Michael Jordan, outfielder dei Birmingham Barons, squadra satellite dei Chicago White Sox. A dirlo suona ancora strano. L’anno di Jordan nel baseball è uno dei più incredibili sliding doors del mondo dello sport, un punto interrogativo del mondo sportivo che ha portato anche a qualcosa che è poi perdurato nel tempo: l’arrivo di Jordan Brand e le sue scarpe nel mondo del baseball.
Grazie a “The Last Dance” e soprattutto a “For the Love of the Game”, l’autobiografia di MJ uscita nel 1998, sappiamo che Jordan stava già ponderando un ritiro nel 1992, distrutto dagli impegni con i Bulls e Team USA. Quando suo padre fu ucciso nel 1993, Jordan decise a portare avanti quello che sarebbe stato il suo primo ritiro. L’elemento più sorprendente fu la scelta di non dedicarsi al tempo libero, a carriere alternative o ad allenare, ma di passare a un altro sport professionistico, quel baseball che tanto lo fece legare al compianto James.
Nel suo girovagare tra Sarasota (Florida), Scottsdale (Arizona) e Birmingham (Alabama), Jordan ha cominciato una breve carriera in un’altra squadra di Jerry Reinsdorf, già proprietario dei Bulls. Il baseball era da sempre nel cuore di Jordan, uno degli sport che più ha giocato in giovane età, nonché il preferito dal padre. La storia parlerà di numeri non impressionanti legati alla carriera di Jordan, statistiche che potrebbero parlare di un fallimento. Ma il baseball è uno sport complesso, dal lungo apprendimento. Uno dei suoi allenatori disse che Jordan aveva tutte le carte in regola per raggiungere la Major League considerando le sue doti atletiche e la sua etica di allenamento. Questo coach, anche lui agli inizi, era Terry Francona, che poi diventerà una leggenda, vincendo due World Series con i Boston Red Sox.
Jordan fu un’attrazione senza precedenti in Alabama. Ricordiamoci che parliamo di una squadra di Minor League AA, ovvero la seconda categoria nel sistema di sviluppo delle squadre professionistiche del baseball americano. In questo ordine, dall’alto al basso: MLB, AAA, AA.
In questa terza categoria, solitamente il pubblico lo si può contare. Nel caso di Jordan, c’erano troupe televisive arrivate dal Giappone. Immaginate ora una crew da Tokyo, che parla solo giapponese, a Birmingham, in Alabama, nel 1994. Scott Ostler, penna storica del San Francisco Chronicle, racconta che già all’epoca il cameraman giapponese era in ginocchio, prostrato per cercare di riprendere i cleat, gli scarpini di Michael Jordan. Così unici e diversi dagli altri.
Jordan giocò principalmente in Air Jordan 9, con una PE incentrata sul nero, bianco e grigio dei Barons, così come dei White Sox. Le PE di Jordan sono state anche le prime ad avere sul tallone il numero 45 al posto del solito 23, per celebrare il nuovo numero di maglia nel nuovo sport. Jordan ricevette da Nike anche due diverse tipologie di PE, una con tacchetti in materiale plastico applicati con una singola placca su tutta la suola (attualmente usati da circa il 20% dei giocatori di MLB) e successivamente anche una versione con tacchetti metallici (come nel 70% dei casi in MLB). Ci volle più tempo per questa nuova versione, dato che includeva anche l’inserimento di una grossa unità Air sul tallone per migliorare il comfort ridotto dalle placche metalliche sulla suola.
Jordan però non si limitò a giocare con le creazioni a lui dedicate. His Airness ha calcato il diamante anche con modelli standard di Nike Baseball, molto probabilmente per venire incontro al tempo di lavorazione necessario per adattare le sue Jordan 9 a essere performanti su erba e terra rossa. Non a caso ha indossato un classico modello Nike in una delle prime uscite con gli Scottsdale Scorpions e poi un’altra trainer dello Swoosh con suola dedicata specificatamente all’erba sintetica.
Da quel momento Jordan Brand entrò a piedi pari nel mondo del baseball. Successivamente strinse un accordo con un giocatore che farà la storia di questo sport: Derek Jeter, leggenda dei New York Yankees. Lo storico numero 2 iniziò a scrivere la propria storia con delle meravigliose Jordan 14, modello eternamente sottovalutato nel mondo Jordan, interamente nere che benissimo si legavano al pinestripe degli Yankees.
Jeter fu anche il primo atleta Jordan di sempre ad avere una propria signature line da utilizzare tra le basi del diamante. Con circa dodici modelli, parliamo di una delle signature più costanti degli ultimi anni, con anche diverse PE e richiami a modelli passati.
Le Jordan Jumpman Turn 2 furono le prime, nel 2002, seguite dalle Jordan DJ e le Jordan Jet. L’influenza del design cestistico è evidentissima in questi primi modelli, ispirazione confermata anche nelle Six4Three del 2005, modello che ricorda vagamente le Jordan Super.Fly 2017, scarpa molto successiva del mondo basket.
Le Jumpman Jeter Official del 2006 hanno degli elementi delle Air Jordan Women’s OG, nate per il pubblico femminile nel 1998 e da poco riportate in auge. Le Jordan Jeter Vital e le Jordan Jeter Cluctch degli anni successivi continueranno sullo stesso filone di nubuck ed elementi plastici, fino ad arrivare alla Jordan Jeter Captain del 2009, scarpa con cui Jeter vincerà le sue ultime World Series, nel 2009. Questa scarpa fu anche la prima (e ultima) della signature line con unità Air.
I tre modelli successivi furono quelli di maggiore culto. Le Jordan Jeter Throwback del 2010 erano le prime a integrare visibilmente un elemento caratteristico di Derek Jeter, ovvero il numero 2 tra le forature sulla tomaia per la respirazione del piede. Le Jordan Jeter Cut del 2011 erano le più ispirate al mondo lifestyle, non a caso rivediamo il loro avampiede nelle 408 Trainer realizzate da Virgil Abloh per Louis Vuitton. Il trio viene chiuso dalle Jordan Jeter Legend, la cui sezione della caviglia strizza l’occhio all’universo Huarache di Nike.
Le Jordan Jeter Lux Metal furono il modello dell’addio al baseball nel 2014. Per questo motivo, l’ottima struttura e i richiami alle Jordan 6, si tratta di un modello ancora tra i più utilizzati in MLB dagli atleti sotto contratto con il Jumpman.
Jeter è stato un ariete per questo mercato che ha poi portato all’arrivo di nuovi ambasciatori della legacy del Jumpman in MLB. Baluardo di questo movimento fu sicuramente CC Sabathia, ex pitcher di Cleveland, Milwaukee e soprattutto New York Yankees. CC non era solo un fuoriclasse e un compagno di squadra di Jeter, ma era anche l’immaginario perfetto per Jordan Brand nel baseball: forte, grosso, amato dal pubblico e soprattutto dalla comunità ispanica, molto più legato a una realtà di quartiere rispetto al più “quadrato” e istituzionale Jeter.
Jordan Brand ha accresciuto il proprio brand partendo proprio da Sabathia, focalizzandosi su altri due grandissimi lanciatori odierni come Gio Gonzalez e David Price. Jordan 9 e 12 sono particolarmente comuni nel baseball ma è appunto con Sabathia prima, e Price poi, che abbiamo iniziato a vedere maggiore varietà, tra cui Jordan 4 e Jordan 6. Il fatto che Price sia passato in più squadre dalle gamme cromatiche molto differenti, ha aiutato a differenziare le proprie PE.
Gli attuali depositari del mondo Jordan nell’America’s Game sono Mookie Betts e Manny Machado. I fenomeni di Dodgers e Padres sono soliti ai classici: Jordan 9 e 12 sono costanti, ma hanno il merito di aver portato le Jordan 13 nel diamante. Entrambi sotto i 30 anni e presenza fissa all’All-Star Game (Betts è stato anche MVP dell’American League e campione delle World Series con i Boston Red Sox), sono il presente e il futuro del marchio Jordan, giocatori le cui PE non faranno altro che diventare sempre più costanti e folli.
Clint Frazier è la nuova wave dei cleat alternativi, lo sneaker king del mondo MLB. Anche lui è, non a caso, dei New York Yankees. La via di Clint è diversa. Da sempre appassionato di Air Jordan 1, scarpa che dice di indossare ogni giorno, ha deciso di renderla per la prima volta uno scarpino da gioco. Insieme a Custom Cleat, azienda che personalizza scarpini, ha raccolto alcuni dei suoi modelli preferiti e ha poi portato avanti il lavoro.
La AJ1 “Shadow” è stata la prima, a cui poi si sono succedute tante altre. Quelle che lo hanno reso più noto sono state le “Nigel Sylvester” e le “Travis Scott”, postate anche da Travis stesso su Instagram.
Recentemente Jordan è rientrata nel gioco del baseball come brand a tutti gli effetti, non solo come fornitrice di scarpe. Al momento il suo lavoro si concentra ancora principalmente sulle PE ma possono puntare ormai su una presenza ai piedi di quasi il 5% della MLB, con apici che toccano i già citati Gio Gonzalez, David Price, Mookie Betts e Manny Machado. La possibilità di una prossima signature shoe non è irrealistica.