Da anni NBA e moda sono legati. Pensiamo ad Allen Iverson e le critiche che ricevette per il suo abbigliamento. Wade è stato a sua volta un’icona di stile fin dai primi anni in NBA. All’epoca c’erano due o tre persone pronte a stupire tutti, a uscire dal coro, ora invece sono tantissimi gli atleti con un’estetica unica e sempre più al limite. Grazie ai social network hanno un’enorme piattaforma non solo per farsi vedere dal pubblico, ma per raccontare la loro storia, lanciare messaggi politici o altro. Noi possiamo aiutarli, ed è fantastico.
Questo è come Kelsey Amy descrive il suo lavoro di Promo/PE designer a Jordan Brand. Kelsey e il resto del team Promo/PE lavora appunto sui prodotti Players’ Edition, ovvero quelle edizioni destinate esclusivamente agli atleti. Insieme a lei abbiamo cercato di capire come nasce un prodotto PE di Jordan, come si arriva a fare parte di questo team e che idee ha Jordan per il futuro in questo settore.
Quando sono arrivata nel team ci concentravamo sulle gamme di colori e ogni tanto creavamo qualcosa a livello di storytelling, ma non era il focus. Poi però si è deciso di cambiare rotta, anche per la presenza di atleti come Westbrook, una persona unica per personalità e scelte stilistiche. C’era la voglia di elevare il marchio sul campo. Molti oggi guardano Jordan come un marchio lifestyle ma questo è un brand performance.
Il cambiamento di rotta di Jordan è stato chiaro. Da un inizio molto pacato, quasi anonimo a livello di PE, il Jumpman ha chiuso la scorsa stagione con circa 100 PE realizzate appositamente. Un numero impressionante, mai visto in una stagione NBA.
La stagione 2018-19 è stata la prima senza alcun tipo di restrizione sulla varietà cromatica delle scarpe utilizzate dai giocatori in partita. Ergo, la NBA ha dato via libera alla creatività, diventando la terra promessa del mondo sneakers. Tra modelli storici, brand creati da giocatori, custom, PE e addirittura qualche scarpa lifestyle, i parquet NBA sono ormai alcuni dei principali tappeti rossi per sfoggiare novità o, meglio ancora, modelli inediti. E i brand ne sono consapevoli.
Per elevare questa idea a trend osservato a livello mondiale serve gente speciale, come Kelsey Amy e il resto del team Promo/PE. Perché Kelsey parla sempre al plurale, fa sempre capire come sia il lavoro di squadra a rendere il suo lavoro possibile. Per fare parte di un team del genere però la strada è spesso lunga.
Hai iniziato a dipingere su sneakers prima di studiare arte al college, vero?
Sì, prima ho provato qualsiasi cosa di artistico, dalla scultura al disegno, alla pittura. Sapevo solo che da grande avrei voluto fare qualcosa di artistico e creativo. Al college, a Penn State, ero una studente-atleta (hockey su prato, ndr) e gli allenamenti mi toglievano troppo tempo per studiare graphic design, la mia vera prima scelta, quindi ho optato per arte, precisamente Disegno e Pittura. Mi ha dato un’ottima base per tutto ciò che ho fatto successivamente, incluso imparare autonomamente graphic design.
La pittura sulle sneakers è qualcosa che ho sempre fatto al liceo ma al college era impossibile, avevo troppo poco tempo. Finita la stagione sportiva nell’ultimo anno di college però ho ricominciato, prima come hobby e poi ho iniziato a farlo su commissione per guadagnare qualcosa. Quel lavoro mi è servito per accedere a un internship da Nike, al termine del quale però non sono stata assunta. Così mi sono trasferita a Portland, ho iniziato a customizzare scarpe fino a ottenere un piccolo lavoro come assistente designer presso Nike. Solo dopo sono arrivata a Jordan.
Su Nike Janoski hai fatto i tuoi primi custom ma sono le Nike Monarch quelle che ti hanno portato alla notorietà, giusto?
Esatto!
@MakeMonarchsGreatAgain. Come hai cambiato il lavoro su materiali così diversi?
Ho iniziato con la tela perché, provenendo dalla pittura, mi è sembrata una transizione naturale. Ho iniziato a provare cose nuove quando, con un po’ di notorietà in più, la gente cominciava a farmi richieste sempre più diverse e specifiche. All’inizio si commettono errori ma più si prova, più si impara. La scelta delle Monarch deriva da mio padre. Lui ha sempre indossato Monarch.
Che in USA è la dad shoe per eccellenza.
Esatto. Quando facevo sport, tutti i papà indossavano Monarch alle partite, al punto che tra di noi era diventato un inside joke. Un giorno al lavoro indossai delle Monarchs bianche, classiche, e mi dissi “sarebbe bello se Nike creasse nuove colorazioni, una sorta di club con la Monarch del mese”. La mia idea nacque da lì. Anche perché non è per niente una brutta scarpa, in America aveva solo preso la fama di dad shoe, la scarpa da genitore. Volevo che la gente iniziasse a vederla diversamente.
Procediamo con la tua storia. Dopo tutto questo percorso, qual è stato il tuo primo vero ruolo in Nike?
Tipico lavoro di inserimento in questo mondo. Era un mix. Un po’ di grafica, un po’ di ufficio, un po’ di altro. Non il mio ruolo preferito ma ho incontrato molte persone che non solo mi hanno insegnato molto, mi hanno fatto capire come gestire il tempo e cosa davvero volevo fare nella vita. Non è stato facile arrivare a un ruolo nel designing, ho trovato tante porte chiuse, ma col tempo ci sono riuscita e questo primo ruolo mi ha aiutata.
E alla fine è arrivata Jordan. Gruppo di elite.
Sì, Jordan cade sotto l’ombrello Nike ma ha una struttura autonoma e il team è molto più piccolo. Ha realmente una struttura familiare e lavori a stretto contatto con le stesse persone, così da conoscerle davvero a pieno. Qualcosa di cui andiamo fieri.
E finalmente parliamo del gruppo Promo/PE
Da poco più di un anno sono in questo team. Io personalmente seguo principalmente la sezione NBA quindi lavoro con ciò che Blake Griffin, Russell Westbrook, Chris Paul, Jimmy Butler e gli altri atleti Jordan vogliono indossare. Alcune volte mi capita di seguire qualche progetto relativamente alle squadre collegiali e ad atleti di altri sport ma il mio focus è sul basket.
Come si struttura il lavoro?
C’è un team design e un team coloring retail, per il materiale da negozio. In mezzo ci siamo noi di Promo/PE, ovvero Promotional e Players’ Edition. Parlando di Promotional si intendono prodotti principalmente studiati per dare la massima visibilità al marchio, Players’ Edition invece si dedica a creare qualcosa di esclusivo per i giocatori, raccontare la loro storia attraverso le loro scarpe. Ora infatti non seguo solo il colore ma posso seguire la creazione nella sua interezza, dalla grafica ai materiali, dallo storytelling al packaging.
Molte PE, specie quelle di Westbrook, hanno materiali molto diversi da quelle retail. Hai dovuto imparare a lavorare sulla composizione materiale o c’è chi si occupa specificatamente di quello?
Il nostro team è piccolo quindi non c’è una persona apposita. Ho lavorato con un material designer quando lavoravo sulla parte retail, cosa che mi ha insegnato molto su questo mondo. Talvolta il risultato finale è stato ottimo, talvolta è stato rovinoso. Come il custom, si impara con l’esperienza.
Come procede il processo creativo? Vi sedete col giocatore e discutete alcune strade da prendere o avete già dei piani da seguire?
Sì, ci sediamo col giocatore e discutiamo con lui che cosa vuole comunicare. La sua storia, i suoi colori preferiti, le sue passioni e tanto altro. Poi sta a noi integrare tutto questo con la scarpa, sempre facendo capire al pubblico che si tratta di un prodotto nato per giocare ai massimi livelli. Poi è ovvio che alcuni giocatori vogliono essere più coinvolti di altri. In ogni caso, nulla di ciò che facciamo è una sorpresa per loro, l’ultima parola è sempre la loro.
Team piccolo e molti atleti. Se la parte retail lavora 18 mesi in anticipo, con che tempistiche lavora la sezione PE?
Mediamente 3 mesi in anticipo. Il tempo è poco e solo grazie a un team strepitoso come il nostro, in cui tutti lavoriamo con la stessa passione e mentalità, è possibile portare a termine il lavoro. Questo è anche il motivo per cui non si può avere certi modelli in vendita, c’è una discrepanza di 15 mesi sull’organizzazione del lavoro. Per il retail infatti si lavora solitamente con un anticipo di 18 mesi, te lo confermo perché prima ho lavorato nella sezione retail coloring.
Il più del tuo lavoro quest’anno è stato con la Why Not 0.2, la signature di Russell Westbrook.
Esatto. Abbiamo portato avanti questa idea, abbastanza folle, di farlo scendere in campo con una nuova colorazione in ogni partita. Da questo punto di partenza abbiamo arricchito il progetto con il packaging. Il corridoio tra parcheggio e spogliatoi è sempre molto fotografato e ripreso dalle TV ma comunque poco utilizzato, quindi abbiamo deciso di aggiungere qualcosa di unico per evidenziare alcuni modelli in particolare, così come le relative storie.
Se il piano era avere un paio a gara lavorando con 3 mesi di anticipo, significa che avete progettato colorazioni fino a un’eventuale Gara-7 di NBA Finals. Qual è la tua preferita a non aver mai toccato il parquet?
Sinceramente quasi tutto quello che speravamo uscisse è uscito. Ovviamente c’era anche altro ma i progetti che ci stavano più a cuore sono stati utilizzati. Speriamo continui così.
Hai citato prima il packaging. Nessuno nel mondo PE fa i box, o almeno nessuno a livello di quello che avete fatto quest’anno. C’è una persona addetta a questo specifico settore?
Quando abbiamo iniziato a pensare all’introduzione dei box non avevamo il budget per una persona apposita quindi ci siamo un po’ improvvisati esperti di packaging. Abbiamo lavorato con un’azienda locale, si chiama Recon. Sono ragazzi incredibili, senza di loro non ci saremmo mai riusciti. Sia io che i miei colleghi proponevamo idee completamente folli ma loro riuscivano sempre a realizzare il progetto.
C’è stata qualche box o qualche PE che hai proposto ma non è stato realisticamente possibile creare?
Un paio. Dietro questo processo creativo c’è molto che la gente non vede o considera. Una buona parte di quello che non vede la luce è limitato da problemi legali. Magari fai un riferimento o un richiamo a qualcosa che è coperto da un copyright o dalla proprietà intellettuale di un altro marchio e quindi non possiamo utilizzare. Può o non può essere successo che nelle prime uscite siano state infrante alcune regole e dopo qualche meeting con il nostro team di avvocati abbiamo capito bene cosa si potesse e non si potesse utilizzare.
I giocatori iconici di questa generazione si ritirano o si avviano a cominciare gli ultimi anni di carriera, i brand invece aumentano (PUMA, New Balance e And1 sono tornati sulla scena solo nell’ultima stagione) e cercano di accaparrarsi il nuovo MVP, così come il nuovo fashion icon. Jordan, protagonista di oggi, ha aggiunto da poco al suo roster anche Jayson Tatum e ovviamente Zion Williamson, il prospetto più intrigante mai arrivato in NBA dai tempi di LeBron James, il quale ha firmato un contratto da record per un rookie (75 milioni di dollari in 7 anni), pur avendo ricevuto offerte decisamente più remunerative da PUMA e Li-Ning. Zion ha rifiutato di diventare il rookie dalla sponsorizzazione più alta di sempre (gli 83 milioni in 7 anni di LeBron James sono ancora in testa) pur di firmare col suo marchio preferito, Jordan, con l’aspettativa di diventarne il nuovo simbolo.
Jordan non ha mai avuto tanti atleti di prima fascia come quest’anno: Kemba Walker è passato in un mercato enorme come quello di Boston, Tatum è il vostro nuovo atleta e non dimentichiamo Zion Williamson, giocatore che ormai sta su un mercato completamente a parte. Con un roster del genere, progettate ancora di fare una PE a partita almeno con un giocatore?
Ciò che è stato fatto con Russ è servito a catturare l’attenzione di tutti, questo era il nostro obiettivo. Non credo ci sarà un altro progetto del genere per il momento, ma ci impegneremo a fare in modo che in ogni partita in TV, in ogni highlight ci sia un prodotto Jordan. Non solo il pubblico deve sentirsi attratto e colpito dai prodotti Jordan sul campo, ma anche gli atleti stessi.
Quindi non dobbiamo aspettarci un esercito di PE per singolo giocatore ma più probabilmente una PE per ciascuno al mese, o comunque nelle partite più importanti e con maggiore copertura televisiva.
Esattamente. Insieme al mio collega di PLM (Product Line Management) studiamo il calendario di ciascun nostro giocatore così da sapere quali sono i momenti principali della stagione e della vita personale dell’atleta per fare in modo che abbia ai piedi una PE.
A questo punto chiudiamo il discorso sulla stagione conclusa con una domanda ovvia. Quali sono state le tue PE e i tuoi box preferiti?
Difficile da dire. Le tue?
Vediamo. Parlando di box sicuramente quello a forma di ring da pugilato. Per le PE invece direi le CP3 XI “Flintsones” e le Why Not 0.2 “Bleach”.
Non me l’aspettavo! Le “Bleach” sono anche tra le mie preferite, molto sottovalutate. Pensa che l’effetto decolorato (bleached, appunto, ndr) l’ho fatto personalmente nella mia vasca da bagno! Per quanto riguarda il mio box preferito invece, direi quello per le “Teddy Bear” di San Valentino. Era un’idea molto azzardata, inoltre quel box era enorme. Quando Russ lo ha portato in mano verso gli spogliatoi sembrava grande, non immenso ma grande, ma non dobbiamo scordarci la stazza di Westbrook. Inizialmente non pensavo fosse possibile realizzarlo. Una volta fatto lo abbiamo mandato a Westbrook ma non sapevamo se lo avrebbe utilizzato o meno. Poi mi hanno detto che lui stesso era così esaltato che si era messo a correre per l’hotel nel tentativo di trovarlo. Eravamo contenti che lui fosse felice. Il giorno del debutto mi è arrivata una notifica da ESPN e ho visto che la storia più letta del giorno era “Russell Westbrook arriva alla partita con una gigantesca scatola a forma di cuore”. Non ci credevo.
A livello di PE invece le mie preferite erano le “Bleach” e le “Own The Chaos” che ha utilizzato nei Playoff, quelle divise a metà: una parte uniforme e una parte divisa in diversi materiali e pattern. Mi sono affezionata a quella per la sua storia. Una parte è la scarpa nella sua normalità, come se fosse una tela bianca, mentre l’altra metà è folle e include il percorso che la scarpa ha seguito con le nostre PE. Era un po’ come un mix di tutto quello che abbiamo fatto durante l’anno.
Il concept è anche molto adatto a Westbrook.
Esatto! Su chiunque altro sarebbe stato strano e non avrebbe avuto lo stesso effetto. Rispecchia non solo il suo percorso ma anche il suo gusto nella moda.
Ci sono atleti specifici con cui vorresti lavorare?
Non saprei. Non mi sono mai fatta questa domanda per il semplice fatto che non ho mai pensato che questo sarebbe stato il mio lavoro. Il percorso è bellissimo e non vedo l’ora di portarlo avanti. Ci sono alcuni ragazzi nuovi molto esaltanti come Jayson Tatum e Zion. Personalmente sono carica per lavorare con chiunque perché non solo amo il mondo delle sneakers, ho anche fatto sport fino alla fine del college quindi mi piace molto collaborare con gli atleti.
Il roster Jordan è ulteriormente interessante perché ogni giocatore è noto anche per attività lontane dal campo. Russ collabora con alcune case del mondo della moda, Blake Griffin fa podcast e serate di stand-up comedy.
Tatum e Kemba sono nella stessa squadra, Zion è l’hype fatto a persona e molto altro. Raccontare le storie di questi ragazzi è la cosa che preferisco. No, aspetta. Raccontare la loro storia e vedere la gioia e la sorpresa quando toccano la scarpa per la prima volta, queste sono le mie cose preferite del lavoro.
La firma di Zion è stata la più importante dai tempi di quella di LeBron James con Nike, ormai quasi 20 anni fa. Ci parli di come è andata?
L’intero brand ha seguito la vicenda molto da vicino. Ovviamente il nostro team non faceva parte delle trattive quindi per un periodo sapevamo quello che sapevano tutti da casa.
Di sicuro avranno parlato del vostro/tuo lavoro, essendo un’arma che gli altri brand non hanno, quantomeno a questo livello.
Mi piace pensare che abbiano parlato anche di noi! In realtà credo che Zion abbia capito l’impostazione diversa che ha Jordan Brand rispetto agli altri: i team sono più piccoli, la struttura è quasi famigliare. Parliamo di qualcosa che non si può comprare, anche perché i soldi per Zion arriveranno, non saranno pochi milioni a fare la differenza. Il Jumpman rappresenta qualcosa che va oltre la pallacanestro, è una mentalità, un modo di essere. La scelta non è difficile per chi lo capisce.
Quindi stai già lavorando alle PE per la signature di Zion?
Ovviamente non posso commentare in merito (ride ndr).
Io ci ho provato! Una Kelsey Amy PE come sarebbe? Stavolta sei tu l’atleta. Che scarpa, tema e box sceglieresti?
Wow, non saprei. Il mio problema è che mi interessano tantissime cose, non ce n’è una sola che mi rappresenta appieno. Andiamo per gradi. Probabilmente si tratterebbe di una Jordan 1. Le amo, sono le mie preferite. Però non saprei come modificarle, così su due piedi. Se dovessi scegliere un tema però cercherei di raccontare il mio percorso, come la strada per raggiungere un obiettivo non sia la stessa per tutti. Io stessa non mi capacito di tutte le cose diverse che ho fatto in passato per arrivare dove sono ora, quindi vorrei si parlasse di quello. Ci aggiungerei anche un riferimento al mondo dei custom. Anche il fatto di essere una donna in questo mondo credo sia un elemento importante. In pochi vedono una scarpa performance ai piedi di un giocatore di basket o football e pensano che dietro possa esserci una donna. Evidenzierei anche questo aspetto, perché chiunque può avere belle idee e dare un buon contributo a un progetto, indipendentemente dal genere o dal percorso che ha seguito in passato.