Tra le tradizioni che hanno contribuito ad arricchire l’estetica del Roland Garros c’è sicuramente quella dei poster: gli affiches ufficiali del secondo Slam stagionale, in programma sulla terra rossa di Parigi tra fine maggio e inizio giugno, sono da oltre quarant’anni un modo unico di rappresentare il torneo, svincolato dal linguaggio puramente sportivo. Non deve stupire molto, in realtà, se consideriamo il duraturo rapporto tra la capitale francese e l’arte in tutte le sue forme, capace di influenzare anche la scena sportiva.
Il loro debutto risale al 1980 per volontà della Federazione francese di tennis che, insieme al French Open Tournament Committee e alla Galerie Lelong & Co., decise di affidare a degli artisti il compito di creare i manifesti della competizione.
Lo scorso febbraio è stato presentato il poster dell’edizione 2022 che inizierà il 22 maggio, realizzato dalla pittrice Louise Sartor, la seconda donna francese di sempre a cui è stato commissionato questo lavoro. Come succede ogni anno all’autore del manifesto viene chiesto di interpretare a modo suo il torneo, e in questo caso la giovane francese, che come ha dichiarato è sempre rimasta estranea rispetto al mondo del tennis, ha scelto di soffermarsi sulla figura dei giovani raccattapalle, che svolgono un ruolo fondamentale nel corso della competizione.
Non si tratta, insomma, di semplici souvenir: il penultimo in ordine cronologico, realizzato dal pittore figurativo Jean Claracq, ha preso spunto dalla storica introduzione delle sessioni serali ma ha fatto molto discutere per altri motivi. Secondo quanto scritto da Andrew Eccles su Racquet, infatti, si tratta di un manifesto assolutamente radicale perché gay; uno degli storici corrispondenti del New York Times, Christopher Clarey, l’ha invece definito “il primo poster socialmente distanziato”. L’apertura nei confronti dell’arte contemporanea ha dato modo a tanti artisti internazionali di esprimersi, focalizzarsi su temi e figure differenti, esaltare un colpo o un movimento. Secondo lo scultore spagnolo Jaume Plensa, autore del manifesto dell’edizione 2005, “creare un poster, non dovrebbe soltanto rappresentare visivamente l’evento, ma piuttosto svelarne l’anima. Ogni progetto dovrebbe, secondo me, essere una miscela di eccitazione e provocazione”.
Plensa non è stato l’unico artista iberico a realizzare uno degli affiches del Roland Garros: nella lunga lista in cui figurano i meno noti Jose Maria Sicilia, Juan Uslé, Antoni Tàpies e Antonio Saura c’è anche Joan Miró. Nel 1991 infatti fu scelto come poster ufficiale un disegno del pittore surrealista morto otto anni prima. Nel 1981 invece il compito di disegnare la locandina venne affidato al connazionale Eduardo Arroyo, il quale scelse di raffigurare, di spalle, uno dei personaggi del momento, ovvero il campione in carica del torneo Björn Borg, che avrebbe poi vinto anche l’edizione di quell’anno. In quella precedente, cioè la prima in assoluto di questa lunga iniziativa, l’autore fu invece un italiano trapiantato in Francia, il pop artist bolognese Valerio Adami.
Come si evince facilmente, i poster non si differenziano solamente per i colori utilizzati e l’oggetto che viene ritratto, ma riflettono differenti correnti artistiche e modi di intendere la pittura: nel corso degli anni si è potuto ammirare ad esempio la geometricità dei campi da tennis secondo Jean-Michel Folon e Kate Shepherd, la tecnica del collage adoperata da Jiří Kolář e Jan Voss, l’astrattismo del transavanguardista Nicola De Maria (il secondo italiano a figurare tra gli autori, nel 1989), e ancora, la creazione dello scultore esperto di installazioni Donald Lipski, l’umorismo satirico del fumettista Antonio Seguí, la tridimensionalità e la raffigurazione dell’argilla di Jane Hammond e il riferimento alla natura di Barthélémy Toguo.