È solamente una nostra impressione o ci troviamo nel bel mezzo di un momento storico che alimenta uno spiccato fascino per il futuro?
Basta guardarsi un attimo intorno, per capire quante siano le realtà a puntare verso la più avanzata innovazione e al superamento di quelli che fino ad ora siamo soliti considerare come limiti. La mobilità si sta, con i dovuti tempi, convertendo all’elettrico e questa transizione è accompagnata da una rinnovata estetica dei mezzi, ora più tech e futuristici. I dispositivi elettronici implementano ogni anno funzioni straordinarie e chissà se, fra qualche tempo, ci troveremo a sostituire gli smartphone con tecnologie fino ad ora inimmaginabili. Dal fronte aerospaziale, invece, echeggiano voci riguardo viaggi in orbita e, magari, tour su altri pianeti. Insomma, nonostante siano solo alcuni degli innumerevoli esempi possibili, quelli appena elencati dovrebbero essere sufficienti per dimostrare la nostra propensione alla scoperta dell’ignoto e il nostro interesse per ciò che il tempo non ci ha ancora rivelato.
Ecco, ora prendete quanto detto e immaginatevi che sia il nulla in confronto alla mentalità che si aveva riguardo il futuro durante gli anni ’60 e ’70. In quel momento nacque una forma mentis totalizzante, che è stata capace di definire un vero e proprio immaginario condiviso da tutti. Aspirazioni, desideri e curiosità per l’avvenire, si materializzarono sotto forma di un’estetica che investì ogni aspetto della produzione umana e che faceva leva su ciò che in quel momento ci si apprestava a scoprire per la prima volta: lo spazio. Così la moda, la musica e l’arte furono travolte da questo intenso fenomeno culturale e all’appello, ovviamente, non potevano mancare anche il design e l’architettura. Tali discipline fecero uso di forme, colori e materiali che emanavano futuro da tutti i pori, richiamando, per esempio, il linguaggio formale delle navicelle spaziali e delle tute degli astronauti (in merito a ciò abbiamo dedicato un articolo alla storia dei Moonboot), tanto da far ricadere la produzione appartenente a questo periodo sotto il nome di Space Age. Dovete sapere che c’è un’architettura in particolare, curiosa e aliena, che meglio rappresenta tutto ciò: la Futuro House.
Ma che cos’è la Futuro House? Come suggerisce il nome, non è nient’altro che una casa, o per meglio dire un appartamento, che possiede la particolarità di avere la forma di un UFO. Avete capito bene, questa iconica architettura è stata disegnata sulle linee di quello che potremmo definire il disco volante per eccellenza, quella forma ovoidale a cui tutti pensiamo quando fantastichiamo su quale strano mezzo possano utilizzare gli alieni per muoversi all’interno della nostra galassia. L’ideazione del progetto risale al 1965 e, sebbene possa sembrare un riferimento kitsch all’immaginario extraterrestre, degno delle tendenze mercificartici che gli americani dimostrano a partire dal merchandising dedicato all’Area 51, risulta un’opera geniale, densa di significato e rappresentativa della propria epoca.
Come si accennava prima, infatti, ci troviamo nel momento in cui l’estetica Space Age sta muovendo i suoi primi passi, un periodo in cui molti architetti e designer, se devono realizzare nuovi progetti, sfruttano reference spaziali e futuristiche, non come banale fattore stilistico, ma per l’autentico spirito del tempo, che si respirava soprattutto negli ambienti creativi. Perciò, quando a Matti Suuronen, architetto e designer finlandese, venne commissionato da un amico un piccolo rifugio da montagna, le scelte progettuali, influenzate dalla cultura del tempo, lo portarono a dare forma a una navicella spaziale abitabile.
La necessità era quella di avere a disposizione un piccolo spazio vivibile tra le montagne, che fosse facile e veloce da riscaldare durante il periodo invernale e, soprattutto, comodo da costruire su terreni scoscesi. Per riuscire in ciò, Suuronen optò per un’architettura prefabbricata e modulare: 16 pannelli ricurvi in fibra di vetro, rinforzata con poliestere, avrebbero definito il perimetro della cellula abitativa, racchiudendo in sé pavimentazione, pareti e soffitto; le finestre, anch’esse di forma ovoidale, sarebbero state presenti tutt’intorno alla casa, offrendo un affaccio sull’esterno a 360 gradi e una scala retrattile avrebbe permesso l’ingresso alla struttura sopraelevata; un telaio in acciaio, infine, avrebbe svolto la funzione di base, permettendo l’appoggio della struttura sul suolo. Tra le numerose intuizioni dell’architetto, spicca proprio la scelta del sistema d’appoggio: il telaio in acciaio a quattro gambe necessita di altrettanti plinti di calcestruzzo, che vengono costruiti in loco, indipendentemente dal tipo di terreno e dalla sua topografia. Ciò consente alla Futuro House di essere potenzialmente adatta a qualsiasi luogo, dalla montagna alla spiaggia, ma anche dai rooftop di altri edifici fino a uno spiazzo nel bel mezzo di un bosco. Inoltre, data la sua leggerezza e le dimensioni ridotte al minimo, che misurano 8 metri di diametro e 4 metri di altezza, non solo poteva essere assemblata sul luogo, ma poteva addirittura essere trasportata completamente montata da un elicottero. Dopotutto è o non è un disco volante?
Dal punto di vista degli interni, l’architetto finlandese scelse di sfruttare, nella maniera più efficiente possibile, il volume messo a disposizione dalla struttura. Data la particolare conformazione circolare, fu naturale pensare a numerose varianti secondo le quali suddividere gli ambienti funzionali dell’abitazione. Di conseguenza, gli interni vennero progettati in maniera diversa in base alle esigenze degli acquirenti: è possibile trovare soluzioni completamente open space, con arredi progettati su misura e disposti lungo le pareti, così da mantenere libero il centro della stanza, oppure configurazioni per le quali vennero studiati elementi divisori per distinguere gli ambienti privati e di servizio, da quelli dedicati alla zona living. Inutile dire che anche gli arredi riprendevano quell’estetica spaziale tanto prorompente durante la fine degli anni ’60, sia attraverso l’utilizzo di plastiche lucide modellate in forme arrotondate, sia tramite l’utilizzo di accostamenti cromatici inconsueti e pop. Anche gli interni, quindi, raccontarono gli stilemi della Space Age, tanto quanto l’immagine esterna che dava la Futuro House.
Ecco che la tiny house aliena, con una capienza massima di otto persone e capace di riscaldarsi in meno di mezz’ora, divenne pronta per diffondersi in tutto il mondo, offrendo a un elevato numero di persone la possibilità di abitare degli spazi secondo la nuova visione abitativa che, in quegli anni, sembrava pervadere ogni settore e che si basava sulla predilezione di spazi fluidi, riconfigurabili e non per forza univocamente definiti. Peccato che questo auspicato successo non arrivò. Matti Suuronen, dopo aver realizzato l’esemplare numero 000 per il suo amico, riuscì a portare il suo progetto anche in altri stati che ne avviarono la produzione in serie. Tuttavia, l’eccezionalità del progetto lo rese troppo in anticipo rispetto i tempi e la crisi petrolifera del ’73 pose un punto definitivo alla vita della Futuro House. Si stima che, tra il 1965 e i primi anni ’70, ne furono realizzate un numero inferiore alle 100 unità e che oggi ne siano sopravvissute non più di una sessantina. Il flop commerciale del progetto fece sì che, in breve tempo, l’architettura dal sapore spaziale cadde nel dimenticatoio, lasciando sparsi per il mondo, spesso in posizioni ignote, i pochi esemplari costruiti che, oltretutto, subirono nella maggior parte dei casi l’effetto del tempo e del disuso, rovinandosi irrimediabilmente.
Solo negli ultimi decenni, però, sembra che l’interesse verso la Futuro House sia rinato e ciò è dimostrato dal fatto che non poche persone hanno dato il via a una vera e propria caccia al tesoro, volta al fortuito ritrovamento di questi piccoli appartamenti sparsi per il mondo. Tra curiosi collezionisti privati e importanti musei, che sono stati riconquistati dal fascino che solo l’architettura di Suuronen è in grado di emanare, ci si batte per scovare nuovi esemplari nelle location più disparate e iniziare il prima possibile un adeguato restauro che ne riporti in luce la magnificenza. È interessante osservare, inoltre, come non tutte le Futuro House esistenti siano destinate ad occupare un posto all’interno di mostre ed esposizioni. Molte, infatti, già da un loro primo impiego, sono state sfruttate per le più svariate funzioni, oltre a quella di piccola cellula abitabile. In uno dei casi più affascinanti, per esempio, la si vede impiegata come piccolo bar posto sul tetto di un edificio: ancora una volta si dimostra la sua grande versatilità e sarebbe stato incredibile godersi un caffè al fianco di questa straordinaria opera. Per aiutare gli appassionati in materia, poi, il sito Atlas Obscura ha stilato una lista di tutti gli esemplari oggi ritrovati e l’ha riassunta sotto forma di mappa, navigabile da questo link, in modo tale che ognuno possa sapere dove siano posizionati: in Italia, purtroppo, non ne è arrivata nemmeno una, ma è sufficiente un breve viaggio in Francia o in Grecia per avere la possibilità di vederle dal vivo. Potete trovare l’esemplare numero 000 presso il Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam e il numero 001 all’interno della collezione del The WeeGee Exhibition Centre in Finlandia. Ma anche camminando per il mercatino dell’usato di Clignancourt a Parigi vi potete imbattere in una Futuro House arancione, oppure c’è la possibilità di dormire all’interno di quella che staziona nel deserto di Joshua Tree in California: qui il link di Airbnb per prenotare il vostro soggiorno extraterrestre.
Se siete arrivati fin qui, significa che la Futuro House vi ha colpiti e l’immaginario che porta con sé non è estraneo ai vostri gusti. Perciò vi lasciamo con una chicca da veri intenditori: Wololow ha pensato di realizzare dei modellini in scala dell’architettura di Suuronen che, con i loro 25 centimetri di diametro, ne rappresentano una riproduzione maniacalmente dettagliata, con tanto di illuminazione interna e ricarica magnetica.