Pochi giorni fa ci ha lasciati Bob Gore, presidente da quasi trent’anni dell’azienda eponima e artefice del suo prodotto più emblematico, il Gore-Tex. Nonostante la caratura della sua personalità, la compagnia fondata dai genitori nel 1958 appare avviata ad un futuro di stabilità, proprio grazie al suddetto tessuto sintetico, diventato nel tempo una garanzia assoluta in tema di abbigliamento tecnico, nonché fulcro della trasformazione di una piccola impresa familiare, qual era alla metà del secolo scorso la W. L. Gore & Associates, in una multinazionale dai numeri monstre: fatturato vicino ai 4 miliardi di dollari annui, oltre 11.000 dipendenti e interessi che includono, tra gli altri, il settore tecnologico, farmaceutico ed energetico. Soprattutto, la parabola ascendente di Gore si sovrappone a quella di diverse label specializzate in outdoor o sportswear, che hanno implementato il Gore-Tex nei propri capi e accessori, riuscendo poi a diffonderli da un’iniziale, esigua platea di cultori della vita all’aria aperta ai ben più numerosi consumatori metropolitani, affermandosi infine come attori di primo piano della scena street e della moda tout court.
E pensare che la messa a punto della “specialità della casa” avvenne praticamente per caso nel 1969, durante alcune sperimentazioni con il politetrafluoroetilene, polimero sintetico già divenuto il principale oggetto d’interesse di Bill Gore, che il figlio Bob riuscì ad estendere al punto da ricavarne una membrana microporosa estremamente resistente, dalle inedite capacità di impermeabilità e traspirabilità, in grado dunque di respingere le gocce di pioggia, il vento e altri agenti atmosferici consentendo, allo stesso tempo, la circolazione delle particelle di vapore acqueo; nacque così il Gore-Tex, vale a dire politetrafluoroetilene espanso (ePTFE), brevettato dall’azienda all’inizio del decennio successivo con tanto di marchio registrato. Le sue peculiarità risultarono ovviamente appetibili per i produttori di articoli per il trekking, l’alpinismo, il camping e affini: nel 1976 fu per prima la Early Winters Ltd. a ordinare uno stock di quello che i Gore definivano «il primo tessuto traspirante, impermeabile e antivento» sul mercato.
Negli anni ’70 la società definì con cura la propria brand identity, ideando per le principali riviste di settore campagne pubblicitarie in cui il Gore-Tex veniva presentato come conditio sine qua non di ogni prodotto per l’outdoor che si rispettasse, capace di rendere a prova di intemperie l’outfit dell’escursionista di turno. Da Gore l’attenzione alla funzionalità (“Guaranteed to keep you dry”, come recita il claim della garanzia illimitata che, dal 1989 in poi, accompagna ogni esemplare) era tale da stilare dei protocolli dettagliati da trasmettere ai clienti, completi di test e procedure da seguire per assicurarsi che i risultati finali fossero all’altezza delle aspettative.
Negli anni ’90 Gore-Tex copriva già una quota di mercato di circa il 70%, comprendente aziende sportive quali Patagonia, The North Face, L.L.Bean o Columbia, così come Stone Island e C.P. Company, eccellenze nostrane votate all’innovazione a livello di fibre, lavorazioni e tinture. Il nome iniziava ad insinuarsi nell’immaginario pop come sinonimo di utility wear ricercato ed efficiente, celebrato soprattutto nell’ambito dell’Hip Hop: nei brani di Big L, The Fugees o Large Professor compariva infatti al fianco di quelli di prestigiose maison di gioielleria, supercar e altri status symbol del genere. Non mancavano nemmeno i passaggi in tv: in un episodio del ’94 del telefilm “Seinfeld” George Costanza, sodale del protagonista Jerry, appare bardato con una mastodontica puffer jacket nera e, di fronte alla perplessità degli amici, si limita a scandire un nome, Gore-Tex per l’appunto.
In fondo, prima che nel 2018 si iniziasse a parlare della tendenza gorpcore, sdoganando l’uso di hiking boots, parka, anorak, giacche in pile & Co. come complemento dello stile urban più ordinario, gli articoli menzionati venivano scelti dagli appassionati tra quelli dei brand di riferimento per gli sport d’alta quota perché comodi, lineari, resistenti all’acqua, destinati per la loro robustezza a durare nel tempo. Tutte peculiarità enfatizzate o, in alcuni casi, rese possibili proprio dall’impiego delle soluzioni firmate Gore, perfezionate nel tempo grazie alla costante ricerca, foriera di molte altre novità: vanno ricordate almeno le nastrature termosaldate Gore-Seam; la struttura 2-Layer, fondamentale per l’isolamento della membrana, seguita quindi dalla versione a tre strati, che aumenta durata e solidità del materiale; e ancora, il laminato Windstopper, totalmente antivento, e la costruzione Paclite, espressa in giacche comprimibili dall’estrema leggerezza. Tra gli ultimi arrivati figura Gore-Tex Infinium, in cui il focus è tutto su performance e comfort, pensato per il maggior numero possibile di occasioni d’uso, in qualunque condizione climatica.
In questa evoluzione è stata l’azienda stessa, tenendo fede all’approccio pioneristico dei fondatori, ad allargare a mano a mano lo sguardo verso nuovi orizzonti, nello specifico moda high-end e streetwear (vedi Supreme e Palace). Dagli anni Dieci in avanti si sono susseguiti, da una parte, i progetti con creativi d’avanguardia (si pensi ai capispalla sottoposti da Hiroki Nakamura di Visvim a bagni di tintura naturale, all’outerwear dal carattere tech di ACRONYM, ai cappotti, trench, peacoat, bomber e altri classici del guardaroba realizzati da Nanamica in filati tecnici ad hoc, eccetera); dall’altra, capsule collection assurte alla mitologia del mondo street, su tutte le varie iterazioni della serie Supreme x The North Face. Senza dimenticare che i layer Gore-Tex hanno trovato applicazione anche nell’ambito delle sneakers, innestandosi in alcune fra le silhouette più celebri, dalle Converse All Star con tomaia e lacci impermeabili alla texture waterproof delle Reebok Classic Leather, per non parlare di icone quali adidas Stan Smith, Stockholm e NMD City Sock, oppure delle Nike Air Force 1.
Gore-Tex ha poi compiuto passi decisivi nella fashion industry, siglando collaborazioni eccellenti: Virgil Abloh, ad esempio, per la fall/winter 2018 di Off-White ha trattato la membrana alla stregua di un tessuto sartoriale, declinandola in hoodie, giubbetti, tracksuit, pantaloni cargo e borse di piccolo formato. Nello stesso periodo Prada ha rilanciato Linea Rossa, label a suo tempo precorritrice dell’athleisure di lusso che diamo oggi per assodato, e aggiornata nel segno di Gore-Tex, ça va sans dire.
In definitiva, scorrendo l’elenco dei marchi che, nel tempo, hanno incluso le soluzioni dell’azienda americana nelle proprie collezioni, colpisce soprattutto la varietà dei nomi: si passa dai colossi dello sport ai designer indipendenti giapponesi, dalle griffe del luxury world a storiche realtà del casualwear; una lista destinata, con ogni probabilità, ad allungarsi negli anni a venire. Bob Gore avrebbe senz’altro apprezzato.