La consapevolezza di Madame

Francesca, o per meglio dire Madame, arriva sul set direttamente da Vicenza accompagnata da una rappresentante della sua casa discografica e sua madre Nadia, quella stessa “Mamma Nadia che la ascolta da giorni in radio” all’inizio di “.Rosso”, il pezzo di Night Skinny.
Risulta subito visibile che Madame è una persona dalle idee molto chiare: sa cosa le piace e cosa meno tra gli outfit che le vengono proposti, ha grande voglia di parlare in libertà di qualsiasi cosa durante l’intervista e non ha paura di mettersi in gioco nello shooting.

Mamma Nadia è già da un po’ più di qualche giorno che può ascoltare sua figlia in radio, o in TV o sui principali palchi d’Italia, non una cosa banale per chi ha compiuto diciotto anni da poco e ha conquistato interamente la scena rap italiana. Proprio il termine “scena rap” è qualcosa di estremamente limitato parlando di Madame, specie considerando le sue influenze, i suoi featuring e quanto altro farà nella sua ancora lunga carriera. Non a caso il rap è stato consapevolmente solo un punto di inizio. Proprio consapevolezza sarà il termine che più di tutti identificherà Madame in questa intervista, ma ancora di più Francesca.

«A quattordici anni la voce dei ragazzi è rotta, in cambiamento, e io a quell’età volevo fare musica. Sapevo di non poter arrivare nemmeno al sol dell’ottava normale, quindi mi sono resa conto che all’epoca non avrei potuto fare la cantante ma solo la rapper perché il genere non tocca note particolarmente alte. Ho iniziato quindi a fare rap perché era l’unico genere che potevo fare. È stata una strategia più che una passione, il rap infatti non lo conoscevo molto. L’ho scoperto proprio in quegli anni con Emis Killa e Fedez, nel 2013 circa. Sentii “Parole di Ghiaccio” su MTV e poi vidi Clementino a Sanremo. Mi ricordo ancora la scena: a tredici o quattordici anni sono davanti al computer e cerco “donne rap italia” su Google. Ne trovo giusto quattro o cinque. Col tempo mi sono piaciute e me le sono pompate un sacco (Leslie, Comagatte e Loop Loona prima, Beba e Priestess dopo), ma non mi ci rivedevo, perché nessuno faceva quello che volevo fare io, quindi ho capito che c’era un posto per me e ho provato a prenderlo».

«Le mie ispirazioni principali sono arrivate nel 2016 con la cricca di “Bimbi”, quindi Ghali, Charlie Charles, Sfera Ebbasta, Tedua, Izi, Rkomi.
Izi e Rkomi mi hanno fatto crescere, sia per l’uso di alcune linee vocali ma soprattutto per i testi. Ho sempre trovato il fascino nel complicato e loro mi piacciono per quello, perché vanno davvero per i cazzi loro. Fibra per esempio è molto semplice e comprensibile fin dai primi ascolti, mentre in un pezzo di Izi o di Rkomi trovo qualcosa che prima non avevo colto anche al cinquantesimo ascolto. Questa continua ricerca mi fa appassionare e mi rimane dentro. “Pizzicato”, “Io in Terra” li so a memoria. Col passare del tempo mi sono resa conto che la scelta del rap è stata ottima perché con questo genere puoi dire molte più cose, e io ho tanto da dire». 

Fa quasi strano sentire parlare di Izi e Rkomi come di “genitori musicali” considerando la loro età, ma non è strano che Madame vada a scegliere proprio loro. Loro hanno sempre sperimentato tanto con la propria voce, spingendola dove talvolta non ci si sarebbe aspettato, ma soprattutto hanno una scrittura convulsa e metodicamente caotica che può confondere come guidare, un modo di esprimersi che in Madame si ritrova spesso, specie nei suoi primi pezzi, a cui aggiunge però una prosa molto elaborata, capace di dipingere immagini chiare agli occhi di chi ascolta. Non è un caso che Izi abbia sempre detto di prendere a piene mani dal tipico cantautorato italiano, De André in primis, la prima ispirazione di Madame. «Sono cresciuta con De André, lo Zecchino d’Oro e Justin Bieber, quindi una mia canzone è l’unione di questi elementi. Non parto mai da zero, il primo passo è uno sguardo verso di loro. Non ho mai scritto una canzone in vita mia senza essermi ispirata a un’altra già esistente. Sono dell’idea che gli esseri umani esistano da troppi anni per poter creare sempre qualcosa di nuovo. Per questo, secondo me, non esiste la musica realmente nuova. Solo i geni creano da zero e io non penso di essere un genio. Il bravo artista di oggi fa il cuoco e crea il suo piatto prendendo diversi ingredienti». Ma cos’è questo se non creare? I colori già esistono, sta al pittore creare dei quadri.

La fusione di diversi elementi è senza dubbio uno dei fattori chiave della musica di Madame e, a quanto pare, anche della vita di ogni giorno. «Il mio processo creativo è alterato da quello che assimilo: non sono particolarmente chiara, se mi metti vicino a qualcuno e quella persona mi piace, finisco per assomigliargli/le. Mi piace andare a casa di una persona e vedere il suo mondo. Posso farlo con una famiglia napoletana dei Quartieri Spagnoli, con un allevatore trentino o un membro dell’alta borghesia veneta. Prendo qualcosa da tutti. In camera mia non vedi il mondo, ma tanti pezzi presi qua e là. Camera della mia migliore amica invece è chiaramente lei, la rispecchia perfettamente. Sono un po’ ipocrita perché spesso dico che i social snaturano l’identità culturale delle persone, che ognuno dovrebbe costruirsi il proprio mondo seguendo le proprie radici, ma sono la prima a non farlo».

Anche in questo caso Madame dimostra una consapevolezza tutt’altro che banale per una diciottenne. Come accennato precedentemente, la consapevolezza ha un ruolo chiave in questa intervista, come nella carriera artistica di Madame e la vita di Francesca. Nonostante Pirandello abbia detto che le persone conoscono solo una piccola parte di ciò che sono a loro insaputa, Madame sembra aver già capito tanto di ciò che è e di ciò che può fare, di cosa le piace e soprattutto di quali sono i suoi limiti. «De André disse che la genialità è il sapere prima di conoscere, quindi mi sono spesso interrogata su quale fosse la mia personale genialità e credo si tratti della consapevolezza di me stessa. Spesso le persone necessitano insegnamenti o confronti per capire chi sono ma, al contrario, io molto spesso so già tutto di me, forse anche troppo, come sono consapevole di non poter essere sempre capita, perché ognuno si fa viaggi diversi. Lo stesso vale per la musica. Spesso il pubblico dà tante interpretazioni diverse dei miei pezzi, per questo ho capito che non ha senso fossilizzarsi su un singolo significato quando si scrive».

La scrittura e il linguaggio di Madame sono sicuramente gli elementi che meritano più attenzione della sua musica perché è riuscita in qualcosa di complesso: arrivare a tutti con un linguaggio per pochi. Va capito che la comunicatività di Madame è altissima seppur il vocabolario non sia banale, anzi è qualcosa che negli ultimi anni la musica italiana è andata a perdere per varie motivazioni. «Molte altre lingue, specie l’inglese, hanno parole e costruzioni più semplici dell’italiano. Noi abbiamo un vocabolario enorme, con parole, intonazioni e significati diversi. A me rode il culo quando vedo che i ragazzi non sanno l’italiano o i congiuntivi, non perché è la mia mentalità da insegnante a entrare in gioco, ma perché mi viene da dire a loro “non sapete cosa vi state perdendo”. E lo dico io che non sono esattamente un’esperta linguista. C’è sempre voglia del prodotto che suona americano, di quello che suona latino e questo è anche colpa di alcuni addetti ai lavori. Mai nessuno che dica “wow, senti questo come suona italiano”. Questo porta a un lento scomparire di un suono tipicamente nostrano, ed è un peccato; in primis perché il suddetto suono ci renderebbe più riconoscibili all’estero, aumentando la possibilità di lavorare con artisti stranieri, in secondo luogo perché la scuola italiana, quella del cantautorato, non ha paragoni. De André nel 1990 disse in un’intervista che i testi italiani sono storicamente superiori a quelli esteri e credo che avesse ragione. Perché dobbiamo cercare di allontanarci da tutto questo solo per adattarci a un trend? I testi di André, ma non solo, non si trovano in America, anche quando parliamo di cantautorato elevato, non di rap».

«Sì, sono consapevole di saper scrivere bene, ma non ne faccio motivo di vanto». Per molti questa frase può sembrare un humblebrag, ma rispecchia perfettamente la Madame che pian piano sta conquistando la scena italiana: pronta e capace, ma consapevole di quanto ancora deve fare per raggiungere i propri standard. «Da piccolina ho fatto un paragone tra quello che era De André e quello che era il pop radiofonico, ed ero sicura che uno mi piaceva, l’altro mi faceva schifo. A oggi, non so cosa piaccia alla gente, devo chiamare un autore per fare un pezzo radiofonico. Non ti nascondo che ora infatti sto iniziando a lavorare con un team di autori, tra cui Davide Petrella e Federica Abbate, perché sono competitiva e voglio migliorare sempre, voglio cercare di arrivare a tutti e devo cercare di diventare più brava anche in settori che normalmente non sono i miei. Anche perché scrivere sempre da soli a volte è eccessivamente fine a sé stesso. De André da un certo punto di vista era facilitato perché scriveva basandosi su storie di altri, io non riesco».

All’interno di un discorso sull’identità linguistica e stilistica della musica italiana, di cosa si può raggiungere con una certa tipologia di scelte artistiche o meno, non si può che finire a parlare di possibili lavori internazionali. «La volontà di lavorare con artisti stranieri c’è. Ovviamente con Justin Bieber perché è il numero uno. Un altro nome che mi piace molto è 070 Shake, la mia artista donna preferita. Ho avuto anche l’opportunità di aprire per lei a Roma e sono andata a dirle che la amavo ma lei mi ha liquidato con un freddo “ah, ok” quindi credo di essermi bruciata il featuring (ride, ndr.). D’altronde lei normalmente sta sulle sue, poi sul palco si trasforma e diventa una furia». Abbiamo la prova che “I Laugh When I’m With Friends But Sad When I’m Alone” è una canzone totalmente autobiografica. «Un’altra artista donna con cui mi piacerebbe duettare è Billie Eilish. Tra l’altro avrei dovuto aprire il suo live a Milano ma non sono riuscita a farlo perché me lo dissero con poco preavviso e, essendo io all’epoca minorenne, non c’era il tempo per fare tutti i documenti necessari per prendere parte al live. Ci sono rimasta malissimo ma fortunatamente poi ho suonato all’AMA Festival di Bassano del Grappa con Emis Killa, Massimo Pericolo e Mahmood ed è andata molto bene, così mi sono sfogata sul palco. Anche con Post Malone mi piacerebbe fare qualcosa, anche perché tutta quella serie di artisti della cultura white che si mischiano a quella black mi piace moltissimo. Poi vabbè, mi piacerebbe lavorare con gente come Tom Yorke ma entriamo in un altro mondo. Anche perché in Italia credo di aver fatto tutto: nel rap ho fatto feat. con i più grandi, nel pop ho lavorato con i Negramaro».

Non è difficile vedere l’ambizione di Madame, la sua voglia di mettersi in gioco e rischiare. Lo si vede dalla scelta di fare uscire un pezzo come “Sentimi” dopo “Baby”, ma anche per come affronta altri elementi della sua professione come uno shooting e un’intervista. Madame è chiaramente una perfezionista che ha idee molto chiare sulla sua immagine e su cosa vuole rappresentare, ma non per questo non prova a uscire dagli schemi.
La sua immagine, d’altronde, è in continua evoluzione.
«Per questo devo ringraziare Simone Furlan, il mio stylist, mentore e accompagnatore artistico. Per me è il migliore in Italia. Io ho sempre molte idee e lui è sempre riuscito a realizzarle. Nel mio video per VEVO DSCVR mi ha messo addosso una tuta da lavoro da pochi euro, un guanto bianco, una collana e mi ha reso iconica e super figa. Da quel momento ci siamo detti che il colore di Madame sarebbe stato il bianco, che peraltro è il mio colore preferito. Il bianco è il colore della luce, ciò che racchiude tutti i colori, come l’arcobaleno. In realtà spesso io vorrei andare a trecento all’ora e dire “Simo, andiamo nudi sul palco” e lui mi aiuta a tornare con i piedi a terra e trovare un punto di incontro, magari con una camicia sbottonata. Trova sempre un modo».

Il filosofo tedesco Ernst Jünger era solito dire che nell’ambito variopinto predomina la sorpresa, nel bianco, invece, una gioiosa inquietudine. Non si fa fatica a capire quindi perché il bianco sia il colore di Madame, persona che riesce a canalizzare le inquietudini di Francesca. «Io ho una motivazione. A sedici anni ho avuto un’esperienza forte, sia a livello umano che professionale. Spesso la chiamo trauma ma forse mi sbaglio, perché i traumi sono più spesso cose che succedono durante l’infanzia e poi si dimenticano. La mia situazione invece è molto conscia. Da lì sono iniziate le ansie, i nervosismi, le preoccupazioni. Quindi ho cercato di capire come affrontare certe situazioni, fino ad arrivare alla conclusione che mi è stato donato un cervello e devo quindi usarlo per essere felice. Da quel momento cerco di essere più positiva e filtrare meglio tutto, anche se a volte ho delle ricadute e faccio fatica a pensare a varie cose, tra cui il futuro». Proprio quello del futuro è un argomento tanto caro a Madame, come visto precedentemente, quanto complesso per Francesca. «Un po’ mi vergogno nel dire che non ho grandi obiettivi, ma la verità è che non riesco a pensare al futuro. In primis perché mi fa paura, poi perché persi un amico quando avevo quindici anni, lui diciannove. Questa cosa mi ha segnato e mi ha fatto capire l’importanza dell’orologio della vita. Ho una miriade di progetti futuri, di esibizioni live, apparizioni televisive e altro, ma spesso non sono felice quando mi avvisano di questi eventi che si andranno a sviluppare tra settimane, mesi o anni, perché nel mezzo si poggia un intervallo di tempo completamente ignoto al punto che quasi non ha senso pensare a cosa avverrà dopo».

«Ci sono periodi in cui sono più positiva e si vede nella musica. Quando ho scritto la mia strofa in “Nuove Strade” stavo passando un periodo bellissimo, infatti dico “Ricordati di dire un grazie per ogni giornata in cui sei felice che poi rischi di prenderci gusto”». Nella stessa canzone però Madame comincia dicendo ben altro, precisamente “Più cresco, più capisco che le persone hanno bisogno di aiuto”, l’ennesimo segno della sua consapevolezza. «Ho capito questo concetto perché ho sempre cercato la perfezione nelle persone, motivo per cui ho molta paura di entrare nella loro intimità perché temo di trovarci sempre qualcosa di marcio, sbagliato, malato o irrisolto. Crescendo ho capito che tutti hanno punti deboli e problemi. Cercare la perfezione è quindi utopico e inutile. Non bisogna aver paura di entrare nei problemi e nei dubbi altrui, anzi, chi li rigetta probabilmente già convive con gli stessi limiti che teme di trovare. È il motivo per cui si ritorna sempre dai soliti amici. Alle persone che si conoscono da poco si dà la parte migliore di noi per non farli allontanare, gli amici invece sanno trattare tutti i lati. C’è un motivo se sono lì e tornerò sempre da loro».

Chiacchierando con Francesca, vedendo come parla dei suoi amici, come si rapporta con gli altri, con sua mamma e con la rappresentante dell’etichetta discografica si capisce come il suo animo sia essenzialmente premuroso, ma è come lei stessa si definisce che potrebbe stupire. «La mia filosofia l’ho definita individualista: cura te stesso per poi curare gli altri. Conosciti prima di conoscere il mondo». Alla fine il suo individualismo va a sfociare nell’altruismo, d’altronde tutto sta nel discostarsi da un eccessivo egoismo che porta solo alla commiserazione personale.

La conversazione è ormai diventata una seduta psicoterapeutica ma non c’è da stupirsi, Madame infatti parla spesso di temi rilevanti o argomenti non facili nelle sue dirette su Instagram o nei suoi tweet, attività che spesso si sviluppano in orari notturni. «Se non riesco a dormire è perché sto pensando a qualcosa di bello. Se penso a cose brutte dormo in automatico perché so che è l’unico modo per non pensare, infatti non soffro di insonnia, anzi so addormentarmi a comando».

Tutta questa consapevolezza, mentale, fisica e artistica, arriva da una persona che va alla scuola superiore ma in un contesto di fama e di livello professionale che nessuno di noi ha vissuto ai tempi della scuola. «Ho sempre amato la scuola, anzi, ho sempre voluto fare l’insegnante. Forse perché sono sempre stata affascinata dalle figure autoritarie. Vero, scappo dall’autorità, ma solo perché è adrenalinico, in realtà ne ho bisogno. Credo sia l’unica mia grande dipendenza. All’interno di un limite, di un confine, ci si può muovere liberamente perché sai che non ti farai del male. Se non ho limiti finisco per stare immobile e non fare nulla perché ho troppa paura».

«Come ti stavo dicendo, volevo fare l’insegnante. Poi mi sono innamorata. Era un amore impossibile, platonico, ma ogni giorno sognavo che quella persona sentisse in radio la canzone che le avevo scritto: Anna. Ce l’ho fatta. Raggiunto quell’obiettivo, ogni tanto mi chiedo se la musica sia la mia strada perché il mio apice già l’ho raggiunto. Ormai sono qui e sono in un posto privilegiato, quindi ho intenzione di andare avanti e provare a fare cose sempre diverse».

È interessante vedere come Madame, individualista e consapevole, cerchi contestualmente di eliminare la consapevolezza di dove sia e dei traguardi raggiunti, forse per il particolare rapporto che questi hanno con sé stessa, forse per come gli altri si relazionano con lei. «Se fossi così consapevole di quello che faccio forse mi monterei la testa, quindi ogni mattina resetto tutto, anche se ciò mi fa sentire piccola. C’è stato un periodo in cui avevo iniziato a fare molti più live, quindi mi si era alzata la consapevolezza dei traguardi che stavo raggiungendo e non riuscivo a divertirmi sul palco, anzi stavo male. Avevo l’ansia e mi veniva da vomitare, tutto per fare tre minuti davanti al pubblico, talvolta pure male. Col tempo ho trovato una serenità maggiore e ho imparato a godermi i live. Non ti nascondo che ora, stando lontana dal palco per tanto tempo, mi è completamente tornata la paranoia. Tornando a casa dopo il nostro shooting, pensavo ai miei istinti più animaleschi, eclettici e infantili e ho capito che posso rovesciarli sul palco, anche accidentalmente, perché dovrebbe essere tutto parte della libera espressione, seppur con l’inserimento di tecnicismi. D’altronde se l’artista è lì è grazie a sé stesso e al suo modo di essere. Poi sul palco si capisce davvero chi sono gli animali da zoo e quali sono quelli più selvaggi. Per questo dovrei e vorrei sperimentare liberalmente il palco, per capire davvero che animale sono. Ora quindi sono molto curiosa di vivere le prossime esibizioni».

Grandi palchi, grandi riconoscimenti, grandi numeri, grandi featuring e, non dimentichiamoci, anche la presenza nelle storie di Cristiano Ronaldo, una vicenda che va approfondita. «La presenza nelle storie di Cristiano Ronaldo fu una casualità. Lui stava scattando con un fotografo italiano che mise “Sciccherie” come sottofondo e a lui è piaciuta, così si è salvato la canzone. A casa se l’è riascoltata e l’ha messa nelle storie. Super contenta eh, però poteva scrivermi in privato prima, più che altro perché il grande pubblico l’ha interpretato come “Ronaldo ha fatto scoprire al mondo Sciccherie” anche se aveva già fatto due milioni di plays. Più che altro perché poi se ne parla solo dal punto di vista commerciale, focalizzandosi su plays, pubblicità e simili. A me di quello non importa, mi interessa che il calciatore numero uno al mondo ascolti il mio pezzo. Peraltro adoro pure il calcio. Da piccolina ci giocavo, poi ho fatto nove anni di pallavolo perché mia mamma diceva che col calcio sarei diventata una bambina scortese che dice le parolacce e sputa per terra, tutte cose che sono diventata lo stesso anche senza il calcio. A pallavolo però mi dicevano di tornare a giocare a calcio perché colpivo sempre il pallone con i piedi. La verità è che quando giocavo mi piaceva dare spettacolo. Ho sempre fatto cose abbastanza folli in campo, magari non utilissime ma che gasano il pubblico, un po’ imprevedibili. Non era colpa mia se la palla scendeva perfetta, era come se aspettasse di essere calciata. Poi vabbè, sono asmatica e fumo, quindi finisce che ho un buon controllo palla ma a tutto campo non so giocare. Infatti, l’unico ricordo che si ha di me nella Partita del Cuore è che uno mi ha falciato, sono caduta e mi si è incastrato il gomito nel torace fino a non riuscire più a respirare».

La passione per il calcio di Madame è qualcosa di non banale o aspettabile, una delle tante ispirazioni visibili nella sua arte insieme a De André, Izi, la letteratura, Fantozzi e molto altro. Francesca è ancora giovanissima ed è prevedibile che una testa così ricca di creatività non possa limitarsi a esprimersi solo con la musica. «Dipingere mi piacerebbe molto. “Ci ho messo tutta la vita per imparare a dipingere come un bambino”, disse Picasso, quindi ogni tanto anche io faccio qualche scarabocchio su un foglio, poi lo faccio vedere tutta orgogliosa alle mie amiche ma diciamo che i feedback non sono entusiasti. Mi piacerebbe tanto esprimermi nel cinema, ma solo come attrice. Amo scrivere ma sono ancora immatura per buttare giù tre minuti di canzone, figurati due ore di film. Attrice sì, e non ti nego che proprio in questi giorni mi è arrivata una proposta per fare la co-protagonista in un film e sono gasatissima».

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Production
Outpump Studio
Photo
Francesca Di Fazio
Videomaker
Andrea Schiavini
Light assistant
Michael James Daniele; Giulia De Ponti
Make-up and hair
Gaia Dellaquila
Type Design
Sara Lavazza
Choreographer
Alessia Gatta