The North Face ha organizzato dei workshop per presentare il progetto della collezione “REMADE” fatta di capi e accessori non più riparabili. Il progetto di upcycling aggiunge un livello ulteriore al già strutturato sistema di riparazioni del brand — fondamentale soprattutto quando si parla di abbigliamento tecnico e attrezzatura sportiva.
«Il processo di REMADE è come imparare una nuova abilità e confrontarsi con un nuovo modo di pensare. Spinge i designer del team e me stessa a far fluire la mente creativa in modo diverso, creando un effetto domino che si riversa su ogni aspetto del nostro lavoro».
Tara Shrestha, Senior Design Manager
La capsule presentata dal brand per la stagione estiva è dedicata all’arrampicata e comprende di tutto, dalle felpe, ai borsoni fino alle chalk bags (quelle piccole borsine per la magnesite che gli arrampicatori si legano in vita quando scalano). Durante il workshop è stata messa in pratica la filosofia della collezione REMADE per cui gli ospiti hanno realizzato sul momento le chalk bag utilizzando ritagli di stoffa di tende danneggiate e parka consumati.



Anche i capi della collezione sono realizzati a mano dal team di designer e 15 di questi sono stati esposti durante la presentazione negli spazi di DOTS a Milano pronti per entrare in un asta di acquisto i cui ricavi verranno devoluti all’ente di difesa del clima e partner di lunga data di The North Face, “Protect Our Winters”. “Non è solo questione di profitto, ma è un tema di miglioramento” spiega Tara.
La scelta di dedicare questa occasione all’arrampicata si spiega gradando alla lunga storia che il brand ha con questo sport: il negozio di The North Face nel quartiere North Beach a San Francisco è da sempre un punto di riferimento per gli scalatori così come lo sono stati i primi cataloghi del brand, diventati poi bibbia etica ed estetica per generazioni di climber negli anni a seguire.



Il progetto REMADE porta avanti questa stessa passione ma la veicola verso la circolarità dei prodotti. “È davvero difficile; abbiamo tutti i nostri resi che vengono spediti alla sede di Glasgow, ci sono sacchi e sacchi. Quando arrivi e vedi tutto pensi sembra incredibile”, spiega Tara, “poi devi scoprire tutti i diversi capi, trovare i pezzi che funzionano insieme. È davvero una sfida”. Il lato sperimentale del progetto è fortissimo: “È tutta una questione di prove ed errori, sperimentale al 100%. Molti del team non toccavano una macchina da cucire dai tempi dell’università quindi quando facciamo queste cose è come imparare di nuovo ad andare in bicicletta”. Un lavoro di sperimentazione che infatti rende unico il risultato; come spiega Tara è come se ogni pezzo fosse fatto su misura.