Damiano dei Måneskin e Mattia Stanga, rispettivamente in Calvin Klein e Diesel, sono le ultime due personalità spottate con una mutanda ben in vista. I due si uniscono all’infinita lista di personaggi che hanno deciso di assomigliare – con tentativi un po’ goffi – a Tupac Shakur. Il “tema” dell’elastico delle mutande è una storia di “appropriazioni culturali”, campagne di underwear, sfilate di brand high-end, e – infine – di discorsi sulla sessualità. Ma c’è una giustificazione in grado di trovare una risposta anche a questo “trend”?
Sarebbe a dir poco noioso parlare ancora di estetica Y2K: la verità è che – partendo dallo spunto delle mutande in vista – si può finalmente trovare una risposta per mettere d’accordo tutti coloro che si interfacciano con il termine “trend” e che si chiedono perché un prodotto che andava di moda prima nel 1980, poi nel 1990 e infine nel 2000, sia in grado di palesarsi nuovamente nel 2022.
La storia delle mutande in vista nasce dalle prigioni americane: al momento dell’ingresso nelle stesse, ai carcerati venivano confiscati cinture e lacci delle scarpe per non permettere loro di evadere o di tentare il suicidio; per questo motivo i pantaloni finivano fin sotto il bacino. A livello estetico, il dettaglio della mutanda è confluito nel mondo dell’hip-hop grazie a figure del calibro di Snoop Dogg, finendo per creare diatribe interne in alcune città. A Washington, infatti, il suddetto “gangsta style” con pantaloni calati – rinominato poi col termine sagging – è stato associato alle figure di writer e lavavetri, considerati come deturpatori della città.
A causa del background di appartenenza delle mutande in vista , è stato facile che si finisse a parlare di appropriazione culturale. Incredibile ma vero, Justin Bieber, il cantante che solo qualche anno prima aveva debuttato mondialmente con “Baby”, aveva iniziato a replicare uno stile nato nelle carceri. Com’è stato anche per l’uso del Durag, le influenze stilistiche che provengono da queste culture non sono viste di buon occhio. Nel mondo del fashion, è stato invece Balenciaga ad essere stato accusato di razzismo, dopo aver lanciato sul mercato degli strani sweatpants con l’elastico della mutanda incorporato.
Balenciaga gentrifies sagging pic.twitter.com/XO4A73lbt6
— Kevín (@KevOnStage) September 9, 2021
Le accuse di razzismo per quanto riguarda il sagging sono la conferma definitiva che ci sono termini ed espressioni, quali “trend” e “appropriazione culturale”, che al giorno d’oggi, non dovrebbero più emergere. In una società – e più specificamente – in un mercato iper capitalista siamo soggetti a contaminazioni culturali, reference, spunti da tutto il globo e da tutti gli ambiti che vengono propinate alla velocità della luce. È spesso sufficiente la diffusione di un video su YouTube per far diventare virale un look di un’artista, una sneaker o un accessorio.
La questione delle mutande in vista è la dimostrazione del fatto che parlare di trend al giorno d’oggi sia quasi sempre effimero: come dicevamo, il mercato ci offre di continuo contaminazioni e reference, e ogni giorno si nota una novità accompagnata dall’espressione Hai visto? Sta ritornando!
La verità è che non ritorna nulla, prendiamo e scaviamo da quello che è presente nel nostro mercato (ovvero, tutto) e lo indossiamo. È chiaro che, se Damiano dei Måneskin viene immortalato con l’elastico delle mutande ben in vista ci si mette un secondo a parlare di moda, fashion, trend e altri termini che pian piano si stanno svuotando del loro significato.