Che quella di ieri al Forum di Assago non sarebbe stata una serata come le altre era chiaro anche prima che Calcutta salisse sul palco. Ma quando prima del concerto, sia fuori dal Forum di Assago sia nell’arena, l’atmosfera è da bar. Il Relax, per citare l’album che dà il nome alla tournée, è tale per cui non sembra manchino pochi minuti a un concerto con oltre 10.000 spettatori. C’era però la scintilla dei grandi giorni. Quando poi, a luci spente, è salito sul palco sulle note di Coro, questa scintilla ha acceso un fuoco che è durato per un’ora e mezza. Certo, che la gente urli ai concerti è normale: nessuno paga un biglietto per un artista che non lo entusiasma (tranne, forse, qualcuno trascinato da un partner o un amico). Quello che non è normale è vedere un concerto di un’ora e mezza recitato a soggetto, parola per parola, come fosse una litania laica. Questo trend sarebbe continuato per tutto il concerto, con un calore e una costanza che non ha molti precedenti nella musica italiana. Anche le persone accanto non sembravano estranei: chi va ai concerti con una certa frequenza sa quanto fastidio si possa provare per i propri vicini. Al Forum di Assago, il 18 dicembre, sembrava invece una rimpatriata tra grandi amici di una volta, che non si vedono da tanto e condividono ogni passione.
A ottobre, prima dell’uscita di Relax, abbiamo scritto su Outpump che la musica di Calcutta è un’esperienza collettiva. Beh, questa data milanese del tour ne è la dimostrazione pratica. Forse, in senso laico, è stato ciò di più vicino a una messa Gospel a cui si possa assistere. Il Forum di Assago si è trasformato in una gigantesca automobile in viaggio verso chissà dove, in cui ogni passeggero ha cantato a squarciagola, senza vergogna di sbagliare una nota, come in un lungo viaggio autostradale in un pomeriggio d’estate. Uno di quei viaggi in cui, anche se hai voglia di arrivare, quasi ti spiace di che il viaggio sia finito. Il concerto di Calcutta è stato proprio questo: un’esperienza collettiva con pochi precedenti nella recente musica italiana. Tanto si potrebbe dire sul concerto dal punto di vista tecnico, come parlare dei visual, della performance, degli arrangiamenti, ma la verità, forse l’elemento più importante, è che a nessuno importava. Anche quando Calcutta è entrato maluccio su Kiwi, non è importato a nessuno. Non era il loggione della Scala, era un rito collettivo, dove l’importante era solo cantare assieme, essere partecipi. Una cosa non poteva non colpire: la quantità di persone in videochiamata. Un numero spropositato di persone, a momenti alterni, prendeva in mano il telefono non per fare video, non per condividere nelle storie, ma per chiamare amici o parenti e renderli parte di questo grande falò in riva al fiume, gridando assieme il ritornello di Pesto, chi dal Forum di Assago, chi dal proprio soggiorno, chi da un autobus. Il più grande karaoke del mondo.
Vero è che Calcutta sarebbe potuto rimanere in silenzio, mettendo in play solo una nota di ciascun pezzo e il pubblico avrebbe fatto il resto. Lo ha fatto talvolta, in vari momenti dall’inizio alla fine, ma ovviamente non si è limitato a questo. Se storicamente Calcutta veniva criticato per la sua (mancanza di) forza vocale, ora non si può dire lo stesso. Certo, non parliamo di un artista che fa della presenza canora il suo forte, ma è innegabile un suo miglioramento da questo punto di vista. Forse è anche questo che permette al pubblico di empatizzare così tanto con la sua musica e la sua personalità. Quest’ultima non è da sottovalutare: tra un pezzo e l’altro Edoardo, come lo chiamava la maggior parte del pubblico, faceva rapidi intermezzi quasi imbarazzati, con l’umorismo sincero e naturale di una persona che è su un palco per talento, non per narcisismo. La timidezza di Calcutta emerge anche quando, per pezzi interi, ha guardato i membri della sua band e non il pubblico. E non è un limite: è molto più facile empatizzare con un artista che, in un contesto del genere, si comporta come farebbe la maggior parte di noi.
Il modo di fare post-ironico con vibe da 2016 di Calcutta non si è mai persa, anzi. Parliamo di quell’umorismo fatto di meme, foto e grafica “fatte male apposta” che però, essendo volute, sono sotto sotto fatte bene. I visual messi in mostra sul palco sono quasi più Calcuttiani di Calcutta stesso, in un manierismo indie che guarda al 2016 come nel seicento si guardava al rinascimento: tra scritte, sorrisi applicati al pubblico, personaggi 3D che ballano e “viaggi” su Google Maps. Traslare questo difficile tone of voice nell’ironia della comunicazione in un contesto come quello del Forum di Assago non è banale, e ha generato altra empatia (come se ce ne fosse bisogno!) con il cantautore di Latina.
Il tempo scorre e non ce se ne accorge nemmeno, l’automobile chiamata Forum di Assago continua nel suo percorso in autostrada. Per 100 minuti, nessuno dei passeggeri smette di cantare nemmeno per una parola, se non per un breve intermezzo elettronico intelligentemente posizionato verso metà concerto, un modo per riprendere fiato, tanto per Calcutta quanto per il pubblico. Praticamente una sosta all’autogrill. E non importa se Oroscopo viene rivisitata in maniera più lenta ed elettronica, come se i Daft Punk fossero nella loro serata più malinconica, perché comunque Calcutta è riuscito a colpire e a coinvolgere tutti, facendo sempre a modo suo, scrivendo un altro pezzo di un’esperienza e transgenerazionale, lasciandoci, come ultimo pezzo, a tornare a casa “tutti falliti, tutti esauriti”.