Il successo di Brendan Fraser e “The Whale”

I sette Premi Oscar vinti da “Everything Everywhere All At Once” e il grande successo di “Niente Di Nuovo Sul Fronte Occidentale” non hanno impedito a “The Whale” di confermarsi uno dei film protagonisti della 95esima edizione degli Academy Awards. Il film di Darren Aronofsky ha vinto due statuette, ma già nelle scorse settimane ha fatto di parlare di sé molto più di altri film che hanno ottenuto più candidature. Chi ha scelto di andare al cinema a vederlo per le recensioni e i commenti sentiti qua e là probabilmente non avrà resistito a versare qualche lacrima nel corso del potentissimo finale, e forse avrà fatto lo stesso rivedendo le immagini della premiazione di un evidentemente emozionato Brendan Fraser, protagonista del film e vincitore del premio come Miglior Attore Protagonista.

Fraser era il grande favorito per la conquista di questo premio, ma vederlo trionfare ha caricato ancora di commozione questo film di per sé già molto vibrante. Così come il personaggio interpretato nel film, un professore obeso che in punto di morte tenta l’ultima carta per la sua redenzione dopo gli errori commessi in vita, la vittoria di Fraser ha avuto un sapore simile visto il travaglio dell’attore negli ultimi anni della sua carriera, una rivincita – la Brendanaissance – dopo essere di fatto scomparso dal giro dopo il successo ottenuto negli anni 2000 (e le accuse nei confronti dell’ex presidente dell’Hollywood Foreign Press Association, Philip Berk, di molestie sessuali subite). Sul palco, subito dopo aver ricevuto la statuetta, Fraser ha scelto l’allegoria della balena per spiegare il suo riscatto.

D’altronde come non ringraziare Darren Aronofsky che, dopo aver scoperto questa opera teatrale già parecchi anni fa, ha deciso di aspettare quasi un decennio prima di scegliere Fraser, ritenendolo perfetto per il ruolo da interpretare quasi come fosse una sfida professionale. Ciò ha costretto Fraser a delle modifiche del proprio fisico non indifferenti pur di rientrare nel corpo di un uomo così grasso: durante le riprese è stato costretto a indossare una tuta protesica di oltre 130 chili e a sottoporsi ad una complicata operazione di trucco per appesantirlo. Per questo, Adrien Morot, Judy Chin e Annemarie Bradley hanno vinto il Premio Oscar per il miglior trucco e miglior acconciatura.

“È così che è il multiverso”, ha affermato Brendan Fraser dopo la premiazione in riferimento al grande vincitore della serata, “Everything Everywhere All At Once”. “Grazie per questo onore e allo studio A24 che ha creduto in questo film coraggioso, al regista Darren Aronofsky grazie di avermi dato la possibilità di salvarmi con questo film, e allo sceneggiatore Samuel D. Hunter. Avete un cuore da balena, è possibile vedere nelle vostre anime. È stato bello essere stato qui per voi. Solo le balene possono andare in profondità come il talento di Hong Chau (l’attrice con cui ha lavorato, anch’essa candidata all’Oscar come Migliore Attrice Non Protagonista). Ho iniziato trent’anni fa e le cose non sono sempre state facili, all’inizio non riuscivo ad apprezzare il mio lavoro, poi le opportunità sono venute meno ma ora mi ritrovo qui”.

Pur essendo stato interamente girato all’interno di un piccolo appartamento che ha volutamente accentuato la teatralità dell’opera, il film è un contenitore di temi e sfumature differenti: uno tra questi è quello, molto attuale, della solitudine che si aggancia al ruolo genitoriale, visto che il protagonista, Charlie, anche a causa dei suoi impedimenti fisici, è costretto a insegnare ai suoi alunni via computer senza mai svelare il suo aspetto.

Nel film è molto evidente la mano del regista, che ancora una volta ha utilizzato il corpo dei suoi attori per caricarlo di significati: la ripugnanza di quello di Fraser che trasmette la sensazione di abbandono e di fragilità si collega a tanti altri ruoli di film passati (la testa trapanata in “π – Il teorema del delirio”, la pelle consumata dalle droghe in “Requiem For A Dream”, l’usura causa infortuni dell’anziano wrestler Mickey Rourke o quella che ha martoriato Natalie Portman ne “Il Cigno Nero”).

E poi ancora le cause e le conseguenze dell’obesità, la salute mentale, i sensi di colpa e ovviamente il collegamento tra la mole del protagonista e il titolo del celebre romanzo di Herman Melville, Moby Dick, di cui vengono letti dei piccoli passi in un paio di scene del film preludio a un finale, come detto, potentissimo, in cui si incastrano tutti gli elementi e vengono giustificati anche alcuni momenti un po’ meno chiari e imperfetti della pellicola.