Avete presente quel monologo di Miranda Priestly nel film “Il diavolo veste Prada”? Quello in cui lei sottolinea l’assoluta correlazione tra un maglioncino qualsiasi color ceruleo e il sistema moda tutto, quello “alto” che senza farsi vedere sceglie per te quello che ti piacerà un giorno abbastanza lontano? Ormai quel video è un meme però ha del vero: i vestiti che scegliamo mossi dalle tendenze e dal gusto personale sono in realtà stati pensati appositamente per noi, ritagliati sulle previsioni dei nostri gusti futuri da team di trend forecaster che qualche anno fa hanno analizzato con cura dei dati, li hanno tradotti in immagini e condiviso il tutto con i team creativi dei brand che con mesi o anni di anticipo stavano progettando le collezioni da mettere sul mercato.
“Cosa andrà di moda?” è una questione che più di tutte ossessiona le persone ma la vera domanda da porsi sarebbe “perché qualcosa va di moda?”. Entrambe le risposte sono da cercare nel trend forecasting che si occupa esattamente di prevede i colori, materiali, silhouettes e stili con uno scarto di uno o due anni sulle collezioni in arrivo. Se conoscere cosa sarà di tendenza è per molti solo una curiosità, per i brand è vitale alla sopravvivenza: devono essere sempre sul pezzo, anticipare i tempi e sviluppare i prodotti migliori da mettere sul mercato nei mesi o anni successivi seguendo macro- e micro-trend. Questo vuol dire che i colori o i pattern di tendenza per una stagione sono stati decisi con anni di anticipo e influenzati direttamente dal trend forecasting più che da ogni altra cosa.
Le agenzie di trend forecasting (come WGSN, Heuritech o Fashion Snoops) lavorano direttamente con i brand rendendo accessibili e traducibili in prodotti da un lato i movimenti sociali, economici e politici e gli avanzamenti tecnologici che delineeranno i macrotrend a lunga scadenza con un margine di almeno 6 mesi fino ad anni di anticipo, e dall’altro i tumulti della cultura pop responsabili invece dei microtrend più a breve termine. Ma come si fa a fare tutto questo? Il ruolo del trend forecaster è a metà tra l’analisi dei dati nudi e crudi e l’interpretazione personale dettata dall’intuito e dall’osservazione. A seconda della compagnia per cui si lavora o del metodo prescelto, i trend forecaster lavorano a volte con l’AI, a volte con software che “leggono” e studiano le immagini sui social, a volte con le informazioni estraibili dalle passerelle e altre da quelle che emergono dai dati sulle vendite e i comportamenti di acquisto.
Se un tempo sfilate e vendite dettavano legge per i creativi dietro ai brand, oggi la velocità dei consumi e della circolazione di informazioni ha battuto le fashion week rendendo il trend forecasting frenetico e soprattutto molto più attento a streetstyle e social, fuori dal circolo stretto dei creativi. Oggi quindi l’influenza su quello che sarà di tendenza (a livello di microtrend) arriva anche da quello che la community online di appassionati di moda pubblica sui social o quello che postano influencer e celebrity. Questi dati vengono tradotti dai trend forecaster in moodboard su cui poi i designer si tareranno trovando il compromesso (duro ma) necessario tra creatività e vendite — ricordando che, alla fine dei conti, la moda è un business e si regge su queste.
Le tendenze non sono un caso e la creatività dei designer non è così “pura”; un po’ come per le previsioni del meteo, ci sono fenomeni più o meno prevedibili o variabili ma giocando con anticipo e con l’appoggio dei dati è difficile per i brand mancare il colpo se si affidano al trend forecasting. Quindi, come già diceva Miranda Priestly la scelta di un prodotto da parte di un qualsiasi cliente non è altro che il frutto delle decisioni di sistemi più grandi (fatti da trend forecaster, team creativi, marketing e commerciali) che con mesi o anni di anticipo avevano previsto e “imboccato” al pubblico proprio quegli acquisti.