Ah, l’Italia. Il Bel Paese. Una nazione così bella e varia. Una destinazione paradisiaca fatta di antiche rovine, delizie culinarie e uno stile di vita invidiabile caratterizzato da pomeriggi di riposo che sconfinano senza interruzioni in infinite pause caffè. La bellezza è ovunque: nei cartelli stradali, nei menu dei ristoranti, nei volti delle persone che incontri durante la passeggiata verso il lavoro. Ci sono nonne sorridenti in ogni dove, anziani pronti per essere fotografati mentre giocano a carte al bar locale e bambini chiassosi che partecipano a partite di calcio improvvisate in qualsiasi angolo. Le donne sono sempre eleganti, con acconciature perfette che resistono a qualsiasi condizione climatica. Le persone conducono una vita sibaritica piena di piaceri e momenti di pace.
Persino il semplice atto di varcare la soglia di casa è gratificante: appena esci dalla porta di qualsiasi edificio, inizia subito a suonare una sinfonia folcloristica. Chi ha bisogno di Spotify quando si può avere una band che, suonando dal vivo, ti segue per la città mentre sfrecci per vicoli stretti sulla tua Vespa rossa d’epoca?
Non importa se il manto stradale in cemento è irregolare, il marciapiede è scivoloso o i livelli di inquinamento dell’aria hanno raggiunto livelli preoccupanti, basta mettere le mani a forma di cono ( ) e dondolare i polsi avanti e indietro. Non importa se i passanti si sentono offesi, dopotutto, questo gesto con la mano è l’epitome indiscussa dell’italianità, giusto?
Avete mai provato ad essere italiani all’estero? Ecco, se vi siete mai chiesti come ci si sente ad essere delle celebrità, allora dichiarate la vostra nazionalità al prossimo viaggio fuori dal Paese. Diventerete il centro dell’attenzione. Tutti vi parleranno delle loro vacanze mozzafiato alle Cinque Terre, descriveranno la più deliziosa cacio e pepe mai mangiata e rabbrividiranno al pensiero di quella volta in cui sono stati scippati (attenzione pickpocket!) mentre camminavano ingenuamente con il naso all’insù. E se siete anche lontanamente legati al Sud, preparatevi a sentire parlare di svariate storie sulla mafia. Anzi, se potete, inventate una storia sui vostri antenati o parenti: fingete che siano agli arresti domiciliari, facciano parte di un racket o governino il quartiere in stile Gomorra. I vostri nuovi amici ve ne saranno per sempre grati. Che privilegio è poter vivere ogni giorno tanta drammaticità.
L’italianità è davvero tutta pizza, pasta e mandolino. Quante volte vi è stata proposta questa retorica? Ma realisticamente sapreste riconoscere il suono o perfino l’aspetto di un mandolino? Dubito di averne mai visto uno in vita mia, o sentito il suo suono.
Romanticismo e tradizione, superstizione e misticismo; sono questi i messaggi che passano. Risuonano ovunque, privandoci (o costringendoci a conformarci, dipende dal punto di vista) della proprietà di narrazione. È quasi come se il mondo, inclusa la nostra società, non volesse vedere l’Italia progredire. Vogliono che rimanga congelata nel tempo, come i resti di un naufragio sulla costa di un’isola esotica, bloccata ai margini dell’innovazione: abbastanza avanzata da avere una connessione wi-fi perfetta, ma sufficientemente arcaica da soddisfare sogni nostalgici di un passato ormai lontano.
Nonostante sia la culla di alcune delle menti più importanti della storia, l’eredità dell’Italia spesso si riduce a narrazioni rurali e trucchetti artigianali che riducono la nostra grandezza a uno spettacolo di menestrelli alla mercé dei turisti provenienti da nazioni che possono contare su un’economia più forte.
In ogni momento – con picchi che coincidono solitamente con l’inizio dell’estate – aprire l’app del social media preferito significa essere catapultati in una danza di contenuti che ritraggono un’immagine idilliaca dell’Italia che, nei miei 31 anni sulla Terra, non ho ancora avuto modo di sperimentare. Da Nord a Sud, influencer impeccabilmente vestiti che parlano inglese camminano per le strade acciottolate dei siti storici elencando tutte le attività stereotipate svolte dagli italiani, ritraendo il Paese come un luogo mistico bloccato in una bolla senza tempo in cui la vita è semplicemente, *Chef ’s kiss*, migliore.
Lo spettacolo raramente riguarda la splendida arte o la natura unica che abbellisce la nostra terra, parliamo invece di un’esplorazione quasi sempre di natura antropologica, arricchita da una strana sfumatura voyeuristica. Gli anziani che godono di un meritato riposo dopo una vita di lavoro (nel 2019, il Governo ha ritardato il pensionamento a 67 anni) vengono privati della loro privacy per soddisfare il bisogno edonistico di evasione, i giovani emarginati diventano un simbolo di libertà. Persino fare la spesa diventa argomento di discussione: riesci a credere che esistono ancora negozi di frutta e verdura a gestione famigliare? Secondo queste piattaforme moderne – a volte gestite anche da imprenditori local che cercano giustamente di capitalizzare sul mito creato da altri – in quanto residente in Italia, le mie giornate dovrebbero essere piene di infinite attività pastorali o altamente tradizionali, come mescolarmi agli anziani sulle note ritmiche di una tarantella in una piazza poco illuminata nel cuore della Puglia, schiacciare pomodori insieme a nonne abbronzate dal sole o godermi fiumi illimitati di prosecco su una barca ancorata al largo della Costiera Amalfitana. A volte, ho paura che il mio passaporto venga revocato se non mi adeguo a questi compiti predefiniti. Dopotutto, perché dovrei lavorare duramente per mantenere la mia emancipazione quando potrei trascorrere il mio tempo con le amiche sulla terrazza di una villa in pietra calcarea da maggio a ottobre?
Questa interpretazione post-Hollywoodiana de “La Dolce Vita”, che alcuni oggi chiamerebbero (forse erroneamente) Vita Lenta, contemporaneamente si sottomette e trae profitto dallo sguardo straniero fornendo una realtà sognante che è accessibile solo a una categoria molto specifica di persone, sia a livello locale che internazionale: la classe più agiata. Alla sua base, la celebrazione del relax illimitato è una cosa positiva. Il mondo può diventare piuttosto frenetico e, a volte, non fare nulla è l’unica risposta radicale. Tuttavia, il fatto di selezionare con molta attenzione frammenti estremamente curati della vita quotidiana come rappresentazione dell’intera abitudine italiana ha trasformato un momento di gioia, un attimo di respiro nella frenesia quotidiana, in una generalizzazione distorta. E mentre la romanticizzazione dei meravigliosi paesaggi e del patrimonio storico italiano, esacerbata dalla moltitudine di compagnie aeree a basso costo che monopolizzano i nostri aeroporti, sembra influire positivamente sull’economia attirando turisti disposti a spendere una fortuna per vivere le esperienze più autentiche che ci siano – mangiare assieme ai local, flirtare con bei poliziotti, fare shopping di marchi di design a prezzi scontati – i residenti sono costretti a sradicare le loro vite alla ricerca di angoli più accessibili dove il loro magro stipendio possa durare tutto il mese.
La famigerata moda delle case a un euro che ha attirato l’attenzione della stampa internazionale negli ultimi anni è l’esempio perfetto della situazione attuale dell’Italia. La mancanza di risorse, gli incentivi finanziari scarsi e le relative poche opportunità per i residenti autoctoni hanno portato a un grave spopolamento e a tassi elevati di disoccupazione giovanile, costringendo intere generazioni di italiani a emigrare all’estero per realizzare le proprie ambizioni. Questo fenomeno ha creato un vuoto nel mercato per gli investitori stranieri con posizioni economiche più solide che si sono impossessati di queste proprietà decadenti e le hanno trasformate in attività profittevoli su misura per le esigenze utopistiche dei viaggiatori. Purtroppo, per quanto interessante possa essere per la preservazione di palazzi altrimenti in rovina e per la crescita del nostro Paese, le comunità locali vengono sempre più allontanate ed emarginate dai loro quartieri, le piccole imprese si vedono costrette a chiudere a causa della concorrenza delle grandi catene commerciali, e i centri storici si svuotano per fare spazio a ristoranti trappola-per-turisti di scarsa qualità che si rivolgono a vacanzieri gastronomicamente inesperti. Invece di produrre servizi per coloro che lo costruiscono, la città diventa un prodotto alla mercé delle fluttuazioni di mercato. Pensiamo a ciò che è avvenuto a Venezia durante la pandemia: l’arcipelago urbano è diventato rapidamente vuoto, con negozi chiusi e proprietari che non riuscivano a trovare inquilini a breve termine per affittare i loro Airbnb.
Come risultato delle false speranze promosse da una copertura mediatica e ricerche superficiali, abbiamo assistito all’emergere di scandali legati al lavoro da remoto, come nel caso della famiglia finlandese che ha denunciato pubblicamente la brutale realtà del sistema scolastico siciliano. Dopo essersi innamorati dell’isola mediterranea e aver iscritto i loro figli in un istituto locale per abbracciare uno stile di vita più lento, si sono resi rapidamente conto che la situazione era piuttosto caotica. Le aule erano rumorose, gli insegnanti troppo severi, il programma troppo carente. Prima ancora di riuscire a disfare le valigie e a integrarsi adeguatamente nella loro nuova comunità a Siracusa, hanno deciso che il clima caldo e il buon cibo non valevano la pena della sofferenza sistemica, quindi se ne sono andati. Ma cosa succede alle persone che semplicemente non possono strappare le loro vite e scegliere la prossima destinazione per migliorare il loro tenore di vita a causa di ragioni economiche o famigliari? Perché non c’è parallelamente anche una promozione delle cittadine maggiormente benestanti nel nord Italia, dove l’agricoltura e l’industria prosperano, consentendo alle famiglie di permettersi vacanze all’estero e auto di lusso? I figli ben educati dei digital nomad sarebbero in grado di frequentare le lezioni senza problemi nella provincia milanese? In quanto persona cresciuta beneficiando dei servizi impeccabili forniti dal Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna e che allo stesso tempo è stata esposta al graduale deterioramento del Meridione, sono costantemente sorpresa dalla narrazione fin troppo omogenea che circonda l’Italia. La mancanza di sfumature, contesto e prospettiva quando si tratta di ritrarre la penisola è veramente sbalorditiva, addirittura controproducente. Si riduce tutto al minimo comune denominatore, promuovendo stereotipi irrealistici e boriosi cliché. Invece di lottare per una riforma diffusa sia a livello locale che nazionale, accettiamo il nostro destino come un Paese in declino. Ci aggrappiamo a un passato grandioso e dogmatico solo per diventare vittime di una narrazione distorta costruita su stereotipi e tradizioni deboli che non esistono più ai giorni nostri. O, se esistono, sono tipici di una percentuale molto, molto piccola di italiani la cui vita diventa erroneamente lo standard universale. Quindi, se il tanto amato Sud è difettoso alla base e la non considerata provincia settentrionale non è abbastanza romantica per il turismo, per chi è davvero un sogno l’Italia?