Ballare per la legacy – intervista ad Antonio Spinelli

Ero al Forum di Assago lo scorso dicembre, avevo trovato all’ultimo un biglietto per il concerto di Rosalía e avevo deciso di andarci seppur da sola. Quel concerto lo volevo vedere, non solo perché Rosalía è per me una delle artiste più forti e innovative nel panorama attuale, ma anche perché i suoi live non sono semplici esibizioni artista e voce: sono vere e proprie performance con un corpo di ballo costantemente presente e una scenografia che cambia brano dopo brano. Volevo capire. Vedere dal vivo ciò che si può portare su un palco oltre alla musica.

Il tour, che aveva già fatto il giro del mondo prima di arrivare a Milano, la vedeva muoversi con un set diverso per ogni traccia. A dar vita a tutto ciò erano i ballerini: almeno una decina che, oltre a danzare, trasformavano il contesto in maniera magistralmente lineare, incastrando tutto alla perfezione senza lasciare alcuno spazio vuoto agli occhi dello spettatore. Solo mesi dopo avrei scoperto che uno di quei ballerini è italiano: si chiama Antonio Spinelli, è nato a Napoli e ha appena 24 anni.

Eravamo nello store di Airness a Milano quando ci siamo incontrati – davvero – per la prima volta, Antonio era lì perché quella sera si sarebbe esibito durante l’evento Noche Espolón insieme ad altri quattro giovani ballerini. «È stata una delle notti più belle ed emozionanti della mia vita», afferma quando gli dico che io, quella sera, ero lì. «Ho fatto venire tutta la mia famiglia, mia nonna, la mia comitiva di amici di Napoli. Erano tutti lì per me, ed è stato bello perché ho potuto ballare per loro». I suoi avevano portato le polpette per farle assaggiare a tutti, mi racconta. Poi l’ansia prima di vederli effettivamente seduti. E la conferma che quelli che saltavano e ballavano nel pubblico erano proprio loro. 

L’ultima volta che i suoi lo avevano visto ballare era a teatro, durante l’esibizione di Romeo e Giulietta per cui era stato scelto da Veronica Peparini e Fabrizio Prolli. Da allora però sono passati anni, Antonio aveva ballato in giro per il mondo, nei video musicali e agli MTV EMA di Bilbao. Tutti luoghi dove i suoi non avevano potuto seguirlo. È strano. A volte dai solo una piccola spinta e finisci per creare un effetto domino che butta giù infiniti tasselli.

In questo effetto domino che è stata la vita di Antonio, è stato suo padre a dare la prima spinta. «Quando avevo 2/3 anni mio padre mi prendeva sulle gambe e mi faceva ballare sulla sigla di Beautiful. A 4 anni mi ha portato in una scuola di danza – anche se di solito iniziano a 6 – e da lì non ho più smesso», mi racconta.

È paradossale perché proprio poco dopo, mentre continuiamo a parlare, mi dice che «non è un percorso semplice, nessun genitore si augura che il figlio faccia il ballerino e nessun bambino pensa che un giorno vorrà diventarlo, specialmente da dove vengo io. A Napoli tutti i bambini vogliono fare i calciatori nella vita», dice con un sorriso un po’ amaro. Il segreto, per lui, è stato quello di non vederlo mai come un futuro lavoro, bensì soltanto come una passione che «ti libera, ti fa condividere emozioni e dialogare con un linguaggio che tutti comprendono». Di fatto Antonio, quando ha finito le superiori, ha subito iniziato l’università studiando economia aziendale, mentre nel tempo libero continuava a ballare.

«Quando esci dall’università sai già che con un attestato puoi fare delle cose, nella danza invece non ci sono attestati, non ci sono mai momenti in cui dici, “okay, ce l’ho fatta”. È veramente difficile poterci arrivare». Quello del ballerino non è per niente un futuro certo, non c’è nessuna strada sicura da poter seguire per ottenere ciò che si vuole. «Pensare di farne un lavoro, soprattutto con la precarietà che c’è in Italia, non me l’avrebbe fatta vivere bene». 

Buttarsi, provare. È questo che gli hanno sempre insegnato, e soprattutto a farlo senza un secondo fine. È stato Daniele Sibilli l’esempio più grande e tangibile che Antonio ha avuto nella sua carriera. «Lui mi ha sempre detto: prendi una borsa e vai a fare le audizioni. E così ho fatto». Daniele è un ballerino napoletano con cui spesso ha fatto lezione, a volte lo vedeva tornare dagli EMA, poi ha fatto il tour con Madonna, «e ed è assurdo perché abitiamo a tipo 500 metri di distanza (ride, ndr). Per me è stato l’esempio tangibile di un ragazzo della mia stessa zona che, nonostante tutte le difficoltà, ce l’aveva fatta ed era arrivato ai migliori livelli in Italia e poi nel mondo». 

Su suo consiglio, Antonio ha iniziato a fare audizioni in giro per l’Europa e ha cercato di farsi vedere il più possibile, è così che – abbastanza casualmente – è riuscito a ottenere la parte per gli MTV EMA. E vien da sé che dopo un anno di lavoro in giro per il mondo ha detto ai suoi che avrebbe abbandonato l’università.

«Ci tengo a dire che tutto quello che sto facendo ora è per la legacy e per la culture, non perché mi voglio mettere in primo piano. Voglio che si dia questa risonanza a un ballerino. È una categoria che non viene mai menzionata o riconosciuta allo stesso modo di qualsiasi altro artista».

La cosa assurda è che se l’avesse fatto per un puro fine lavorativo, probabilmente oggi non sarebbe qui. Il suo percorso non è andato sempre liscio, Antonio nel 2019 si è rotto entrambi i menischi e nessuno voleva operarlo perché fino a 21 anni la crescita non si ferma, allora si è buttato sotto con la fisioterapia nonostante i dottori – un po’ come succede nei film – erano più volte arrivati alla conclusione che non avrebbe più potuto ballare. «La cosa più brutta è quando vai a una visita e ti dicono che non puoi più ballare, è successo più volte. E tu dici, “ma veramente finisce qua?” Però fortunatamente non mi sono mai dato per vinto».

Oggi Antonio ha le idee molto chiare: «un giorno vorrei riuscire ad arrivare al Super Bowl; se poi devo dire un artista che mi ispira particolarmente è Chris Brown, perché ha un utilizzo dei ballerini incredibile», ma non è sempre stato così. Quando gli ho chiesto dove si vedeva oggi 10 anni fa, mi ha risposto che sicuramente non si sarebbe visto qua. «La danza mi è capitata nella vita, io ero così piccolo che non so nemmeno come l’ho scelta, è lei che ha scelto me. Idem la mia carriera, mi è capitata».

Siamo quasi alla fine e di Antonio ho capito che nella vita, oltre all’innegabile bravura, ha avuto la capacità di seguire il flusso delle cose, senza neanche pensarci troppo, facendole e basta. Una lezione che forse proprio la danza gli ha insegnato: seguire il corpo dove ti porta, lasciandosi trasportare nella musica come nella vita

Gli faccio presente che nella caption di quello che oggi è il suo primo post su Instagram scriveva: “non sono gli uomini che fanno i viaggi, ma i viaggi a fare gli uomini”. Quando postava era il 2016 e da allora il mondo lo ha girato alla grande. 

«Sono molto colpito dal fatto che ci sia questo primo post, non lo ricordavo. Ed è bello che all’epoca avessi scritto questa cosa, perché adesso mi sento veramente uomo rispetto a quando sono partito. Ho sempre viaggiato tanto anche quando ero piccolo, in Europa e un paio di volte in America, ma era un viaggiare diverso», mi dice. «Viaggiare adesso, per lavoro, mi ha aperto così tanto la mente che a volte mi sembra di vedere un altro mondo».

Quando segue un tour, non si tratta mai di vedere le città in cui viene sballottato, o almeno sicuramente non come farebbe un turista. Si tratta piuttosto di viverle come un cittadino solo di passaggio, capace di adattarsi e apprezzare. «Prima era un soggiornare, ma doversi adattare alle situazioni e dover uscire dalla propria comfort zone tutti i giorni è un’altra cosa. Un letto diverso tutti i giorni, un tipo di cucina diverso tutti i giorni, persone diverse, modi diversi. È un costante adattamento che poi ti porta a farti andar bene tante cose. Riesci ad abbassare quegli standard che tutti ci siamo creati, per arrivare semplicemente ad adattarti alla vita».

«Io odiavo il piccante», mi dice, «te lo fai andare bene. Quando le scelte si riducono, diventi capace di scendere a compromessi. Dall’altra parte la cosa bella è che capisci che tutto il mondo è Paese e che le contraddizioni sono ovunque. A volte si sogna l’America, ma non è per forza come sembra. Quindi poi torni con una consapevolezza diversa, e quelle cose che prima magari criticavi adesso le trovi più accettabili».

Antonio non ha ancora ballato su un grande palco a Napoli, non ce n’è stata l’occasione, ma sarebbe un sogno. Intanto, dopo sei mesi, tornerà in Italia per esibirsi di nuovo a Milano sul palco degli I-Days, e per lui già questa è un’ulteriore possibilità per dimostrare che l’Italia non è seconda a nessuno.

Foto
Filippo Florindo