Il ghiaccio nell’arte contemporanea

Agosto è ormai iniziato da un po’ di tempo e, come sempre, con lui arrivano le ferie estive, quelle settimane dell’anno così desiderate e attese che per molti significano solamente una cosa: vacanze. Finalmente arriva il momento di mettere in atto quei desideri, quelle emozioni e quelle aspettative che pervadono la nostra mente durante tutto il periodo estivo, sia che si tratti dei lunghi mesi di pausa dalle lezioni per gli studenti, sia delle più risicate giornate in cui si riesce a staccare la spina dal lavoro. In ogni caso, insieme alle ferie, l’estate porta con sé anche qualcos’altro, un fattore fisico e ambientale che tutti sperimentiamo sulla nostra pelle: il caldo, torrido e afoso.

Anno dopo anno viviamo sempre “l’estate più calda che si sia mai registrata” e anche quest’anno è stato così, come ha dimostrato il mese di luglio, che si è fatto sentire con temperature che hanno più volte oltrepassato i 40°C. Agosto non sarà di certo da meno e, proprio per questo, abbiamo deciso di rinfrescarci un po’ dando un’occhiata a quella che potremmo definire dell’arte ghiacciata. Nella speranza che ci leggiate a bordo piscina o sul lettino di una spiaggia da sogno proprio prima di tuffarvi nelle sue acque cristalline, vogliamo presentarvi alcuni degli esempi più significativi delle sperimentazioni che nel campo dell’arte contemporanea sono stati condotti sfruttando il ghiaccio come materiale protagonista.

Prima di addentrarci nel vivo delle opere che abbiamo raccolto, è doveroso interrogarsi sul motivo per cui anche un materiale così inusuale viene scelto dagli artisti per esprimere le proprie intenzioni e comunicare precisi messaggi alle persone. Per rispondere a questo quesito, dobbiamo innanzitutto pensare alle caratteristiche fisiche possedute dal materiale, che lo differenziano sostanzialmente da tutti quelli tradizionalmente utilizzati per fare arte. Il ghiaccio, infatti, è un materiale vivo, capace di cambiare in funzione di fattori che risultano indipendenti dal controllo degli autori stessi. È qualcosa di ovvio, ma il fatto che si sciolga per tramutarsi nello stato liquido originario, è il principale motivo che spinge gli artisti a sperimentare con esso, poiché permette di concepire delle opere effimere, degli artefatti con una precisa “data di scadenza”, oltrepassata la quale l’opera scompare definitivamente. Questa limitatezza temporale rende il ghiaccio un materiale del tutto anomalo, soprattutto nel campo artistico dove, dalla classicità, siamo stati abituati a vedere le sculture realizzate nelle pietre più resistenti al mondo.

Alla dimensione temporale, inoltre, si aggiunge uno strato di magia che aleggia attorno alla maggior parte delle opere in ghiaccio: nonostante tutti conoscano l’azione della temperatura sul materiale, la sua metamorfosi sembra avvenire senza spiegazione, poiché non vi è un’evidenza visiva dell’agente che ne provoca la trasformazione. Infine, il ghiaccio possiede delle qualità affascinanti apprezzabili solamente alla vista. La sua trasparenza, per esempio, può essere controllata per ottenere precisi effetti luminosi e cromatici, rispondendo in modo attivo e dinamico al rapporto con la luce, spesso fondamentale in questo tipo di opere.

Quelli che seguono sono esempi di arte contemporanea in cui il ghiaccio viene sfruttato come strumento per comunicare precisi messaggi.

Ice Watch (2014), Ólafur Elíasson

Iniziamo con una delle opere in ghiaccio più iconiche mai realizzate, il cui autore è l’artista danese Ólafur Elíasson, noto a tutti per aver portato il sole all’interno della Tate Modern di Londra con l’installazione “The Weather Project” (2003). “Ice Watch” è un’opera tanto semplice quanto potente nell’arrivare alle persone: nel 2014 vengono posizionati 12 enormi blocchi di ghiaccio nel centro di Copenhagen, disposti circolarmente come i numeri del quadrante di un orologio e lasciati lì, fermi e immobili. Con il passare delle ore, però, i blocchi di ghiaccio iniziano a sciogliersi, più o meno velocemente, fino a che, tre giorni dopo la realizzazione dell’installazione, sono completamente scomparsi e tutto ciò che rimane sono solamente delle pozzanghere che ne testimoniano la presenza ormai svanita. Elíasson offre ai visitatori dell’opera l’esperienza diretta degli effetti delle azioni dell’uomo sull’ambiente cercando, attraverso una prova tangibile come lo scioglimento dei blocchi di ghiaccio davanti ai propri occhi, di rendere evidente il cambiamento climatico. Infine, tra il 2015 e il 2019, l’opera è stata riproposta in altre due location, Parigi e Londra, con la medesima struttura e l’ottenimento dello stesso effetto finale. È da specificare, però, che non si tratta dell’unico approccio che Elíasson ha avuto con il ghiaccio, in quanto nel 2007 aveva già sfruttato il materiale per realizzare un’installazione con BMW di cui vi abbiamo parlato in questo articolo dedicato alle BMW Art Cars.

The Sound of Ice Melting (1970), Paul Kos

Ora facciamo un salto indietro all’inizio degli anni ’70 per conoscere l’opera “The Sound of Ice Melting” di Paul Kos. In questo caso l’artista sfrutta il ghiaccio in modo ancora più inusuale, aprendo le porte della sfera sonora. Il principio di funzionamento dell’opera è paragonabile a quello dell’installazione di Elíasson, in quanto si basa sullo scioglimento di un pezzo di ghiaccio. Questa volta, però, il volume è decisamente più contenuto e il materiale è circondato da una moltitudine di microfoni, quasi come succede ai politici pronti a rilasciare una dichiarazione inaspettata. Al contrario, però, dall’altoparlante presente a fianco del ghiaccio, non sentiamo proferire nulla se non quel brusio dato dal rumore di fondo amplificato dai microfoni. E proprio qui si arriva al significato dell’opera, poiché si tenta di capire e apprezzare il suono del ghiaccio che si scioglie, ovvero di qualcosa al limite dell’esistente, proprio come accade nel famoso koan zen dal quale l’opera prende spunto, quello che fa interrogare su quale sia il suono prodotto da una sola mano (in contrapposizione al suono dell’applauso producibile solo dal contatto di due mani).

Minimum Monument (2003), Néle Azevedo

Proseguiamo con il lavoro di Néle Azevedo, l’artista brasiliana capace di realizzare con il ghiaccio installazioni incredibilmente suggestive. Dal 2003 hanno iniziato a comparire in numerose città sparse per il mondo delle vere e proprie micro popolazioni di persone di ghiaccio, dando vita a “Minimum Monument”, un progetto a lungo termine pensato per essere riprodotto nelle più disparate location in modo da riuscire a diffondere largamente il messaggio di cui è portatore. L’opera prevede il posizionamento di decine e decine di piccole sagome umane realizzate in ghiaccio su porzioni di spazio pubblico, siano questi le gradinate di accesso a un palazzo o il parapetto di un terrazzo. Qui si ritrovano seduti i curiosi e inconfondibili “omini ghiacciati” che in breve tempo si sciolgono completamente, scomparendo e sancendo la fine dell’opera. Ancora una volta il tema è quello del cambiamento climatico ma, con l’opera di Néle Azevedo, si giunge a un livello ulteriore di comunicazione. Ciò è dovuto al fatto che non solo il ghiaccio si scioglie, ma questo processo porta le figure umane rappresentate a piegarsi su loro stesse, come se si stessero effettivamente accasciando al suolo stremate dall’azione del calore sui loro corpi. È così che presto questa popolazione di piccole figure umane assume un’evidenza quasi drammatica, con il risultato di una trasmissione del messaggio ancora più efficace.

Iced Flowers (2016), Azuma Makoto

L’arte contemporanea che sfrutta il ghiaccio è arrivata anche a contatto con il mondo fashion e a dimostrarlo c’è il giovane artista giapponese Azuma Makoto che, nel 2016, è stato scelto da Dries Van Noten per accompagnare la presentazione della nuova collezione in passerella. L’artista specializzato in flower art, attraverso la quale realizza installazioni che oscillano tra il naturale e il tecnologico, ha colpito il designer quando ha deciso di fermare in uno stato di completa sospensione delle composizioni floreali all’interno di massicci blocchi di ghiaccio. Così, non ci è voluto molto per commissionargli ben 23 di queste opere al fine di sfruttarle come accompagnamento alla presentazione dei propri capi. Makoto ha quindi raccolto oltre 100 tipi di fiori rari per creare delle composizioni dettate dalla sensibilità giapponese, per poi sottoporle a un processo di congelamento durato una settimana. Il vero effetto dell’opera, però, arriva ancora una volta con l’inizio dello scioglimento dei blocchi di ghiaccio, che porta a un cambiamento del proprio contenuto: i fiori gradualmente cambiano forma e posizione reciproca rendendo la composizione mutevole nel tempo.

Ice Pedestal (2000), Kirsten Justesen 

Concludiamo con una declinazione ancora diversa del coinvolgimento del ghiaccio in un’opera d’arte contemporanea. Kirsten Justesen ha deciso di sfruttare il materiale in modo decisamente più materico, ovvero mettendolo in relazione con la fisicità umana e, più in particolare, con il proprio corpo. L’artista danese ha scelto di dare vita a una performance, opportunamente documentata attraverso scatti fotografici, che pone l’attenzione sul rapporto tra il corpo umano e il ghiaccio. Come si può vedere dalle immagini, il corpo della performer dialoga con un vero e proprio blocco di ghiaccio, che funge da piedistallo e che, per il rigore geometrico di lati e spigoli, contrasta con le linee morbide e organiche del corpo lasciato nudo tranne che per piedi e mani. L’opera fa parte di un progetto più ampio intitolato “Meltingtime”, in cui la sperimentazione del rapporto tra corpo e ghiaccio continua sempre attraverso la raffigurazione fotografica della dicotomia visiva sottesa tra il calore della carne viva e la freddezza dell’acqua ghiacciata.