I momenti più controversi nella storia di Sanremo

Da sempre il cast di Sanremo viene costruito cercando di mantenere complessi equilibri, ma soprattutto cercando di trovare una chiave per accontentare tutti: giovani e vecchi, tradizionalisti e innovatori, esterofili e autarchici, amanti del bel canto e della sperimentazione. Ma c’è anche un’altra categoria che non manca mai di essere soddisfatta: gli appassionati della polemica festivaliera. Che non è mai mancata: dagli anni ‘60 (in cui il gruppo beat dei Ribelli si presentò in scena indossando parrucche perché stufi di sentirsi dare dei capelloni, e poi si rifiutò di cedere il posto sul palco a Iva Zanicchi) agli anni ‘80 (con il finto pancione indossato da Loredana Bertè, che voleva lanciare il messaggio che la gravidanza non è una malattia), le diatribe mediatiche non sono mai mancate. Nelle edizioni del nuovo millennio, però, sembra che questa “quota polemica” sia quasi ricercata e inserita apposta nel cast. Quest’anno i più bacchettoni hanno già adocchiato La Sad, un gruppo giudicato fin troppo colorato (letteralmente e in senso figurato) prima ancora di ascoltare la canzone che porteranno in gara. I tre alfieri dell’emo-punk, però, sono solo gli ultimi di una lunga serie di “sorvegliati speciali” che, per ragioni più o meno bizzarre e più o meno comprensibili, negli anni hanno destato scandalo tra i telespettatori. In attesa che si apra ufficialmente il sipario dell’Ariston, abbiamo raccolto alcuni dei casi più emblematici degli ultimi 25 anni.

2000: Padre Alfonso Maria Parente – Che giorno sarà

Per la serie “tutto è relativo”, venticinque anni fa la trasgressione era costituita da un frate francescano sul palco dell’Ariston: molti fedeli si erano scandalizzati nel vedere un uomo di Dio in un contesto così mondano. La canzone, poi, era da far venire i capelli dritti ai benpensanti: uno storytelling con mendicanti, spacciatori, alcolizzati, prostitute ed eroinomani, che vivono nella più totale indifferenza, ignorati perfino dai preti che passano di lì. A leggere le cronache dell’epoca, oltretutto, padre Parente non sembrerebbe essere esattamente un monaco zen: fu accusato di aver prodotto una falsa autocertificazione per abbassarsi l’età e partecipare a Sanremo Giovani (nonché di aver spaccato un computer nella redazione del settimanale Stop, che ne aveva parlato in un articolo). 

2001: Sottotono – Mezze verità

Una polemica passata alla storia soprattutto per la sua infondatezza. A Festival già in corso, Striscia la Notizia aveva cominciato a mandare in onda una serie di servizi in cui i Sottotono venivano accusati di aver copiato Bye Bye Bye degli N’Sync, nota boy band in cui militava anche Justin Timberlake. Le due canzoni non si assomigliavano affatto ma, dopo una serie di fastidiosi inseguimenti e pedinamenti con telecamere e microfoni nella speranza di strappare a Big Fish e Tormento una dichiarazione compromettente, la discussione era culminata in una mezza rissa in sala stampa con l’inviato Valerio Staffelli. Un episodio spiacevolissimo, che purtroppo decretò la fine dei Sottotono come gruppo: sono tornati a fare musica insieme solo vent’anni dopo.

2008: Anna Tatangelo – Il mio amico

Cosa c’è di più nazionalpopolare e innocente di Anna Tatangelo, vi chiederete? Eppure con questa canzone scritta da Gigi D’Alessio è incorsa anche lei nelle ire dei puritani. E non solo nelle loro, perché con questa canzone è riuscita a scontentare praticamente tutti. Dedicata a un ragazzo gay, fu aspramente criticata non solo dai cattolici militanti, ma anche da parte della comunità LGBTQIA+ per la sua immagine stereotipata dell’omosessualità: dall’amico che “Fa di tutto per assomigliarmi tanto / Vuole amare come me” allo slogan finale “E a chi dice che non sei normale / Tu non piangere su quello che non sei”. Un grazie particolare a Checco Zalone che qualche anno dopo l’ha resa ulteriormente immortale con una parodia, sempre sul palco di Sanremo

2009: Povia – Luca era gay

Sono passati quindici anni e ancora non abbiamo capito cosa ci facesse Luca era gay al Festival, né come abbia fatto a classificarsi seconda, né tantomeno perché abbia vinto il premio della critica come miglior testo dell’anno. Fin da quando era stato svelato l’argomento del brano, ovvero la storia di tale Luca che prima diventa gay per colpa del pessimo rapporto col padre e poi torna miracolosamente etero sposandosi e mettendo su famiglia, si era giustamente sollevato un polverone incredibile: interrogazioni parlamentari da sinistra e radicali, proteste dell’Arcigay per le strade di Sanremo, un monologo del superospite Benigni dedicato a Oscar Wilde e all’omosessualità nella storia. Se non altro, per una volta l’indignazione generale era per una giusta causa.

2010: Povia – La verità

Ultima partecipazione di Povia a Sanremo, che per l’occasione compie una decisa inversione a U rispetto all’anno precedente e si riscopre difensore dei diritti civili, dedicando il suo brano a Eluana Englaro, una ragazza in stato vegetativo da decenni, i cui genitori si battevano per sospendere le terapie e lasciarla morire in pace. Stavolta a protestare e a indignarsi sono le associazioni cattoliche e la chiesa, che non apprezzano il fatto che al Festival della Canzone Italiana si faccia propaganda pro-eutanasia. Come risultato, vengono eliminati dal testo tutti i riferimenti diretti al caso Englaro, che all’epoca risulta enormemente divisivo per l’opinione pubblica. 

2015: KuTso – Elisa

Il rock demenziale al Festival si era già visto, ma i giovani Kutso ci mettono un po’ di pepe in più. Un po’ per il nome, evidente storpiatura di un termine che nei testi di Sanremo non è molto ben visto (e che negli annunci del presentatore Carlo Conti suona esattamente come quell’imprecazione lì); un po’ per il look (nel videoclip il barbutissimo frontman è vestito da Biancaneve, tanto per dirne una); un po’ per il contenuto del brano in gara. “Nel buio in fondo a un cinema / Facciamo petting a volontà / Io mi diverto e anche tu / Però lo ammetto vorrei di più”. E poi ancora: “Ti fermi e dici: dai non qui / Ci guardan tutti, basta così / E allora andiamo, scappiamo via / Non c’è nessuno a casa mia”. Vi lasciamo immaginare il resto, e soprattutto la faccia di vostra nonna mentre ascolta la canzone.

2016: Cecile – N.E.G.R.A.

Il razzismo è stato trattato in mille forme e sfumature sul palco dell’Ariston, ma l’allora ventunenne Cecile riuscì a urtare la sensibilità di parecchi con un brano volto a smascherare la mentalità di certi italiani, che culminava nel ritornello “Ne*ra, ne*ra, ne*ra / Ma quando mi vedi nuda / Non te ne fotte più”. Anche in questo caso, N.E.G.R.A. riuscì a scontentare ambo gli schieramenti: gli irreprensibili padri di famiglia di razza italica, che si vedevano smascherati nei loro doppi standard, e i giovani afroitaliani, che si chiedevano se era opportuno usare la n* word in quel contesto.

2019: Achille Lauro – Rolls Royce

Arriviamo praticamente ai giorni nostri, con un caso che ha fatto scuola: quello di Achille Lauro. Ex trapper, tatuaggi in faccia, look fluido, attitudine ribelle, aveva già tutte le carte in regola a priori per scatenare la polemica. La ciliegina sulla torta è stata (di nuovo) la campagna martellante di Striscia la Notizia, che a un certo punto si mise in testa che il logo della Rolls Royce fosse comunemente usato per marchiare le pasticche di ecstasy, e che di conseguenza la canzone fosse un “inno alla droga”. Per fortuna Lauro l’ha presa a ridere, e forse anche per quello è riuscito a diventare uno degli artisti italiani più nazionalpopolari della nuova generazione.

2020: Junior Cally – No grazie

A infiammare le polemiche contro Junior Cally non è stata la sua canzone in gara, ma un brano precedente, Strega: un classico ego trip da rapper, che era stato accusato di istigare alla violenza contro le donne. Ovviamente (come quasi sempre in questi casi) si trattava di metafore e invettive verbali, ma il suo linguaggio molto esplicito non era stato capito da una parte del pubblico, che ne invocava a gran voce la squalifica. C’è chi pensa che dietro a questa campagna mediatica ci fosse lo zampino dell’élite politica, che riteneva il brano in concorso troppo scomodo: No grazie conteneva infatti critiche molto nette sia nei confronti di Matteo Salvini (“Spero si capisca che odio il razzista / Che pensa al Paese ma è meglio il mojito”) che di Matteo Renzi (“E pure il liberista di centro-sinistra / Che perde partite e rifonda il partito”). 

2023: Rosa Chemical – Made in Italy

E arriviamo infine alla scorsa edizione di Sanremo, in cui la quota polemica ha i toni accesi del rosa shocking: quello di Rosa Chemical, che già dal nome è riuscito a confondere i più puritani (“Ma è un maschio o una femmina?”), per proseguire con il suo look ispirato al fetish e con i suoi testi ricchi di riferimenti a perversioni varie. A creare più scompiglio, però, non è la canzone che presenta, ma la performance dell’ultima serata, in cui l’ormai celebre limone con Fedez gli vale un esposto per atti osceni in luogo pubblico. Che la procura archivia subito, per fortuna. Anche perché immaginiamo che i magistrati abbiano cose più importanti di cui occuparsi.