Quando a settembre Rasty Kilo si è presentato a Real Talk per regalarci una decina minuti di coca rap, ci ha tenuto a dire a chiare lettere che «o mi pagano bene o non lo faccio il disco». Sono passati quasi tre anni dall’uscita di Cinzia, il suo secondo album. Tra il 2023 e il 2024 il rapper di Ostia ha continuato a rilasciare dei singoli. Nel frattempo, oltre a registrare si è anche dedicato ad altre attività, tra cui la conduzione del podcast Take away insieme ad Ensi, grazie al quale gente ha avuto modo di scoprire il Rasty personaggio oltre al Rasty rapper. Il tono colloquiale di Take away lo avrà aiutato ad allargare il suo pubblico, così come il riconoscimento da parte della nuova scena e dei big del rap italiano. Rasty, infatti, ha lasciato una strofa in quasi tutti gli album più in vista degli ultimi mesi: solo per citarne alcuni, è presente in The biggest sblao di Low-Red e in Trap fatta bene di Papa V, senza dimenticare le collaborazioni con due suoi compari come Night Skinny e Side.
Insomma, questo probabilmente è il periodo di maggior popolarità per Rasty, ma il rispetto dei grandi e delle nuove leve non ci dice nulla di nuovo, semplicemente certifica il suo valore. La carriera del rapper di Ostia va avanti da quindici anni e avrebbe meritato già da tempo maggior considerazione, per il suo valore artistico ma anche per le metamorfosi che ha saputo affrontare.
Dagli inizi coi Rapcore ad oggi l’hip hop italiano è cambiato in maniera radicale e lui non è mai stato fermo, ha sempre assecondato il suo orecchio per le novità, con lo stesso spirito che gli permette di suonare fresco anche al fianco dei più giovani: così come oggi parla la stessa lingua di Papa V e Nerissima Serpe, Rasty dieci anni fa era uno dei migliori feat possibili per Achille Lauro, quando Achille faceva ancora il rapper ed era la novità più stravolgente della scena.
Poi c’è stata la fase del grime, quella più sperimentale in assoluto, dove Rasty insieme a Stabber ha provato ad allargare gli orizzonti dell’hip hop italiano. Era il periodo in cui Skepta in Inghilterra aveva sfondato con Shutdown. Stabber quel tipo di suono sapeva modellarlo a meraviglia e Rasty era riuscito era riuscito a sostituire la realtà di Ostia Lido allo sfondo di Londra. È stata una fase prolifica, in cui Rasty sembrava destinato a emergere in maniera definitiva, con una serie di pezzi uno più potente dell’altro: su tutti Crime, Champions League, dove al suono sporco del grime aveva mischiato l’estetica da campetto del francese MHD, e Kilo Season, con la memorabile rima «Niente di meglio Kilo non si paragona non chiamarmi di domenica lavora solo il Papa a Roma».
Nelle tematiche era sempre lo stesso Rasty, ma con strumentali diverse e una scrittura più fitta nella metrica e piena di punchline. L’eventuale album insieme a Stabber, però, è rimasto un what if. I due non sono riusciti a dare un corpo più robusto alla loro collaborazione perché poi, all’improvviso, per Kilo è arrivato l’arresto.
Da lì, un po’ perché i tempi cambiano, un po’ perché lo stato d’animo gli imponeva qualcosa di diverso, Rasty ha abbandonato il grime, ha semplificato la scrittura e si è avvicinato di più alla trap – se così si può dire, visto che è impossibile scindere la continuità tra un rap più tradizionale e i suoi sottogeneri. Ciò non vuol dire che non abbia cercato una sua impronta. Anzi, spesso si trascura la raffinatezza delle sue scelte.
Sulla credibilità di Rasty e dei suoi contenuti c’è poco da dire, parla la sua storia per lui. Andrebbe sottolineato un po’ più spesso, però, la sua passione per questa cultura, che emerge nei pezzi ma non solo. Rasty ha una conoscenza enciclopedica dell’hip hop. Prima di essere dei rapper, è un nerd innamorato come pochi del mondo a cui appartiene, proprio come Ensi: ecco perché funzionano così bene insieme a chiacchierare di rap su YouTube.
Una passione a 360 gradi, che gli consente di cimentarsi nei diversi filoni del genere: il motivo per cui riesce con un piede a rimanere nel solco dell’hip hop più tradizionale e con l’altro a lavorare con gli emergenti. Rasty è quello che entra a gamba tesa in un pezzo di Rondo e Artie e viaggia sulla loro lunghezza d’onda, ma poi in quella stessa strofa piazza una barra di Grindin dei Clipse, perché alla fine nell’hip hop è sempre tutto correlato. Sono in pochi a poter essere così poliedrici nelle collaborazioni e nei riferimenti. Vale per le citazioni di altri rapper, ma anche per il suo immaginario in generale, dalle menzioni a Gianni Celeste come voce dei quartieri popolari da Roma in giù all’universo criminale a cui ama richiamarsi. Di barre con Tony, Sosa e Pablo ne abbiamo sentite pure troppe in questi anni – anche da parte sua a dire il vero – per cui non te lo aspetti quando in Ferro, il pezzo in collaborazione con Emanuelino, se ne esce con la metafora «Milionario, Paolo Di Lauro», alludendo all’ex boss di Scampia col suo soprannome, “Ciruzzo o’ milionario” per l’appunto.
Il suo gusto sorregge la gimmick da coca rapper ed è ciò che lo aiuta ad azzardare anche soluzioni poco canoniche. Come ad esempio in 100 Mila, pezzo con Tony Boy e Kid Yugi, dove forse non avrà le rime più forti, ma di sicuro è quello con la metrica più particolare, che resta più facilmente impressa. In effetti, i pezzi più riusciti di Rasty dopo i domiciliari sono quelli in cui prova a portare qualcosa di diverso, molto più vicino alla trap americana di quanto siamo abituati. Rasty non cerca più l’incastro o la metafora ad effetto, va dritto con la rima però prova ad adagiarla in maniera peculiare sul beat. I pezzi più forti di Cinzia, non a caso, sono stati quelli meno tradizionali come Malavita, Botte, Nevica, Droga e, soprattutto, quel capolavoro di Hennessy X Lean, pezzo chopped and screwed da pura scuola texana dove una barra piuttosto semplice quale «Roma come Atlanta, ratatata, nei garage soltanto droga, non c’è una macchina» acquista grande potenza evocativa per l’atmosfera in cui è immersa la canzone.
Per quanto la realness sia importante, insomma, si tende a trascurare quanta conoscenza e ricerca ci siano certi passaggi. Che è un po’ il fascino dell’hip hop in tutte le sue sfumature, un genere che può apparire superficiale solo a chi non si è mai incuriosito della sua storia, dei suoi codici e di tutto ciò che investe il processo creativo. È un qualcosa che accade spesso in Italia, dove la percezione del rap troppe volte è quella di un genere vuoto, senza spessore culturale. Il concetto di “sofisticata ignoranza” rivendicato da Gué già ai tempi di Santeria non è ancora passato in un Paese dove chi non si sforza di comprendere la cultura hip hop cita Kendrick Lamar per darsi un tono e i rapper stessi, troppe volte, cercano di dimostrare profondità allontanandosi dal genere, come se il rap non fosse abbastanza intellettuale. E allora ben venga uno come Rasty Kilo che – pur in un format per appassionati come Real Talk – dice a chiare lettere che «Faccio rap come Pusha T, non rap conscious». E ben venga il fatto che a livello mainstream si stiano affermando emergenti che sembrano allineati allo stile del rapper di Ostia.