La forza di “The Bear” sta nei dettagli

Paradossalmente è spesso più interessante scrivere di moda guardando a prodotti che di moda non vogliono parlare. Questo perché la ricerca di realismo nella realizzazione di un contenuto permette di avere prodotti sofisticati, dove è più facile fare attenzione a quei dettagli che nella realtà ci sfuggono, presi dalla vita quotidiana. 

Questo discorso è particolarmente interessante per una delle serie tv più celebrate di quest’anno, “The Bear”, uscita prima su Hulu e poi arrivata recentemente in Italia su Disney +. Per chi è attento a quello che succede oltreoceano, dove per qualche mese sono tutti impazziti per “The Bear”, questa serie è già stata consumata, ma per tutti gli altri si tratta di un nuovo oggetto misterioso che è appena atterrato in Italia, dove sta comunque ottenendo un discreto successo. Vuoi perché tratta di un tema a noi caro, quello della cucina, vuoi per la dinamica appassionante e frenetica, vuoi per la facilità di visione – si tratta di otto puntate da meno di mezz’ora ciascuna, nulla di impegnativo –, in molti si stanno innamorando di questa piccola gemma. 

Tra i tanti livelli di lettura che si potrebbero cogliere, un commento agli outfit che la serie propone non forse è il più immediato, ma non per questo è meno interessante, e ciò deriva dal fatto che “The Bear” è uno splendido esempio di estetica workwear come pochi in circolazione. Partiamo dalla base, che cosa si intende per “workwear”? Semplice, “workwear” è un termine inglese che identifica quei codici di abbigliamento che fanno riferimento al vestiario da lavoro, più specificatamente da lavoro manuale; potremmo dire che è l’inverso del white collar, l’opposto di giacca e cravatta. Per fare un esempio pratico, il brand che più di ogni altro rappresenta al meglio questa estetica è Carhartt, che con i suoi outfit ha sempre cercato il giusto bilanciamento tra estetica, comodità, funzionalità e qualità dei materiali. Nella musica, uno che ha sfruttato molto questo stile è l’onnipresente Kanye West, che nel suo periodo Wyoming ne attinse a piene mani, dalla palette dei colori ai tagli degli abiti, e via discorrendo. Ve lo ricordate il video di “Follow God”? Ecco, quello è un buon esempio. “The Bear” senza dubbio si inserisce in questo filone, soprattutto per quanto riguarda il protagonista, Carmen, per gli amici Carmy, Bertazzo, il classico personaggio che piace fin da subito, che è figo senza fare nulla per sembrarlo: talentuosissimo cuoco, capelli lunghi tirati all’indietro, bicipiti gonfi sotto la maglietta, tatuaggi alla “Taxi Driver” e sguardo malinconico da perenne tormentato. Il senso estetico di Carmy è nei dettagli, nella scelta degli outfit, che devono essere semplici ma curati, funzionali per fare turni infiniti all’interno della cucina di un ristorante di bassa lega a Chicago. 

Chiunque abbia lavorato in un ristorante o in un bar, sa che non è un lavoro rilassante: i ritmi frenetici, gli spazi angusti, il calore soffocante, i clienti indisponenti e il livello di stress perennemente alle stelle mal si sposano con l’eleganza o con tutto ciò che può risultare scomodo o poco funzionale. Per questo Carmy ha sempre un outfit curato ma spartano, classico e lontano dai trend: maglietta bianca e denim neri, questa è la sua uniforme da lavoro. I jeans sono Dickies e già nella prima puntata capiamo quanto tenga ai suoi pantaloni, perché in un momento di difficoltà economica è costretto a venderne alcune paia dalla sua collezione che tiene sparsa per tutta la casa (anche nel forno) per pagare un fornitore. Assistiamo così a una contrattazione tra Carmy e il suo rivenditore di carne a proposito del denim cimosato Big E, una linea di jeans Levi’s prodotta in America per un tempo limitato, la cui particolarità è l’assenza di rivetti perché l’uso del rame era limitato durante la Seconda Guerra Mondiale. Qualcosa di simile accade pochi minuti dopo, quando chiede alla sorella di portargli una giacca in denim appartenuta al fratello defunto: lei gliela porge in una busta e lui le chiede stupito “Non l’hai messa in una borsa?”. Questi due dettagli aprono uno squarcio nel gusto estetico di Carmy, che si rivela molto più attento di quanto sembrerebbe a un primo sguardo. Rimanendo in ambito fashion, solamente i più attenti avranno notato che sia Carmy che Sydney indossano Birkenstock Boston rispettivamente nella colorazione nera e bianca, o che Lionel Boyce, membro della Odd Future, conosciuto nella serie come Marcus, indossa una t-shirt bianca di Patta.

Ma non è solo lui a dare questo senso estetico molto peculiare alla serie, dai foulard che utilizza la sous-chef Sydney per raccogliere le lunghe trecce durante il servizio, passando per la giacca di pelle del cugino Richie, fino alla presenza stessa di Matty Matheson all’interno dello show. 

Matty Matheson, nella serie Fak, è uno dei personaggi più singolari all’interno di “The Bear”, non perché abbia un ruolo così rilevante, parliamo infatti del tuttofare del ristorante, che viene chiamato da Carmy per aiutarlo nella riparazione di tutti i piccoli/grandi problemi del locale, ma proprio per la sua figura in sé. Matthew James Matheson è infatti uno chef, ristoratore e content creator canadese, da sempre molto attento al mondo streetwear, che dopo il successo di “The Bear” ha anche aperto un proprio brand, Rosa Rugosa, insieme al fashion designer Ray Natale, che combinasse due degli aspetti di cui parlavamo sopra, gusto estetico e funzionalità – per chi volesse approfondire il brand, i due hanno rilasciato una lunga intervista a Hypebeast.

La serie “The Bear” si dimostra perfetta nella sua realizzazione perché al di là della dinamica appassionante, che guarda in modo contrario al mondo patinato alla Masterchef ma meno spettacolarizzante di Hell’s Kitchen, è attenta a tutti quei dettagli che rendono un racconto realistico agli occhi di guarda. In questo modo il lavoro nella sua totalità risulta credibile sia per chi è un neofita dell’ambiente della ristorazione, sia per gli addetti ai lavori. È molto interessante da questo punto di vista leggere articoli di veri chef che guardano la serie, come fa per esempio Daniel Patterson su Esquire Us, dove appunto conferma il crudo realismo della serie e anzi si sente iper rappresentato. 

Per chiudere, “The Bear” si conferma una serie tv di altissimo livello, uno degli show più interessanti e coinvolgenti di quest’anno, che probabilmente non arriverà a tutti, ma farà innamorare coloro che avranno il tempo e la voglia di dedicare qualche ora alla sua visione. Aspettando la seconda stagione (già confermata) dove seguiremo le prossime avventure di Carmy al ristorante, vi consigliamo caldamente di recuperare la serie, ne vale la pena.