Camminando per le città, siamo sicuri che almeno una volta vi sia capitato di notare una panchina insolita, un singolare lampione o banalmente delle fioriere che rallegrano una piccola piazza. Questi oggetti, che hanno attirato la vostra attenzione, magari perché inaspettati in quel contesto o particolarmente belli da vedere rispetto al solito, fanno parte, insieme a tanti altri, di ciò che nel gergo tecnico viene chiamato “design urbano”. Dire che il design ci circonda, infatti, ha un senso tanto nell’ambito domestico, quanto in quello cittadino e forse in quest’ultimo le sfide dei progettisti diventano ancora più complesse, soprattutto nell’ottica di creare dei prodotti con cui si dovranno relazionare tantissimi utenti, senza che siano stati loro a sceglierli in prima persona nelle vesti di clienti. All’interno di questo settore ricadono anche degli elementi urbani che difficilmente riusciamo ad immaginare coinvolti nella sfera del design, degli oggetti che consideriamo marginali e quasi inutili, ma che grazie all’esperienza di eclettici progettisti, possono assumere un nuovo volto agli occhi dei cittadini e di conseguenza acquisire un inedito valore. Sono stati Giulio Iacchetti e Matteo Ragni a voler tentare questa impresa, mettendo le mani su qualcosa di impensabile e che accostato alla parola design può sembrare al massimo un ossimoro: il tombino.
Sì, avete capito bene, stiamo parlando proprio di quei tombini che popolano densamente tutte le strade e non solo, dato che si trovano facilmente anche su marciapiedi, viali, parcheggi ecc. Si tratta di “oggetti di strada” estremamente trascurati e privi di qualsiasi valore economico e culturale, tanto da passare completamente inosservati nonostante tutti vi camminino sopra ogni giorno, fatta eccezione per le volte in cui la loro presenza viene rievocata da un rimbombo provocato dalle macchine che vi passano sopra, con l’unico risultato di renderli insopportabili. Dopotutto la loro funzione, ovvero chiudere gli spazi di accesso a fognature e tubature sotterranee, e il loro diffuso impiego hanno da sempre costretto i produttori a trovare soluzioni economiche in cui la funzionalità fosse al primo posto, a discapito di ogni altra caratteristica e potenzialità dell’oggetto.
Su questa lacuna del panorama urbano sono coraggiosamente intervenuti i designer Iacchetti e Ragni che, nell’ormai lontano 2012, hanno scelto di dedicarsi a quella che possiamo definire una “valorizzazione del contesto cittadino”. Da un lato Giulio Iacchetti, designer nato come autodidatta che ha spaziato nei più disparati settori, tanto da progettare persino dei biscotti, nonché divenuto punto di riferimento della qualità italiana dopo aver fondato Internoitaliano, e dall’altro Matteo Ragni, attivissima figura nel product design ma anche abile creative director che vanta collaborazioni con aziende del calibro di Campari, riunitisi per accogliere e affrontare questa sfida, ricomponendo il duo che già nel 2001 si era aggiudicato il Compasso d’Oro per la posata usa e getta Moscardino, oggi nella collezione permanente del MoMA.
In questo modo, per la prima volta, i due designer hanno fatto sì che nella fase di progettazione dei tombini si ponesse la necessaria e giusta attenzione alla componente comunicativa ed empatica di un oggetto, componente che solo il design può fornire, dando quindi vita ai tombini della serie “sfera” prodotti in collaborazione con l’azienda Montini. Lo studio si è basato esclusivamente sulla finitura di superficie dei chiusini (altro nome dei tombini), che sono rimasti invariati per dimensioni, tecniche produttive e materiale. Ciò non vuole dire però che Iacchetti e Ragni si siano limitati a un semplice e approssimativo progetto grafico, dato che hanno elaborato 4 diverse decorazioni visive a rilievo, ognuna delle quali è portatrice di una storia e di un significato. Se la versione Urbe, che presenta impressa diagonalmente la traccia del battistrada di un tir, è stata pensata per le strade, il tombino Signum, invece, è dedicato alle aree di verde pubblico, in quanto il pattern vede ripetersi le impronte delle zampe di un uccellino. Eclipse e Copernico, infine, raccontano direttamente il materiale stesso dei tombini, rappresentando sia a livello concettuale la ghisa sferoidale, sia da un punto di vista concreto la sua natura chimico-fisica, sfruttando la riproduzione di un suo ingrandimento al microscopio che ne rivela la struttura.
Il risultato ottenuto è stato quindi una vera e propria reinterpretazione ironica, espressiva e comunicativa dei tradizionali tombini freddi e distaccati, che ha permesso ai due designer, nel 2014, di essere premiati con il Compasso d’Oro per la seconda volta insieme. A quasi 10 anni dall’uscita del progetto, si può dire che i tombini “sfera” siano andati incontro a una grande fortuna, che non si misura sulla loro notorietà, ma per essere capillarmente diffusi in molte città italiane. Questi fattori indicano indubbiamente che si tratta di nuovi oggetti appartenenti al design anonimo, tema affrontato in uno precedente articolo, e più in particolare sono diventati un valido esempio dell’anonimo d’autore: sono ovunque e li incontriamo tutti i giorni, ma nessuno sa chi li ha progettati. É la stessa sorte che nel 1980 capitò ad Enzo Mari, maestro del design italiano e in quel periodo consulente per l’arredamento urbano del sindaco di Milano Carlo Tagnoli, quando ideò i famosissimi e allo stesso tempo odiatissimi “panettoni”, i massicci dissuasori di sosta (100 kg di cemento), che dal capoluogo lombardo arrivarono presto in tutta Italia.
I tombini di Iacchetti e Ragni, quindi, sono praticamente ovunque e ci si cammina sopra senza accorgersi di nulla, ignorando che, anche quello che calpestiamo, sia frutto di studi, espressione di creatività e condensato di significati. In realtà la loro capacità di passare inosservati può divenire un motivo di vanto per i progettisti, dato che il buon design spesso risiede negli oggetti che, non creando problemi perché ben realizzati, sembrano quasi essere dimenticati. Sicuramente, d’ora in poi, non potrete fare a meno di girare per le strade guardandovi attorno con più attenzione e con la speranza di trovarne uno, riconoscerlo e apprezzarlo.