I nuovi specialisti dei calci di punizione

Durano un attimo, giusto il tempo che impiega il pallone per terminare la propria parabola e finire dentro la porta. Ma in realtà la loro esecuzione è un rito che impiega molto di più se consideriamo il posizionamento esatto del pallone sul terreno di gioco da parte del tiratore, il calcolo della distanza e poi la costruzione della barriera, attentamente predisposta dal portiere e sistemata a non meno dei famosi 9 metri e 15 centimetri dal punto esatto in cui parte il tiro. Lo spazio temporale subito precedente, quello che culmina con il fischio dell’arbitro e la rincorsa preparatoria, è un insieme di sogni e speranze: si prova a immaginare chi batterà la punizione, quale potrebbe essere la traiettoria ideale, se è più indicato un tiratore destro o uno mancino. Quando viene assegnato un calcio di punizione, nonostante il cronometro continui a scorrere, è come se si fermasse la partita principale e ne iniziasse un’altra, quella che vede come protagonisti il calciatore incaricato della battuta, il portiere e i giocatori che formano la barriera (da qualche anno a questa parte ricopre un ruolo importante anche colui che forma il cosiddetto “coccodrillo”, sdraiandosi per terra pur di impedire al pallone di passare quando quest’ultimo si stacca dal terreno di gioco), che condizionano non poco il battitore nel momento di individuare una soluzione vincente, a tal punto da costringerlo, a volte, a modificare lo schema mentale che si era precedentemente immaginato e ad optare per una decisione differente pur di riuscire ad aggirare l’ostacolo.

A parte i calci di rigore, molto più frequenti e dall’esito troppo spesso ovvio e inesorabile, nessun altro evento così estemporaneo è capace di incidere sull’andamento di una partita in maniera più diretta e risolutiva di un calcio di punizione. E come tutti i momenti particolarmente delicati, c’è chi sa gestirli al meglio, riuscendo a coniugare la naturale abilità nel calciare alla capacità di mantenere alta la concentrazione e alla freddezza nel saper sfruttare i pochi attimi a disposizione. La storia del calcio si è rivelata ricchissima di specialisti universalmente riconosciuti, ma ultimamente in Italia si è parlato tanto della mancanza di degni successori in questa materia, forse perché qualche grande interprete si è ritirato (vengono in mente Alessandro Del Piero, Francesco Totti, Andrea Pirlo, Antonio Di Natale) o è andato a giocare altrove (Miralem Pjanić), e pochi stanno dimostrando di saper mantenere certe medie realizzative. In realtà i numeri della scorsa stagione dicono che, considerando i cinque grandi campionati europei, la Serie A è proprio quello in cui sono arrivate più reti attraverso i calci piazzati (23, più del doppio di quelli segnati nella Liga spagnola, appena 9), anche se ai tifosi di ben dieci squadre su venti è toccato aspettare tutto l’intero campionato per poter festeggiare un gol su punizione, per poi restare con l’esultanza strozzata in gola. 

Più che dell’estinzione di tiratori di professione, quei calciatori talmente temuti da mettere continuamente in apprensione i difensori avversari affinché evitino di commettere falli in prossimità del limite dell’area di rigore per non correre il rischio che possano tirarne uno, si può parlare più oggettivamente del fatto che i leader di questa speciale disciplina sono inevitabilmente cambiati, pur senza che vi siano state evoluzioni nel modo di calciare o di colpire il pallone per mandarlo in rete.

A tal proposito, non deve stupire che al momento il miglior tiratore di calci di punizione in Europa è probabilmente James Ward-Prowse. Il centrocampista inglese ha sempre e solo giocato nel Southampton, conta una manciata di presenze in Europa League con il suo club e anche qualche recente chiamata nella Nazionale dei Tre Leoni, eppure nel calciare le punizioni non è secondo a nessuno. Almeno stando alle statistiche della scorsa stagione, secondo le quali ha messo a segno, per il secondo anno consecutivo, 4 free kicks nel corso del campionato di Premier League, e tutti in maniera diversa: quelli realizzati contro Brighton & Hove, Leeds United, Crystal Palace e Wolverhampton si differenziano per posizione, distanza rispetto alla porta avversaria, preparazione e condizioni atmosferiche, a dimostrazione di quanto l’inglese abbia ormai aumentato la fiducia nei propri mezzi, ottenendo una consapevolezza tale da permettergli di adattarsi a sfide sempre nuove. Se c’è una cosa che accomuna tutte le reti realizzate da Ward-Prowse e che è difficile da non notare guardandolo colpire la palla, quella è la postura che il centrocampista britannico assume nel momento in cui impatta il pallone, una coordinazione che coinvolge anche gli arti superiori e il capo, che durante il movimento si inclina verso il basso, permettendogli di sprigionare al meglio la propria forza. Il capitano dei Saints ha dichiarato in passato di essersi allenato insieme all’ex compagno di squadra Rickie Lambert, ma la sua grande ispirazione è sempre stata la figura del connazionale David Beckham. Dopo aver superato Cristiano Ronaldo, Thierry Henry e Gianfranco Zola (12 gol ciascuno) nella speciale classifica dei migliori tiratori di sempre in Premier League, adesso l’allievo è arrivato a quota 14 e rischia di superare proprio il maestro, fermo a 18 gol. A favore della tesi di chi lo considera il miglior tiratore della sua generazione c’è anche il dato della conversion rate rispetto ai tentativi totali, che si aggira attorno al 14%: un dato estremamente alto e addirittura superiore a quello di tanti altri grandi professionisti in materia, come Lionel Messi.

Messi, che è alto appena un metro e sessantanove, e Ward-Prowse, quattro centimetri in più, hanno in comune la bassa statura, una caratteristica fisica che storicamente ha accomunato anche tanti altri celebri tiratori, forse perché dotati della proporzione ideale per calciare sia di precisione che di potenza. L’argentino, che nelle ultime tre stagioni con la maglia del Barcellona aveva segnato 16 volte su calcio di punizione, e dunque in quasi in tutte le maniere possibili, ha chiuso la sua prima da giocatore del Paris Saint-Germain a quota zero. D’altronde, garantire un certo rendimento sui calci piazzati è veramente difficile anche per i migliori, e dipende da tantissime variabili. Ci credereste se vi dicessi che il Milan di Ronaldinho, Andrea Pirlo, Clarence Seedorf, David Beckham (anche se per poche partite), Massimo Oddo e Marek Jankulovski ha concluso la stagione 2009/2010 senza convertire in rete manco un calcio di punizione? 

Probabilmente Simone Verdi avrà fatto tesoro di quelle sessioni extra passate a vedere calciare i compagni di squadra più esperti, indispensabili per rubare loro qualche segreto e poi provare a perfezionare la propria tecnica. Come tutte le arti, infatti, è necessario osservare ed esercitarsi a lungo prima di poterne disporre. Verdi allora aveva appena diciassette anni e stava trascorrendo la sua prima esperienza in un club di Serie A, proprio nella rosa di quel Milan così ricco di campioni, ed è anche grazie ai loro insegnamenti che oggi è diventato uno dei più bravi in circolazione. In una stagione di Serie A, la scorsa, in cui non si è vista neanche una rete su punizione dei vari Paulo Dybala, Dries Mertens, Hakan Çalhanoğlu, Domenico Berardi e Sergej Milinković-Savić, Verdi si è confermato uno dei battitori migliori. Non al Torino, però, dove aveva iniziato il campionato, ma alla Salernitana, dove si era trasferito nel corso del mercato di riparazione di gennaio. Debutto da titolare con la nuova maglia, all’Arechi contro lo Spezia, e subito due gol da piazzato, molto simili tra di loro ed entrambi bellissimi, gli unici della sua avventura in Campania ma ugualmente molto significativi. Nonostante i tanti cambi di casacca e le fugaci avventure tra Empoli, Carpi, Napoli e perfino Eibar, Verdi si era già reso protagonista di prodezze memorabili anche con la maglia del Bologna, tra cui quel record che gli invidiano in molti: essere riuscito a realizzare due gol su calcio di punizione nella stessa partita tirando con due piedi diversi, nel 2017 nella sfida casalinga persa dagli emiliani contro il Crotone. 

Tra i 17 calciatori che sono riusciti a segnare almeno un gol su calcio piazzato nella Serie A 2021/2022 ce ne sono stati soltanto due capaci di fare meglio di Verdi, che in realtà ha giocato di fatto metà campionato, e anche di Zlatan Ibrahimović, anche lui a quota 2 gol nonostante le tante assenze accumulate nell’arco della stagione: Lorenzo Pellegrini e Cristiano Biraghi. A parte il fatto di aver condiviso alcune convocazioni nella Nazionale italiana, i due azzurri hanno davvero poco altro in comune e calciano in modo completamente differente, non soltanto perché uno utilizza il destro e l’altro il sinistro. Nel rivedere le tre parabole imprendibili con cui Pellegrini ha superato i portieri di Cagliari, Juventus e Lazio (e quasi ci riusciva anche col Venezia, fermato dalla traversa), quella messa a segno nel corso del derby di ritorno, più delle altre due, mi ha trasmesso un senso di perfezione: se non altro perché la traiettoria del tiro scagliato dal capitano della Roma si è rivelata talmente impeccabile da vanificare del tutto il tuffo di Strakosha, per poi terminare la propria curva dentro la rete attraverso uno spazio di pochi centimetri, quelli strettamente necessari per non venire respinta dal portiere avversario. Pensando a Biraghi invece, che contro il Genoa è stato in grado di segnare addirittura una doppietta nello stesso match grazie a due punizioni arcuate, mi sono subito tornate in mente quelle di un altro calciatore che giocava sulla fascia sinistra della Fiorentina, Juan Manuel Vargas. Il modo in cui calciava il laterale era totalmente diverso, visto che in quei casi si trattava di tiri secchi e violenti dalla distanza, di collo pieno, dalla gittata impazzita e imprevedibile da calcolare per i portieri. In un certo senso è come se Biraghi avesse raccolto il testimone lasciato in sospeso dal sudamericano anni fa. Ma non solo: Biraghi può essere considerato il tiratore mancino più prolifico dei top cinque campionati d’Europa davanti a Leroy Sané del Bayern Monaco, e sta portando avanti la grande tradizione di difensori e terzini mancini fenomenali a calciare le punizioni dalla distanza, che ha avuto in Siniša Mihajlović e Aleksandar Kolarov i due migliori protagonisti dei tempi recenti in Serie A.
In questo novero di terzini sinistri dal piede caldo va inserito anche Federico Dimarco, uno dei potenziali eredi di questa dinastia: il calciatore dell’Inter aveva già fatto vedere di saper usare alla grande il suo mancino ai tempi della Nazionale Under 20 e poi soprattutto nel corso del periodo trascorso tra Parma e Hellas Verona, ma dopo la stupenda rete segnata contro la Sampdoria lo scorso settembre è entrata di diritto tra quelli, attualmente in attività, da temere maggiormente. Anche perché il calciatore nerazzurro ha la sensibilità per tirare a giro anche in maniera più potente (contro la Samp, infatti, ha scagliato il pallone ad oltre 100 chilometri orari). Tutto merito dei momenti che dice di ritagliarsi durante gli allenamenti con la squadra e che stanno contribuendo a mantenere viva la sua pericolosità sulle palle inattive.

Che poi, una delle ragioni per cui siamo così tanto appassionati ai gol su calcio di punizione è semplicemente legata alla loro difficoltà e di conseguenza alla loro oggettiva rarità, motivo per cui si arriva a provare un sincero sentimento di stima nei confronti di colui che ci riesce, a prescindere da come. Gol che vengono considerati gesti tecnici superiori, e dal valore maggiore. Nella scorsa Serie A, ad esempio, appena il 2% dei gol totali è arrivato su calcio piazzato, mentre a Euro 2020, l’ultimo grande torneo che abbiamo seguito con attenzione, a segnare è stato il solo Mikkel Damsgaard, l’unico capace di sbloccare la casella dei gol su punizione ferma a zero fino alla semifinale tra Inghilterra e Danimarca. E poi c’è un altro aspetto da considerare, una questione astratta che riguarda i pensieri che scattano nella testa di chi osserva la partita dall’esterno e anche in quella di chi si appresta a tirare ogni volta che l’arbitro fischia una punizione pericolosa. Un breve lasso di tempo che è un concentrato di immaginazione, straniamento, tensione, attesa, illusione che la palla possa entrare in porta.