Jeff Staple si racconta in occasione della collaborazione con Octopus

Octopus ha collaborato con Staple, brand che sin dalla sua nascita racconta i valori e la cultura dello streetwear newyorkese al pubblico. Ciò che accomuna entrambi i brand è la loro riconoscibilità tramite un simbolo: i tentacoli di Octopus e il piccione di Jeff Staple.

Proprio il simbolo del piccione è stato reso grande dall’imprenditore americano a partire dal lancio della Nike SB Dunk “NYC Pigeon”, calzatura che ha contribuito alla diffusione del termine “hype” e che ha aperto la strada del moderno collezionismo di sneakers.

In occasione del lancio della collezione, Jeff Staple ha concesso un’intervista in cui ha parlato della sua storia e del suo avvicinamento al mondo dello streetwear, per poi concludere dando un consiglio per le generazioni a venire.

Il piccione si è evoluto molto nell’ultimo decennio. Lo streetwear non è più il piccione malvisto, brutto e sporco della moda, ma è stato accettato anche ai piani alti del fashion system. Qual è il prossimo salto evolutivo?

«Non credo ci sia bisogno di un salto evolutivo, nel senso di cambiare il piccione. La cosa bella del piccione è che rimane umile… anche se sono stati in grado di conquistare qualsiasi città, i piccioni continuano ad avere la stessa mentalità di lavoro duro, da strada, non cambiano la loro natura. E poi, al di là delle metafore, la percentuale di persone che capiscono davvero dove è arrivato lo streetwear, come ha cambiato la moda, è molto bassa. Ci sono molte persone che ancora non sanno cosa sia, tanta gente che non sa nulla di streetwear, street culture, sneakers culture… Oserei dire che il 99% dell’intera popolazione non sa ancora nulla di tutto questo. In pratica ci rivolgiamo solo a un 1%. Quindi, credo che il piccione abbia ancora molto lavoro da fare, almeno in termini di educazione del pubblico».

Ma ti sono sempre piaciuti i piccioni? Perché, diciamocelo, non sono in molti ad apprezzarli…

«Certo! Prima di iniziare Staple, ho sempre amato i piccioni. I miei genitori avevano un’attività a New York, quindi anche se sono cresciuto nel New Jersey, a circa 30 minuti dalla città, ero spesso in città, vedevo i piccioni e li ho sempre amati. Di solito i bambini li inseguono, li disturbano… ma io non l’ho mai fatto. Li ho sempre osservati e rispettati. Quando finalmente mi sono trasferito a New York nel 1993, è stato naturale per me continuare a studiarli. Poi, un’esperienza che mi ha cambiato la vita è stata quella di poter passare un po’ di tempo con Mike Tyson, che ha un profondo amore per i piccioni. Ho avuto modo di stare con lui sul suo terrazzo a Brooklyn, dove aveva circa 1.500 piccioni, ed è stato davvero fantastico».

Avviare un marchio oggi sembra relativamente facile, se paragonato ai primi anni Duemila. Cos’è che ti faceva andare avanti, all’inizio della tua carriera di designer?

«Sono d’accordo sul fatto che oggi probabilmente sia più facile avviare un marchio. Ad esempio, non è necessario sapere niente sulla produzione dei capi, puoi semplicemente andare su qualche sito e farti fare una t-shirt in un giorno. Nello stesso giorno puoi creare un negozio con Shopify – e boom, sei online. Per quanto riguarda il marketing, è sufficiente aprire un account Instagram, gratis. Quindi si può davvero avviare un marchio di streetwear in 2 giorni. Nei primi anni Duemila non c’era tutta questa tecnologia, quindi era ovviamente molto più difficile. Ma comunque, onestamente, la mia spinta principale in quei giorni era solo il divertimento. Avevo altri lavori, lavori regolari: lavoravo in un negozio di fotocopie, in uno di sneakers, spazzavo i capelli in un salone di parrucchieri, poi ho lavorato alla Rawkus Records, alla rivista The Fader… In questo modo mettevo insieme un reddito fisso che mi permetteva di vivere. Ma ogni momento libero che avevo, lo dedicavo a Staple. Era la mia passione. Quindi non ho mai avuto bisogno di capire quale fosse il mio obiettivo, o il motivo per cui lo facevo… pensavo sempre a Staple e, semmai, cercavo di trovare un modo per lasciare i miei altri lavori e dedicarmi a Staple a tempo pieno».

Qual è la cosa – o il momento – di cui sei personalmente più orgoglioso, guardando agli ultimi 25 anni?

«Molte cose, ma una in particolare…Dunque, ricordati che ho iniziato entrando di nascosto nel laboratorio della mia scuola per stampare le magliette. Il mio primo ordine di magliette l’ho ricevuto dal Triple 5 Soul Store nel Lower East Side: erano 12 t-shirt, e anche quelle le ho stampate di nascosto a scuola. Quindi in pratica Staple è cominciato dal nulla, in un modo quasi illegale. E ora, 25 anni dopo, ci sono almeno 50 persone che dipendono dal marchio, un intero team, molti hanno mariti, mogli e figli… mi rende davvero orgoglioso, che una cosa che sono stato in grado di inventare, oggi possa provvedere alla vita di così tante persone».

New York è ancora oggi la tua principale fonte di ispirazione? Sembra che la città sia cambiata molto negli ultimi 20 anni…

«La New York di oggi non è più quella di una volta. Credo che anche prima del Covid stesse andando in una direzione sbagliata, perché per vivere a New York oggi bisogna essere molto ricchi, e di conseguenza la cultura sta iniziando a spostarsi verso altri luoghi. La cultura di strada ha bisogno di fatica, di sporco. Non può essere tutta oro, marmo e champagne, capisci? La cultura di strada non vive bene in quell’ambiente, perché smette di evolversi. La street culture prospera negli angoli sporchi, nell’underground. New York è diventata un parco giochi per miliardari, quindi la cultura di strada oggi si sta sviluppando meglio da altre parti. Personalmente, cerco ispirazione a livello globale, attraverso i viaggi o internet. Staple è un marchio globale, quindi per me è importante mantenere le mie radici e la mia storia a New York, ma anche essere in grado di andare oltre i confini della città».

Qualche consiglio per i giovani che vorrebbero seguire le tue orme?

«Sì, un sacco di consigli! Ma il più importante è quello di svegliarsi la mattina, guardarsi allo specchio e chiedersi se si è felici. Se non sei felice, cambia. Se sei felice, continua a fare quello che stai facendo. Tutto qui. La vita è davvero semplice, basta fare un passo alla volta, ogni giorno è nuovo. Cerca di mettere in un angolo la pressione che arriva dalla società, che siano i tuoi familiari, i tuoi genitori o anche i fottuti commenti su Instagram… ci saranno sempre forze esterne che cercheranno di dirti cosa ti renderà felice. Quindi il segreto è mettere a tacere tutte queste voci. Una volta che sei su quest’onda, una volta che ascolti solo te stesso, è come se la vita si sbloccasse, perché hai capito cosa ti rende felice… e questo è, tipo, il segreto della vita».

Qual è la tua principale ossessione, dal punto di vista del design?

«Adoro ancora le sneakers. La gente ha un rapporto di odio-amore con la sneakers culture, ma io continuo ad amarla. Le scarpe sono la mia grande ossessione, e mi vesto ancora ogni mattina iniziando dalle scarpe. Quindi, anche nel mio processo creativo, oggi le sneakers rimangono un’ispirazione, una vera pietra angolare su cui costruire le mie idee di design».

La capsule collection tra Octopus e Staple riprende ricami e le iconiche grafiche di entrambi i brand. In più, ogni prodotto è numerato da 1 a 50 e viene distribuito con un’etichetta per bagagli, per evidenziare come le miglia aeree che separano Milano da New York possano essere colmate da una collaborazione che racconta la storia analoga e lo stile dei due brand.

La collezione in edizione limitata è disponibile in esclusiva da Spectrum a Milano e online sul sito di Octopus e di Staple.