Il know-how, il savoir-faire, il saper fare, sono tutti modi per definire le abilità di qualcuno, l’insieme di esperienze che portano al corretto impiego di una tecnologia o di un attrezzo per svolgere un’attività in modo ottimale. Nel tempo, però, il termine “saper fare” è diventato sempre più vago, labile se vogliamo. Quello che originariamente trasudava eccellenza, forse grazie all’uso dell’altisonante francese savoir-faire, è diventato uno spesso travisato know-how, inserito in un calderone di parole anglofone che spesso vengono estratte a sproposito. Un luogo in cui questa parola viene usata spesso e mai a sproposito è Le Locle, un piccolo comune svizzero nel Canton Neuchâtel in cui ZENITH, uno dei marchi più importanti del mondo dell’orologeria, trova la sua sede storica, un luogo che ha cambiato non solo la storia delle attività aziendali svizzere e orologiere, ma anche fisicamente l’intera vallata. Quello che un tempo era infatti un conglomerato di spaccati rocciosi, estensioni boschive e piccoli allevamenti è diventato a tutti gli effetti la valle degli orologi, la casa che ospita quasi tutte le eccellenze dell’alta orologeria svizzera. Ma come è stato possibile tutto ciò? Cosa ha reso speciale Le Locle, ZENITH e il suo saper fare? E soprattutto: come funziona una manifattura orologiera?
Quando sono arrivato a Le Locle pensavo di vivere una full immersion di informazioni tecniche, grafici, materiali e macchinari. Sorprendentemente, mi sono imbattuto in storie umane che si uniscono per realizzare una comunità di persone che lavorano assieme a un singolo obiettivo, un’unione di nomi, voci e pratiche che compongono, appunto, il saper fare. Arrivato nella sede di ZENITH, infatti, non si apre davanti a me il solito capannone mastodontico, ma ben 18 edifici di costruzione ottocentesca (con qualche eccezione) che praticamente ricoprono l’intera altura su cui sono posizionati. Questa sorta di villaggio nato nel 1865 e oggi patrimonio UNESCO non è costruito a caso: come le città sfruttavano la vicinanza ai fiumi o a terreni fertili, anche la manifattura di ZENITH si è focalizzata sulla ventilazione naturale e sull’illuminazione (infatti è orientata a sud-ovest).

Una serie di costruzioni in mattoni che a quasi 160 anni di distanza trovano ancora attualità nel design e soprattutto nella funzionalità. Che poi, non è questa anche la definizione di un grande orologio? Il valore storico e artistico di questi luoghi è talmente lampante che anche nel 2023 si possono intuire i percorsi che le carrozze per il trasporto dei materiali facevano nei primi anni di vita. Si pensi che già in principio venne costruita una stazione telefonica interna per chiamarsi direttamente tra un edificio e l’altro. Ma qual è il valore aggiunto di una manifattura? Creare i movimenti e realizzare i componenti in casa. Certo, all’inizio è dispendioso e complesso, ma a lungo termine può portare grandi benefici, oltre che vantaggi commerciali. È il discorso che vale, ad esempio, per i team di Formula 1: quelli che sono anche produttori dei motori (Ferrari, Renault, Mercedes e Honda) non solo hanno più controllo sui suddetti, ma possono anche guadagnare fornendoli ad altre scuderie. «Ci vogliono centinaia e centinaia di ore per ideare queste macchine, questi modelli di stampa. A questo si aggiungono centinaia di ore per costruire i suddetti macchinari, altrettante per attivarli. Per questo motivo, le stampe dei calibri – ovvero quelle che vanno a formare i componenti meccanici dell’orologio – valgono dai 20.000 agli 80.000 euro. Tanti soldi, anche perché sono pressoché eterne». Non è un caso che ZENITH, infatti, produca anche componenti che vanno inseriti negli orologi di altri marchi prestigiosi. ZENITH ha fatto di questa dinamica la sua forza, il suo branding. Addirittura, possiamo dire che la sua meccanica più famosa, l’El Primero, un calibro cronografico automatico ad alta frequenza, è ormai diventato una tale icona da essere praticamente un marchio autonomo all’interno dell’azienda madre. Praticamente Jordan Brand per Nike, per capirci. Ma come per la manifattura stessa, la storia che ha portato alla fama di El Primero è molto più umana di quanto non si pensi.
Nel 1969 ZENITH era già un’autorità nel mondo dell’orologeria e della meccanica avendo già vinto svariati premi di cronometria. In quell’anno viene lanciato El Primero, però c’è anche la crisi del quarzo, un periodo che ha fortemente ridimensionato l’intera scena orologiera mondiale. Fino a quel momento venivano prodotti 800 milioni di orologi al mondo, l’85% dei quali in Svizzera grazie al lavoro di 45.000 impiegati (oggi siamo a 1.7 miliardi di modelli annui, solo il 15% in Svizzera, seppur questa porzione occupi il 55% del valore commerciale complessivo). Dopo la crisi, gli impiegati divennero 13.000 e ZENITH, come tutti i marchi, ne risentì. Così, nel 1975, attraverso anche un paio di passaggi di proprietà, ZENITH decide di dismettere la costosa produzione degli orologi meccanici, considerata insostenibile e obsoleta. Se c’è una cosa certa è che sono due le cose che cambiano il mondo: gli errori e le idee folli. Questa storia li ha entrambi. In primis, molte aziende decidono che la dismissione dell’orologio meccanico sarà definitiva, per cui distruggono tutte le matrici. Charles Vermot, storico dipendente di ZENITH, sa però che le mode sono passeggere, per cui ogni notte, per nove mesi, nasconde le stampe dei calibri nel grenier, la soffitta, e mura l’intero locale per nasconderlo da occhi indiscreti. Nessuno ne sa nulla, persino la sua famiglia.
L’idea folle di Vermot salverà ZENITH dal suo errore, cambiandone la storia. Nel 1984 sarà Rolex a voler riproporre l’uso del crono automatico, con la volontà di inserire questo tradizionale meccanismo sul prestigioso modello Daytona. Rolex usa una nuova mentalità, ovvero la creazione di un prodotto che si avvicina più alla gioielleria che alla mera funzionalità, come siamo abituati oggi. L’azienda domanda quindi al resto della Svizzera se qualcuno fosse ancora in grado di produrre fantastiche meccaniche cronografiche. A rispondere positivamente è ZENITH, perché qualcuno in manifattura aveva sentito la leggenda per cui dieci anni prima Charles Vermot, ormai pensionato, aveva nascosto i calibri storici, oggi ambitissimi. Beh, Charles Vermot viene contattato e, con l’emozione che solo qualcuno con la certezza di aver cambiato la storia può avere, decide di ammettere il proprio atto criminale, confessandolo per la prima volta anche alla propria famiglia. La produzione di cronografi automatici riparte in nove mesi, lo stesso tempo che è servito per nascondere le macchine.

Oggi, il grenier di ZENITH esiste ancora e non è mai stato alterato. Quando Romain Mazzilli, Brand Experience Manager del marchio, mi accompagna in soffitta, non mi sarei mai aspettato di vedere quanto mi ritrovo davanti. La temperatura cambia, il parquet inizia a scricchiolare a ogni passo e davanti a me vi sono solo travi legnose cariche di stampi di calibri a tal punto da essere ormai totalmente inarcate. Non si capisce nemmeno come possano resistere a quel peso, letteralmente il peso della storia. È come se Vermot fosse ancora presente e quasi bacchettasse chiunque volesse spostare qualcosa, perché anche la polvere ha la sua storia e ciò che abbiamo davanti è inestimabile. Nel suo percorso, infatti, ZENITH ha prodotto più di 500 movimenti diversi, quindi anche altrettanti stampi; oggi inutilizzabili, certo, ma dal grande valore industriale, dato che si potrà sempre andare a studiare matrice e punzoni per comprendere come questi pezzi venivano tagliati una volta.
Insieme a Romain lasciamo la soffitta e da quel momento è tutto più chiaro. Lui avrà visto quel luogo centinaia di volte, eppure lo racconta quasi con le lacrime agli occhi, forse perché toccato dalla storia, forse perché con sapevole che la sua vita, nata ed evolutasi a pochi chilo metri da Neuchâtel, non sarebbe mai stata la stessa senza Vermot. Grazie a lui e a questa esperienza ho davvero chiaro lo spirito di un luogo del genere. Ora, invece, comincia il mio giro nella ZENITH contemporanea e la vicinanza tra tutti i reparti, i settori, la comunicazione costante tra i dipendenti è un dettaglio che noto immediatamente, nonché un’ovvia conseguenza di ciò che ho appena appreso. I designer, infatti, parlano molto con Romain, utilizzare gli archivi è importante per trovare ispirazione: «siamo molto ispirati dall’architettura, dall’automotive e dalla moda. Spesso frequentiamo anche i musei per accendere la mente». Questo team, composto da sole tre persone, segue e mette mano all’estetica di quattro collezioni principali, aggiornandole di annata in annata con un focus specifico su ciascuna; trenta nuove referenze all’anno, più altre che fanno parte delle special series, collaborazioni o pezzi unici per i clienti più particolari. «La strategia dei modelli su cui lavorare è definita dai 5 ai 10 anni in anticipo: si può rielaborare un modello per dare forza a un pezzo storico di design, altrimenti è possibile partire da elementi cardine della persona o della realtà con cui collaboriamo. Altre volte gli input arrivano anche dalla direzione inversa: gli ingegneri hanno un’intuizione su un movimento e noi cerchiamo di valorizzarlo tramite il design. Diciamo che mediamente l’iter per un prodotto di una linea ufficiale è di circa diciotto mesi, mentre per una collaborazione o un pezzo unico su richiesta possono servire anche solo tre mesi, sempre che partano da modelli esistenti».
Mentre spiegano il proprio processo creativo che tocca tutto, dall’orologio al packaging, il team di design scorre decine di schermate digitali davanti ai miei occhi: «talvolta disegniamo a mano ma più di frequente al PC. Spesso si inizia a lavorare front face su Illustrator. Per il quadrante di un cronografo, per capirci, lavoriamo circa su 20 livelli, 30 per l’intero orologio. Si lavora spesso in due di mensioni, anche se talvolta utilizziamo la stampa 3D, più che altro per capire l’ergonomia al polso di un determinato elemento. Questo perché la cosa più importante rimane l’applicabilità: il nostro mondo si distacca molto da quello delle concept cars in cui spesso vengono presentati modelli non proponibili realmente. Per questo, se una nostra idea non viene approvata dal reparto tecnico per via della sua complessità, piuttosto che eliminarla, preferiamo trovare un modo per realizzarla. Capiamo fin dall’inizio se siamo nella giusta direzione o meno».

Realizzare un grande orologio, abbiamo capito, è un lavoro di squadra, e il confronto tra individui fa ben più di un ottimo render. In questo rapporto però serve un elemento comune: l’estrema precisione, un livello maniacale del suddetto saper fare che traspare nella lavorazione di ciascun componente dell’orologio, una cosa che giustifica quei prezzi che il pubblico generalista spesso fatica a comprendere (c’è una linea manuale di assemblaggio, una garanzia di impermeabilità, e molto altro), insieme all’uso dei materiali preziosi. Materiali che un tempo andavano piegati a mano, con un maggiore margine di errore. Oggi abbiamo ben altre tecnologie che hanno permesso a ingegneri e designer di sfidare maggiormente la loro fantasia, con l’inserimento di novità quali il doppio disco per la data, uno per le unità e uno per i decimi, così da poter mostrare numeri più grandi. Ovvio, sono parti tecniche in più su cui lavorare: due movimenti, più variabili di data, più oscillazioni da gestire, più elementi che si connettono a un singolo tasto… ma non è la continua sperimentazione il bello di questo particolare mondo? Vedo i disegni tecnici
che compongono il Pilot Big Date Flyback di ZENITH, un progetto a prima vista tra i più “minimali” del brand: «concepire, realizzare e assemblare un prodotto del genere ha richiesto tantissimo tempo; solo per la definizione e la posizione delle forme sono state impiegate 10.000 ore. Praticamente stiamo giocando la partita di Tetris più complessa del mondo». Ci dice Luc dal reparto R&D. «Il nostro ruolo è vario, perché non si possono saltare passaggi. Siamo architetti, ingegneri e designer, ma anche dei fisici. Come un architetto devi dividere lo spazio, poi come un meccanico devi traslare qualcosa di teorico in pratico, inoltre c’è tutta la parte di calcolo».
Da centinaia di disegni tecnici zoomati fino alla maniacalità, a discorsi sulla differenza tra precisione assoluta e quella relativa, fino a quelli sulla tolleranza temporale o sulla flessibilità dei metalli, a malapena ci si rende conto del passare del tempo. La passione e il saper fare di persone come Romain, Luc, Vittoria e le tante altre incontrate nella manifattura di ZENITH hanno un valore e un significato maggiori in quanto parte di una storia più grande, una storia che è appena iniziata e che non sarebbe tale se non fosse per una incredibile quantità di stampi metallici nascosti segretamente in una soffitta.