produttrice esecutiva.
Nel 2016 arriva “I’ll Sleep When I’m dead”, documentario sull’eccentrico dj Steve Aoki. Il bello e il brutto della fama e del suo stile di vita sono stati raccontati da Justin Krook, a cui Aoki ha detto “ti sto permettendo di immortalarmi nudo e di mostrarlo al mondo”, per descrivere metaforicamente la sincerità del racconto, che si basa sul mondo del clubbing, ma anche sul ruolo da padre di famiglia dell’artista. Intervengono figure quali Diplo, Tiesto e will.i.am, ma anche nomi inaspettati, come quello di Travis Barker. L’anno dopo è il turno di “Gaga: Five Foot Two”, un tuffo nella vita di una delle popstar più iconoclaste del nuovo millennio. Mentre nel 2021 è in Italia per girare il kolossal “Gucci“, il documentario racconta la lavorazione del suo album “Joanne”, la preparazione dell’impressionante performance alla cinquantunesima edizione del Superbowl, e quello che comporta cimentarsi nella recitazione, con il suo ruolo in “American Horror Story: Hotel”, la quinta stagione della serie antologica.
Con un salto in avanti di due anni, e soprattutto allontanandoci dagli U.S.A., arriviamo a “Les étoiles vagabondes”, titolo in lingua originale di “Wandering stars”, documentario francese che racconta la storia di Nekfeu. Il rapper, attore e regista, classe 1990, è una superstar in patria, con oltre 1.5 milioni di copie vendute e tre Dischi di Diamante; l’opera mette in mostra le difficoltà della fama e la pressione delle aspettative su un creativo, che in quel momento sta allargando la propria portata oltre il territorio francese. Dello stesso anno è “HOMECOMING: A Film By Beyoncé”, non un vero e proprio documentario autobiografico sulla sua vita, quanto più un’analisi al microscopio della sua esibizione del 2018 al Coachella, uno – se non il – festival più importante d’America. Ancora oggi viene ritenuta una delle opere migliori di questo genere mai realizzate, a testimoniare la potenzia mediatica di Queen B, ma anche e soprattutto la caratura di tutti i suoi progetti, che siano album o altro.
Arriviamo al 2020 e ad altri due lavori importantissimi, con protagonista due pop star per certi versi profondamente simili e per altri incredibilmente diverse. Taylor Swift e Ariana Grande sono due titani della musica mondiale, che hanno scritto pagine e pagine sui libri dei record discografici, protagoniste indiscusse dei primi due decenni del duemila. La prima si racconta in “Miss Americana”: l’opera è un intenso, fragile e a tratti angosciante ritratto di tutto ciò che significhi convivere con la fama, con l’etichetta di teen idol, con le luci dei riflettori e i flash dei paparazzi sempre addosso. La maturità di Taylor Swift è disarmante, così come la forza messa in campo quando sceglie di schierarsi politicamente e ideologicamente, rinunciando al tipico alone di neutralità imposto a popstar del suo calibro. Dopo il documentario sono arrivati “Folklore” ed “Evermore”, due album rivoluzionari nella discografia dell’artista, sinonimo di quanto sia stato grande il cambiamento raccontato in “Miss Americana”. “Excuse Me, I Love You” è invece forse meno intenso a livello emotivo, ma molto evocativo dal punto di vista delle immagini. Ariana Grande, allora venticinquenne, viene seguita da Paul Dugdale durante il suo terzo tour mondiale, lo Sweetener World Tour, che racchiudeva i suoi ultimi due album in studio, “Sweetener” e “Thank U, Next”.
L’elenco potrebbe essere molto più lungo, visto lo sterminato catalogo di Netflix, e probabilmente qualcuno griderà allo scandalo, visto qualche escluso eccellente – ci sono documentari su Dolly Parton, sul viaggio dei Rolling Stones in America Latina -, ma quest’articolo non può e non vuole essere un compendio esaustivo. Per esserlo, dovrebbe aprirsi anche ad altre piattaforme: basti pensare a “The World’s A Little Blurry”, documentario su Billie Eilish uscito su Apple TV+ solo qualche settimana fa. Se siete davvero appassionati di musica, il consiglio è di provare a recuperarli tutti. Magari partendo da quelli elencati qui sopra.