A cavallo tra la fine degli anni ’00 e l’inizio degli anni ’10, il calcio brasiliano stava vivendo un momento di crisi identitaria. L’estate 2010 si era chiusa in maniera tragica, con l’eliminazione ai quarti di finale dei Mondiali di una Seleção che non piaceva proprio a nessuno per lo stile di gioco troppo europeo.
Un anno dopo, il Brasile si ritrovava a salutare la sua più grande icona contemporanea: Ronaldo si ritirava e Nike, il cui successo nel mondo del calcio era dipeso in buona parte dall’aver investito sull’immagine del Fenômeno, non poteva esimersi dal salutarlo con uno spot all’altezza del suo talento.
Si tratta di una clip celebrativa del modo in cui R9 aveva rivoluzionato un intero sport: sul sottofondo di Baianà dei Barbatuques scorrevano una serie di immagini che illustravano come fosse cambiato il calcio dall’epoca antes-Ronaldo (a.R.) all’epoca depois-Ronaldo (d.R.). L’avvento di Ronaldo come quello di un messia, dopo il quale nulla è stato più lo stesso.
Quello spot, però, non serviva solo a tributare il giusto addio a Ronaldo, ma doveva anche glorificare la ritrovata identità del calcio brasiliano: dopo qualche settimana sarebbe iniziata la Copa América e, nonostante le recenti delusioni, tutta la Nazione era pronta a riporre le speranze in una nuova generazione di fenomeni. Nel video, incaricati di ereditare la legacy di Ronaldo, i ventenni Neymar, Coutinho, Ganso e Pato venivano già presentati come delle icone.
A tredici anni di distanza, purtroppo, sappiamo che non è andata come i brasiliani speravano. Da lì a breve Pato avrebbe posto fine alla sua carriera ad alti livelli per via degli infortuni, Ganso si sarebbe riscoperto inadatto all’Europa e Coutinho si sarebbe perso in un limbo di incompiutezza.
E Neymar? Che bilancio dobbiamo trarre oggi che la sua carriera potrebbe concludersi lontano dai riflettori del calcio europeo?
È una domanda che ci siamo fatti quando ha lasciato il PSG, nell’estate 2023, ma che in realtà è ancora attuale. Il contratto di Neymar con l’Al-Hilal scade a giugno 2025 e con la sua nuova squadra non ha quasi mai giocato. Dopo pochi giorni dal suo arrivo in Arabia, infatti, il brasiliano si è rotto il crociato. Il suo recupero procede a rilento e non si capisce quando potrà rientrare.
I più capziosi ritengono che Neymar stia tirando per le lunghe la riabilitazione: non sarebbe una novità, se dovessimo credere ai pettegolezzi che girano intorno a O’ Ney. Una delle voci più ricorrenti voleva che il fuoriclasse brasiliano, all’epoca del PSG, ogni anno si dichiarasse infortunato tra febbraio e marzo così da saltare le partite di quel periodo e volare in Brasile per il compleanno della sorella.
Poco interessava ai suoi hater che domenica dopo domenica, in Francia, subisse falli da codice penale (Neymar ha la nomea di simulatore, ma è un miracolo che si sia infortunato così poco, perché nessuno nel calcio contemporaneo ha subito colpi cattivi come lui): per la fama che si era costruito, valeva già il fatto che quelle voci potessero essere verosimili, perché nessuno si sarebbe sorpreso se lo avesse fatto davvero.
Le bugie su Neymar che scappa a casa al compleanno della sorella, quella di Neymar che “prolunga la malattia” per non giocare in Arabia, oltre che della reputazione di Neymar, ci parlano del modo in cui molte persone guardano il calcio. Perché non vediamo l’ora di condannarlo a ogni singolo gesto? Il motivo è che il suo modo di stare al mondo, così estroso e provocatorio, è totalmente controculturale: Neymar è stato l’ultimo grande ribelle del calcio contemporaneo.
In lui si è inverato un altro spot Nike, girato prima dei Mondiali 2014, in cui in un futuro grigio la creatività, il tratto umano dei calciatori, veniva soppiantato da degli androidi.
Nike ha sempre amato le distopie, dalla sfida ai demoni nel Colosseo a Totti come ultima speranza di una Roma post-apocalittica. Nel caso dello spot con i cloni, però, in parte ha azzeccato la previsione. Viviamo nell’epoca fordista del calcio, in cui i singoli, obbedienti ai sistemi di gioco, riescono di meno a esprimere la propria personalità.
Neymar, negli ultimi anni, è stato il nemico principale di questo paradigma, un giocatore di puro talento che poteva sparigliare qualsiasi piano gara. Nel calcio d’élite nessuno poteva permettersi di giocare come lui.
In questo senso la figura di Neymar ha rappresentato un paradosso: è stato un numero dieci fuori dal tempo, l’ultimo calciatore-artista nell’epoca della riproducibilità tecnica, ma anche il più grande interprete dello spirito dei nostri giorni, con l’ossessione per i social, per i brand e per il gaming.
Deve essere stato anche questo a renderlo inviso a tanti appassionati. È molto facile odiare una figura sempre attenta ad apparire glamour. Apprezzare un campione, a fronte di quelle che il pubblico più moraleggiante considera distrazioni inutili, a volte diventa impossibile: ne soffriva Beckham, al quale Neymar ha dichiarato esplicitamente di ispirarsi, ed è successo anche a lui.
Si spiega così la differenza nella percezione popolare rispetto ad altri grandi “festaioli” del calcio brasiliano che, a differenza sua, sono amati universalmente anche per i loro vizi.
Prendiamo ad esempio Ronaldinho, il giocatore forse più simile a Neymar. La differenza è che Ronaldinho, con i dentoni e i capelli lunghi, sembrava un cartone animato, perfetto per intrattenere grandi e bambini. Neymar, invece, non fa molto per sembrare simpatico, sia sul campo, dove spesso era cupo e attaccabrighe, sia fuori, dove è ossessionato dal look, ama osare e ama ostentare. Non potrebbe essere altrimenti per un calciatore che già a 13 anni, nel 2005, era sotto contratto con Nike.
Risiede anche qui il fascino di Neymar, un fuoriclasse che cerca con ogni mezzo di comunicare il suo estro, che si tratti dei dribbling, di un taglio di capelli o del vestiario – «La moda è una forma di espressione. La gente capisce chi sei da come ti vesti», aveva dichiarato.
Neymar nel calcio ha seguito una strada simile a quella di Hamilton in F1 (e infatti i due sono grandi amici): trovare il modo trasmettere un’immagine fresca, ma senza sembrare affettato. Qualcosa che non è riuscita a quasi nessuno dei fuoriclasse della nostra epoca. Messi e lo stile, fuori dal campo, sono due rette parallele. Mbappé è troppo istituzionale, andrebbe bene per un futuro in politica. Cristiano Ronaldo è colui che più di tutti ha puntato sull’immagine, ma con le fattezze da tronista di Uomini&Donne. Forse solo Pogba e Benzema se la giocano con Neymar in materia di stile: sono tutti fuoriclasse che cercano di veicolare un messaggio attraverso l’immagine, per offrire una visione di sé da icone pop più che da calciatori.
D’altra parte, Neymar, Pogba e Benzema sono tre figure controverse, l’ecosistema calcio non sempre digerisce personaggi così: un altro mondo rispetto allo sport americano per la consapevolezza con cui i protagonisti curano il modo di apparire.
Non è casuale, allora, che Jordan abbia scelto proprio Neymar come grimaldello per entrare nel calcio. Tra le sue sneaker preferite c’erano le Jordan 5 e così dalla collaborazione con il brand affiliato a Nike è nato lo scarpino ispirato a quel modello, le NJR x Jordan Hypervenom II. Era il 2016 e il brasiliano era ancora un calciatore del Barcellona. Il fatto che due anni dopo il PSG ottenesse la sponsorizzazione di Jordan anche grazie al suo acquisto, è indicativo della sua influenza.
Quello col “23” è solo uno dei tanti episodi del rapporto tra Neymar e gli scarpini. Nel modo in cui ha ispirato il design di Nike è stato davvero erede di Ronaldo, ma con una passione più genuina e la volontà di intervenire in prima persona: pare che per le Mercurial Vapor “Written in the stars” del 2017 lui stesso avesse invitato Nike a cambiare la posizione dello Swoosh dal collo ai lati del piede.
Insieme al suo vecchio sponsor ha sempre cercato di sviluppare una narrazione e così, con lui, siamo arrivati anche a una riedizione delle mitologiche Mercurial di Ronaldo Nazário, sempre a proposito del Ronaldo originale, chiamate appunto Puro Fenômeno. Anche Puma, dopo il suo ingaggio, ha saputo costruire un racconto coerente: quello del miglior giocatore brasiliano che finalmente tornava ad indossare lo scarpino del brand tedesco cinquant’anni dopo Pelé. Annunciato col claim “The King is back”, Neymar si è riallacciato al passato: «Sono cresciuto guardando i video di leggende del calcio come Pelé, Cruijff, Matthäus, Eusébio e Maradona. Tutti loro giocavano con le Puma».
Alla fine, per molti Neymar è rimasto un talento incompiuto, anche se la realtà dice che tra il 2019 e il 2021 è stato indiscutibilmente il miglior giocatore al mondo.
Di certo, però, le sue scelte professionali non hanno contribuito a lasciare una buona immagine: l’ossessione per la narrazione, il desiderio di uscire dall’ombra di Messi e diventare colui che avrebbe portato la Champions League in una città come Parigi, alla fine è stato fatale.
Di fronte ad un talento come Neymar, però, qualsiasi considerazione sui trofei passa in secondo piano. Il valore culturale del calcio di Neymar non ha eguali al giorno d’oggi e questo è l’aspetto più importante della sua legacy.
Per i brasiliani rappresenta un portato antropologico inestimabile. Il discorso sulla subalternità nei confronti del calcio europeo ha assunto contorni colonialisti per l’abitudine dei club del Vecchio Continente di acquistare talenti brasiliani sempre più giovani e di plasmarli secondo i canoni del calcio europeo: una minaccia per il valore identitario che ha il calcio per i brasiliani, di cui Neymar rappresenta la resistenza.
Per la nuova generazione di fuoriclasse, invece, si tratta dell’ispirazione più grande. In un calcio sempre più conformista, c’è una nidiata di talenti che prova a proporre qualcosa di diverso. Rodrygo, Musiala, Leão, Lamine Yamal: ciascuno di loro ha dichiarato di avere Neymar come ispirazione.
Ma perché proprio lui? Il fatto è che Messi e Cristiano Ronaldo sono diventati dei mostri votati all’efficienza, mentre dal repertorio di Neymar c’è sempre qualche movenza a cui attingere.
Insomma, Neymar, ancora prima del ritiro, è entrato in quella categoria leggendaria di giocatore preferito del tuo giocatore preferito. La prospettiva di un ultimo grande ballo, però, non è tramontata, e la speranza è di rivederlo ai Mondiali del 2026. Rodrygo, che nel periodo del suo infortunio ha ereditato la 10 del Brasile, ha detto chiaramente che quella «è la sua maglia, la sto solo tenendo in caldo per lui».