L’infanzia di DMX è stata una lotta alla sopravvivenza

Prima di diventare una delle star più importanti del mondo rap, Earl Simmons ha vissuto circondato da problemi e difficoltà. La morte di DMX per un’overdose di droga rappresenta solo la punta dell’iceberg. La sua vita è stata una montagna russa che non si è mai fermata, nel bene e nel male. Perché fermarsi, alle persone come lui, non era concesso.

Il viaggio di DMX sulla Terra è stata una redenzione continua. Infatti, molte persone consideravano Earl e DMX due persone completamente opposte. La prima si concedeva a raccogliere fondi per la sua chiesa, amare i suoi figli e collezionare macchinine e camioncini. Mentre la seconda era la parte più oscura. Quella gridava al mondo la sua rabbia e le sue debolezze.

È stato in prigione circa 30 volte nella sua vita. Le accuse contro di lui variano: dal possesso di droga alla rapina, alla violazione della libertà vigilata e tutto il resto. Ha lottato con una dipendenza da cocaina e crack. La morte è stata la sua compagna di vita, fino a sopraffarlo completamente qualche giorno fa ad appena 50 anni. La scelta di omaggiare DMX, partendo dalla sua infanzia, non è casuale. Il suo stile musicale crudo, violento e pieno di dolore arriva proprio dai primi anni della sua vita. Molti lo hanno paragonato a Tupac Shakur, oltre che per il suo rap, per aver saputo incanalare nelle sue barre tutto il marcio con cui ha vissuto, in età precoce. Parlare solo della sua musica sarebbe stato troppo riduttivo.

Earl Simmons nacque a Mount Vernon, New York, il 18 dicembre 1970, figlio della diciannovenne Arnett Simmons e del diciottenne Joe Barker, e fu cresciuto nella vicina Yonkers. Da bambino, Simmons soffriva molto di asma bronchiale e veniva portato al pronto soccorso quasi ogni notte a causa del fatto che si svegliava incapace di respirare. Fu incarcerato per la prima volta a dieci anni, quando il tribunale lo mandò in un istituto per bambini per 18 mesi. 

Simmons ha attraversato un’infanzia pesante che includeva l’essere picchiato dalla madre e dai suoi vari fidanzati, tanto da fargli perdere i denti e causargli numerosi lividi e tagli sul viso. A 14 anni, Simmons iniziò a vagare per le strade di Yonkers per sfuggire agli abusi della madre e alla fine trovò conforto nell’amicizia con i cani randagi che camminavano per le strade di notte. Anche lui era diventato un vagabondo. Si fidava più dei cani che delle persone perché lo amavano, qualunque cosa facesse, e non lo avrebbero mai tradito.

Un giorno, però, un bambino di nome Peanut chiamò la protezione animali per il cane di Simmons, Blacky, e finirono così per sparare a Blacky proprio davanti a lui. Una settimana dopo, un Simmons molto arrabbiato andò a scuola con un fucile a canne mozze legato alla gamba. Pochi giorni dopo, era in un carcere minorile, il primo di molti dove rimase per un tempo prolungato.

Girare per le strade di New York negli anni ’80 voleva dire solo una cosa: finire nell’epidemia di crack, all’epoca al picco della sua diffusione. Fu proprio a 14 anni che ebbe il suo primo approccio con le droghe. Come raccontato nella sua canzone “Pain” e nel podcast di Talib Kweli “People’s Party”, un uomo gli fece fumare marijuana e crack assieme senza avvisarlo. 

Non mi ero mai sentito così prima. Mi ha fottuto. Più tardi ho scoperto che aveva corretto il blunt con il crack… Perché avrebbe fatto quello a un bambino?
Aveva tipo 30 anni e sapeva che lo ammiravo. Perché ha fatto questo a qualcuno che lo ammirava?

Inoltre, nella stessa intervista con Kweli, ha spiegato che la persona che per prima lo ha incoraggiato a fare rap è stata anche quella che per prima lo ha esposto al crack, “intrecciando per sempre l’arte, che era la sua salvezza, con la dipendenza che minacciava costantemente di annullarlo”, dice Jon Caramanica sul NY Times. Già nei primi anni di vita aveva capito di doversela cavare da solo. La sua famiglia lo stava portando alla depressione e a non fidarsi di nessuno. La sua infanzia fu letteralmente una lotta alla sopravvivenza. Subire un trauma del genere in una fascia di età così delicata diventa qualcosa che ti segna a vita. Per DMX, questo concatenarsi di eventi difficili lo aveva portato a trovare il suo unico amore nella musica.

Nel 1988, dopo essere stato arrestato per furto d’auto, inizia a scrivere le sue prime barre come passatempo e incontrarsi con altri rapper emergenti. Da quel momento, avrebbe prodotto i suoi primi mixtape da indipendente fino al 1998, anno di esordio su una major (Def Jam) con “Get at Me Dog

“Mio padre non mi ha mai chiamato per il mio compleanno o aiutato a crescere”, ha raccontato Simmons nella sua autobiografia del 2002, “E.A.R.L.”. Sicuramente, la solitudine lo ha aiutato a focalizzarsi completamente su di lui e non dare conto a nessun altro. Se già nascere e crescere in un quartiere popolare è difficile, immaginate farlo senza una famiglia e nessuno al tuo fianco. 

I continui problemi di dipendenza e di salute mentale lo avevano portato a pensare di essere maledetto. La sua è stata un’anima continuamente torturata dal passato, assalita dai demoni dell’infanzia che si presentavano sempre più nella sua mente. La fede religiosa è stato il deus ex-machina della sua esistenza.

Nel 2012, mentre era in prigione, ha affermato di aver ricevuto la chiamata di Dio per convertirsi come pastore cristiano. DMX credeva che fosse stata la caotica dissoluzione della sua vita a permettergli di capire l’amore di Dio e quanto avesse bisogno di lui. Infatti, la Bibbia divenne il suo libro preferito, tanto da leggerla più di tre volte. Lo scorso aprile, all’inizio della pandemia da COVID-19, DMX aveva infatti iniziato una serie di dirette su Instagram mentre leggeva alcuni passi.

Prima di salire sul palco, prego di essere in grado di arrivare anche solo a una persona. Se riesco ad arrivare a una persona, allora ho fatto qualcosa di meraviglioso nella mia vita, non solo in quel momento.

Lord Give Me A Sign, Damien e “Slippin’ sono le tracce in cui tutta la sua devozione per la fede esce fuori. La brutalità del suo passato si era convertita in energia positiva per la sua musica. Non nascondeva mai il suo dolore continuo, anzi, si elevava come un messaggero per i suoi fan. Portare la verità, nuda e cruda, nei suoi testi lo ha consacrato come un personaggio più grande dell’universo hip-hop. La condivisione dei suoi pensieri con il suo pubblico era ciò che lo rendeva orgoglioso. Poter riuscire ad aiutare qualcuno con la sua musica era la sua vera vocazione. Vivere quel passato traumatico ha lasciato segni indelebili nella sua persona ma, allo stesso tempo, è stata la scintilla che lo ha spinto a raccontarsi e diventare un’icona. È stato sotto i riflettori per essere stato l’unico artista a vedere i suoi primi cinque album andare al numero uno nelle classifiche di Billboard, ma anche per i vari problemi personali. “DMX ha consegnato una musica sentita e onesta, la vibrazione che ha riempito il vuoto dopo la perdita di Tupac [Shakur]”, ha detto Paradise Gray, curatore capo dell’Universal Hip Hop Museum (UHHM) in una recente intervista. 

In un’altra intervista per GQ, alla domanda “Cosa rappresenta la tua musica?”, Simmons rispose “La casualità, l’incoscienza. L’aspetto creativo e la profondità”. Tutti aspetti che ritroviamo nella sua musica, ma che prima di tutto rispecchiano la sua vita turbolenta. Nato nella causalità e nell’incoscienza, la creatività e la profondità emotiva lo hanno salvato. E nonostante i soprusi familiari, era stato capace di amare ancora la madre. “Finché non impari a perdonare gli altri, non puoi perdonare te stesso. Non puoi perdonare te stesso se non sai come perdonare”, diceva sempre a GQ. Ma, questa volta, è il cielo a non averlo perdonato per essersi spinto al limite. La sua storia non può che essere di ispirazione per tante persone. Anche nelle difficoltà più grandi, nessuno verrà a salvarti. Tranne te stesso. 

Photographer
Jonathan Mannion