Loyle Carner ha sviluppato “hugo”, il suo ultimo album, basandosi sulle lezioni di guida che suo padre gli ha dato durante il lockdown, un momento in cui i due sono tornati a confrontarsi, parlarsi e sfogarsi. Quando inizio a parlare con Loyle, mi dice di essere in bicicletta. Ma come? Dopo un album del genere e tutto il discorso sul rapporto con le automobili? «Lo so, lo so! (ride, ndr) Ma vivo a Londra, e andare in bici è molto più comodo! È anche per quello che non avevo mai preso la patente prima di questo momento! E poi sono stato in macchina troppo tempo per la realizzazione del disco, ora mi devo muovere o rischio di ingrassare».
Non molti artisti riescono a conquistare un pubblico mainstream giocando secondo le proprie regole ma Loyle Carner è uno di questi. È vero che mai la scena musicale inglese l’ha fatta da padrona come in questo momento storico, ma il suono che più muove le masse e le classifiche è quello che parte originariamente dal grime e arriva alla drill, ai temi legati alla criminalità, alle gang e alla droga. O, in alternativa, alla party music. Il ragazzo nato a Londra invece ha scalato le classifiche, vinto multipli dischi d’oro e costruito un mondo realmente suo in cui riesce a condividere tutto con i propri fan attraverso la musica, dalla paternità alle sue passioni, dalle insicurezze ai problemi con suo padre biologico. Non solo Loyle Carner ha parlato di ciò che voleva, con il suono che più lo convinceva, ma lo ha fatto crescendo assieme al proprio pubblico.
Questa dinamica di trasparenza e legame intrinseco ha reso i suoi ascoltatori più di semplici fan. Ciò passa principalmente da quello che la sua musica trasmette, qualcosa di non banale. Proprio recentemente parlavo con un amico che aveva visto Carner dal vivo a Bruxelles, il quale mi disse che, a suo modo di vedere, Loyle aveva “hackerato la vita”, perché sempre dotato di una positività cosmica. Questo commento mi aveva colpito perché, al contrario, io in Loyle sentivo l’aspetto meditativo, la profonda riflessione, il confronto con il lutto e la perdita. Aveva ragione lui? Avevamo ragione entrambi? Siamo due scemi che non hanno capito nulla? «No, al contrario! Mi piace molto capire i diversi messaggi che la gente percepisce. Qualcuno ascolta la mia musica per percepirne il lato positivo ed essere elevati verso uno stato di serenità, altri per supporto e comprensioni in momenti difficili. Anche a me capita di fare il medesimo discorso con i miei amici parlando dei nostri artisti preferiti: dipende solo in che modo ascolti la musica. Trovo stupendo che ogni ascoltatore possa farmi scoprire nuovi lati della mia musica, della mia scrittura. Anche perché mi dà la possibilità di mostrare più lati della mia persona».
Uno di questi lati che non poteva non essere toccato è il suo legame col cibo. Il rapper inglese ha una smodata passione per la cucina e ciò si nota anche dalla musica, avendo intitolato due pezzi rispettivamente “Carluccio” e “Ottolenghi”, a celebrare gli chef Antonio Carluccio e Yotam Ottolenghi. Considerando la sua prossima visita in Italia in occasione del tour europeo, non si poteva non parlare di cucina, l’argomento stereotipicamente più amato e discusso dagli italiani. Ma gli stereotipi hanno sempre un fondo di verità. «Ho sempre amato la cucina. Credo sia una derivazione famigliare, non tanto per la presenza di piatti tipici, ma più per la convivialità del pasto. Quando mangiavo con i miei nonni, era l’unico momento in cui la famiglia era sinceramente riunita. Per questo motivo il cibo non è per me solo una passione, non mi provoca interesse solo per i sapori o le tecniche, ma ha anche un significato più profondo. Pensa che qualche anno fa avevo il desiderio di trasferirmi in Italia per imparare le vostre tecniche e piatti principali!» e se parliamo di stereotipo, Loyle Carner ha la storia culinaria più tipicamente italiana di sempre: due nonni che trasmettono una passione legata alla tradizione che aiuta a cementare una famiglia. Il tutto stando seduti a tavola. «Te l’ho detto, per quello volevo venire in Italia! Mi ero quasi organizzato, era prima di conoscere la mia ragazza. Poi ho incontrato lei e molte cose sono cambiate».
«Seguo sempre molto il mondo della cucina! Mi informo, compro i libri e guardo tantissimi show televisivi. Per me è stato un modo per vedere il mondo prima di girarlo in prima persona. Una cosa particolarmente vera a Londra, con tutte le opzioni di cibo da ogni parte del mondo che si possono trovare». Da persona che si fa la lista di ristoranti quando viaggia, non potevo che parlare delle abitudini alimentari in viaggio con qualcuno che non solo è appassionato, ma è anche una persona solita ad andare in tour per gran parte della propria vita. «Ovviamente io e il mio team ci facciamo sempre una lista di luoghi in cui andare a mangiare prima di arrivare in una determinata città. Una cosa che amiamo fare di recente è capire quale comunità di immigrati sia la più presente in un determinato posto, poi provare la propria cucina per capire come si è mischiata con quella locale». La scena milanese allora potrebbe risultare particolarmente interessante per Loyle, con la recente esplosione di ristorazione fusion che ha toccato livelli sempre più alti, ormai lontani dalla semplice cucina per occasionali. «L’ultima volta sono andato da Contraste, il ristorante con una stella Michelin di Matias Perdomo, che per forza di cosa è un’esperienza particolare. Ho sempre amato andare nei ristoranti di alto livello ma negli ultimi tempi sto riscoprendo tanto la cucina casalinga e casereccia, perché sono cose che non puoi trovare da nessun’altra parte. Per farti capire, ai miei concerti sto scambiando biglietti con ricette famigliari, quelle che si tramandano di generazione in generazione. Sono certo che in Italia potrò portare a casa delle belle chicche!»
Loyle Carner non è solo appassionato di cucina ma l’ha resa un’attività benefica. “Chili con Carner” è la sua scuola culinaria per giovani ragazzi affetti da ADHD, ovvero il deficit dell’attenzione. Il cantante è da sempre molto attivo nell’ambito della mental health, al punto da aver partecipato attivamente a diversi progetti di CALM (Campaign Against Living Miserably), precisamente mirati sulla prevenzione dei suicidi giovanili. Il cibo è sembrato quindi qualcosa di naturale da integrare in questi progetti: una passione, una connessione con le tradizioni familiari, un modo funzionale per canalizzare l’attenzione e la concentrazione. «Una pietanza rischia di bruciare in una padella, nel frattempo il forno è acceso, l’acqua scorre e devi stare attento a non tagliarti con i coltelli durante le preparazioni. Insomma, succede sempre qualcosa. Non solo ti aiuta a stare concentrato pur consentendoti di utilizzare un lato creativo, ma ti porta anche a staccarti dagli schermi a cui solitamente siamo ancorati, e il risultato finale è qualcosa che ti fa sentire orgoglioso. A me ha aiutato tantissimo, quindi spero possa dare una mano anche agli altri».
Carner non solo è diventato un nome di prima fascia giocando secondo le proprie regole dal punto di vista musicale, ma anche da quello estetico. Già in tempi non sospetti, il cantante inglese indossava maglie da calcio abbinate a jeans o pantaloni sartoriali, ben prima che il bloke core fosse un trend pronto a conquistare TikTok e le pagine degli editoriali. «È davvero strano ora vedere tutti indossare maglie da calcio in ogni momento della vita quotidiana. Per me è ancora facile reperire le maglie che più mi piacciono, anche se questa moda recente le ha rese sicuramente più costose! Ho sempre seguito il calcio, ci ho sempre giocato, è una parte importante della mia vita, quindi per me è stato naturale indossare le maglie sul palco o per strada. Il calcio mi affascina tantissimo anche per il suo valore sociale e politico: mi piace vedere come le città sono impattate dalla squadra di calcio locale, come gli abitanti sono condizionati ad esempio nei rapporti sociali con tifosi di altre squadre e come ad esempio alcune tifoserie siano legate a un determinato credo politico. Tutti questi elementi non smetteranno mai di affascinarmi». Loyle vive il calcio chiaramente in maniera particolare. Una persona così legata alle dinamiche umane non poteva che provenire dalla città con più squadre professionistiche al mondo (Londra, ndr) e comunque tifare per un club di un’altra città: il Liverpool. «Lo so, è strano, ma da ragazzino amavo alla follia Michael Owen e Steven Gerrard. Quando mio padre mi chiedeva per chi tifavo, io dicevo Steven Gerrard. Mio padre ha insistito sul fatto che non si può tifare per un giocatore, ma per una squadra, quindi il mio cuore è andato nella direzione in cui correva Steven Gerrard, quindi Liverpool». Il sopracitato patrigno era un grande tifoso del Manchester United, al punto tale che Carner ha realizzato una canzone intitolata “Cantona”, lo stesso nome con cui ha chiamato il suo tour del 2016. «Esiste forse un omaggio più sincero di riconoscersi negli idoli altrui che, se vogliamo, sono anche i propri antagonisti?».
Il legame con la famiglia e con il padre diventa particolarmente rilevante se si conosce la storia personale di Carner e di “hugo”, il suo ultimo album. Loyle è infatti cresciuto col padre adottivo dopo una vita totalmente distaccata da quello biologico. La morte del primo e il riavvicinamento del secondo sono stati eventi molto traumatici per l’artista, nonché due tematiche estremamente esplorate nelle sue tracce. Ciò diventa ancora più importante per un motivo: seppur giovane, anche Loyle è un genitore. «La paternità mi ha reso coraggioso, mi ha obbligato a guardarmi con sincerità e farmi lavorare sui miei difetti. Mi ha portato anche a volermi più bene attraverso all’amore che ho per mio figlio». Il tema del coraggio diventa particolarmente rilevante se consideriamo che la compagna di Carner è rimasta incinta in pieno lockdown, un momento oscuro e dubbio per tutti, anche per i musicisti che non sapevano quando e come avrebbero potuto suonare di nuovo dal vivo e, di conseguenza, portava a casa la principale parte dei propri introiti. «Sicuramente è stato un momento complesso, specialmente pensando al futuro. Il momento però l’ho vissuto molto bene dal momento che non avrei mai immaginato di passare così tanto tempo a casa con la mia ragazza, considerando il mio normale lavoro. Ci siamo goduti quel momento unico assieme».