Jaren Jackson Jr. non vuole porsi limiti

Jaren Jackson Jr. è un giocatore diverso dagli altri: il lungo dei Memphis Grizzlies non è solo diventato il miglior difensore della stagione NBA 2022-23, ma anche un leader dentro e fuori dal campo nonostante la pressione di essere stato la quarta scelta assoluta nel Draft 2018, lo stesso che ha segnato l’arrivo in NBA di stelle affermate come Luka Dončić, Trae Young e Shai Gilgeous-Alexander. Jaren ha mostrato di essere una figura tremendamente interessante anche fuori dal rettangolo di gioco per diversi motivi. In primis non ha problemi a parlare di qualunque argomento, che sia nei media tradizionali o nei podcast realizzati da altri colleghi cestisti, è anche un rapper (al momento Trip J, il suo alter ego, ha pubblicato tre EP e svariati singoli) e un grandissimo esperto di moda. Non solo Jackson Jr. è solito sfoggiare degli outfit impressionanti e di grande gusto nei tunnel dei palazzetti nordamericani, l’interesse di Jaren va ben oltre il volersi vestire con abiti costosi: gli piacciono i tessuti, andare alle sfilate, provare a creare un’identità e dei messaggi attraverso l’abbigliamento. Possiamo trovarlo con un look formale alla sfilata di Zegna, o con un’estetica più estrema da Rick Owens, o ancora più casual con un total look Chrome Hearts. Il talento dei Grizzlies ha già realizzato una collaborazione 100% Made in Italy col brand Mauna Kea ed è passato a Milano per One Court, la International Business Academy organizzata dalla NBPA e SDA Bocconi in cui ha seguito lezioni che uniscono proprio il business management e, tra le altre cose, il mondo del fashion. Lo abbiamo incontrato.

Bentornato a Milano, Jaren! La passione per la moda ti ha riportato qui. Il legame col fashion deve essere proprio forte.

È davvero da tanto che ho questa fissazione per la moda, dacché ho memoria. Sono tanti i modelli che prendo a riferimento per il mio stile. Mi piacciono molto gli artisti, gente come A$AP Rocky, Wiz Khalifa, MGK o Michael Jackson. A volte sono anche i film e i fumetti a darmi delle ispirazioni dal punto di vista estetico. Ad esempio Bruce Wayne.

Questo nome ammetto che non me l’aspettavo. In che modo?

Più che Bruce Wayne sarebbe meglio dire in generale Batman. Per come indossa i suoi elementi caratteristici e gli accessori. Puoi trovare moda e stile in qualsiasi cosa e se presti attenzione puoi anticipare i trend anche di anni. 

E tu sei appassionato da sempre?

Certo, da sempre! Ad esempio, ricordo che mi sono sempre piaciuti i pattern, fin da piccolo. Provare ad abbinarli. Inoltre ora ho anche la disponibilità economica per creare davvero la visione e l’immaginario che più mi piace. Ho solo 23 anni, ma ho già potuto realizzare una capsule a mio nome e ho lavorato con designer che stimo. Sento che davvero non ho limiti guardando al futuro.

Considerando questa passione e l’interesse per il lato produttivo, hai frequentato anche alcune manifatture italiane?

Certamente! Se mi appassiono di qualcosa, vado a fondo. A maggior ragione se inizio a collaborare con qualcuno, voglio avere la testa e le mani su ogni passaggio dell’operazione. Sono molto esigente su quello che mi piace, a volte fin troppo, al punto da diventare fastidioso. Però questo è perché stimo e rispetto determinati marchi, quindi voglio tenere uno standard molto alto.

Considerando questa volontà di andare a fondo, quanto in là vuoi portare questa tua passione?

Sto imparando che bisogna essere dei professionisti per gestire davvero bene una passione. Io non voglio essere un occasionale, nel basket come nella moda, voglio creare qualcosa che rimanga nel tempo. Parlare con gente come Laetitia Loffredo, Communication Director di Off-White, o Giordano Calza, Co-Fondatore e CEO di GCDS, mi ha fatto capire ulteriormente quali sono gli step che devo fare per muovermi correttamente in questo mondo. Per ora voglio iniziare a portare avanti i miei progetti parallelamente al basket. Magari le modalità non saranno perfette agli occhi dei più esperti, ma cerco di fare il massimo per quelle che sono le mie attuali capacità.

Infatti mi hanno detto che in queste lezioni sei uno dei più coinvolti.

Sì, mi piace essere attento a lezione e fare domande. Anche perché sono argomenti che mi piacciono e in cui vedo un futuro. Soprattutto le parole di Laetitia Loffredo, Communication Director di Off-White, Alessandro Menconi, Retail and Franchising Director di Off-White, e Gianluca Toniolo, CEO di Dolce & Gabbana Beauty. Mi hanno insegnato che non serve essere perfetti per portare avanti determinati progetti, perché perfetto non lo è nessuno. Devi provare, rischiare. 

Hai prima citato Batman, i film e i fumetti. Ti vuoi limitare alla moda o ti vuoi espandere anche in quei mondi?

Amo i fumetti e la cultura giapponese, specie se associata alla moda e ai loro design. Mi piacerebbe creare qualcosa nel mondo dei fumetti ma non è ancora il momento giusto. Per ora cerco di aumentare le mie conoscenze della cultura giapponese perché è immensa e ne sono innamorato. Penso davvero non abbia rivali.

Sei già stato in Giappone?

Mai. È un viaggio che devo assolutamente fare ma voglio prima essere preparatissimo per godermelo al massimo.

Parlando sempre di elementi che hai menzionato in questa chiacchierata: alcuni dei tuoi modelli sono rapper e anche tu fai rap. Nell’ultimo anno e mezzo hai pubblicato due progetti.

Il rap è un bellissimo mezzo di espressione. Infatti io non scrivo mai, i miei pezzi sono freestyle che esprimo come mi sento in un determinato momento. Però spaccano.

Sono tanti i giocatori NBA che fanno rap. Chi è il migliore?

Beh, io. Dame (Damian Lillard, ndr) è molto forte, ovviamente. Sai qual è la verità? I giocatori NBA che rappano sono molti di più di quelli che pensi. Mi mandano tutti i loro pezzi, canzoni che non sono mai uscite.

E dici che è meglio che non le abbiano mai pubblicate?

Diciamo che non sarò io a fare i leak dei loro pezzi, ecco!

Anche questa passione vuoi portarla avanti in maniera professionale o solo un passatempo?

No no, questo è solo un gioco. Almeno per ora. Ovvio, è importante fare le cose per bene e offrire a chi ascolta un buon prodotto. Anzi, aspetta… C’è qualcosa che mi piacerebbe fare nel mondo della musica a livello più professionale: l’A&R. Mi piacerebbe avere un collettivo di persone creative che spazi tra moda e musica, un po’ alla A$AP Mob. Voglio gestire queste persone, fare da manager.

Che altro ti piacerebbe fare?

Voglio fare tutto! Mi piacerebbe avere anche il mio basketball camp dedicato ai “lunghi” in cui insegnare i movimenti, offensivi e difensivi. Tante altre cose.

L’intuito imprenditoriale non ti manca. Non hai già registrato il marchio di del tuo soprannome “Block Panther”?

Esatto! Diamo credito a mia mamma per questo. Lei è molto attenta a queste cose e mi ha sempre aiutato.

Recentemente sei stato a “Podcast P”, il podcast condotto da Paul George che è solo l’ultima realtà nel mondo dei media portata avanti da giocatori in attività. Ti senti più libero di parlare quando trovi davanti certe figure rispetto a un più tradizionale giornalista? 

Forse se si tratta di una conversazione particolarmente lunga sì, ma in generale non più di tanto, perché io sarò sempre sincero con tutti. Difenderò sempre i miei compagni a spada tratta, anche perché non conosco tutte le persone con cui parlo, ma conosco perfettamente i miei compagni e le persone di cui parlo. 

Nello sport europeo, specie nel calcio (per fare un confronto a livello di fama) sarebbe quasi impossibile vedere atleti in attività portare avanti progetti del genere in cui si parla così apertamente anche con avversari del dietro le quinte di questo mondo. I tifosi avrebbero una risposta molto forte.

Perché da noi è diverso, non ci importa. O meglio, a qualcuno importa, a me no. Non voglio essere arrogante, sia chiaro. Io voglio essere sincero e non credo ce la si possa prendere con la gente sincera. Uno non può solo dire quello che viene suggerito dal proprio team media. 

Il divario nella comunicazione tra Europa e America lo vediamo particolarmente quando gli atleti non parlano del proprio sport, quanto più degli interessi personali.

Per me non c’è differenza perché il basket è uno dei miei interessi personali, tanto quanto la moda o la musica. Per me il basket è un’attività quotidiana ma non lo vivo come un lavoro. Anche perché è il lavoro migliore del mondo. Non solo per me il basket è tutto, ma è anche il motivo per cui posso fare quello che faccio fuori dal campo, cose di cui mi piace parlare pubblicamente.

Quindi dici che i giocatori NBA sono più liberi di parlare di certe cose rispetto ai corrispettivi europei solo perché decidono e si impongono di farlo?

Per me sì. Anche perché la critica esiste anche da noi.

Il solito concetto per cui prima si chiede agli atleti di essere più coinvolti nel sociale e parlare di argomenti che esulano dal proprio sport, salvo criticarli e tornare al classico shut up and dribble quando dicono qualcosa che non piace all’ascoltatore.

Esatto. Questa situazione non cambierà mai. L’importante è solo non farsi limitare da queste critiche. Se posso dare un consiglio agli altri atleti: fregatevene. Se vi importa troppo di urtare chi ascolta, al punto da alterare la vostra libertà di parola, ve ne pentirete quando sarete più vecchi.

Foto
Francesca di Fazio per NBPA