È sempre pericoloso pubblicare un album dopo la morte dell’artista. La storia della musica è ricca di esperimenti falliti, di progetti composti solamente da frammenti incompiuti sbrigativamente abbinati fra loro o di situazioni in cui l’interesse commerciale ha prevalso sull’autenticità dell’arte stessa.
“Balloonerism” di Mac Miller, che vede la luce oltre un decennio dopo la sua creazione, rappresenta dunque un raro caso. Il progetto è stato scrupolosamente curato dalla famiglia di Mac e dai suoi collaborati storici, assicurandosi che riflettesse in tutto la sua visione originale. Nulla è stato alterato nelle voci, né negli strumenti, ed così fedele all’artista e al suo modo di intendere la musica che per certi versi non sembra nemmeno giusto etichettarlo come un album postumo. Fu registrato per intero nel 2014, durante l’era più sperimentale della sua carriera, ai tempo di “Faces”, a cui si avvina molto per flow e voglia di uscire dagli schemi. Poi fu accantonato, preferendovi altri progetti, fra cui “GO:OD AM”. Viene pubblicato oggi, due giorni prima di quello che sarebbe stato il 33° compleanno dell’artista originario di Pittsburgh, a esattamente cinque anni dall’uscita del suo primo album postumo, “Circles”.


Il disco si apre con “Tambourine Dream”, un intermezzo di trenta secondi in cui, presumibilmente, è lo stesso Mac a suonare il tamburello. C’è Thundercat, polistrumentista statunitense, che fa un lavoro eccezionale al basso e alle produzioni. C’è SZA, stretta amica di Mac, con la quale lavorava spesso in quel periodo. C’è un’apparizione in “Transformations” di Delusional Thomas, uno dei tanti alter ego di Miller, con cui dialoga, come già fatto in passato, ma che per la prima volta è accreditato su una traccia ufficiale carica di campioni jazz. C’è soprattutto, sull’intero progetto, l’aura di Rick Rubin, con il quale Mac trascorse una notevole quantità di tempo durante quegli anni: “Shangri-La” si presume che sia stata registrata nell’estate del 2014 nello studio di Rick a Malibu, mentre, verso la fine dell’album c’è “Rick’s Piano“, che, secondo Genius, inizialmente era intitolato “Rick Rubin’s Piano”. Il disco si chiude con “Tomorrow Will Never Know”, una traccia di oltre undici minuti, in cui sembra che Mac stia parlando a tutti dall’altra parte. Inquietante e pacifico al tempo stesso.
I love my friend I miss my friend . Grateful he saw something in me before most and treated me w love from day 1 . Wish he could see how right ab everything he truly was . Please go stream Balloonerism RIGHT NOW . 🙏🏾✨🫀 https://t.co/E2tHRz5JwY pic.twitter.com/jHxN9J6cmR
— SZA (@sza) January 17, 2025
Non predica nulla Mac Miller e in molte canzoni si chiede e immagina semplicemente le cose. Riflette, tentando di capire le prospettive delle persone di cui parla e i diversi temi che affronta. La maggior parte del disco non è un parlar di sé in prima persona. Le quattordici tracce offrono uno sguardo autentico sulla psiche dell’artista, nella quale convivono, alternandosi, le sue tante anime e mettono in luce, ancora una volta, il suo enorme talento. Difficile credere che un ragazzo a soli 21 anni avesse una simile visione.
Ci sono tanti temi da sviscerare ed esplorare in ascolti successivi al primo – la morte, il denaro, la nostalgia dell’infanzia, fra gli altri -, ma è invece manifesta la genuinità che pervade l’intero progetto, la stessa con cui da sempre Mac si approcciava alla musica, che è anche il motivo che ha permesso alla sua creatività di brillare così tanto.
Averne un po’ qui con noi oggi, in maniera così schietta e non costruita, anche se solo nelle cuffiette, rimane un degno motivo per festeggiare. Assieme al disco è stato rilasciato un cortometraggio ufficiale, un film animato che trae influenza dai testi del progetto, attualmente disponibile su Amazon Prime.