Se dovessimo riassumere l’epopea del rap italiano con occhio da storici, dovremmo senza dubbio dividerne le vicende in un periodo precedente l’uscita di Applausi per Fibra e in un periodo ad esso successivo. Tradimento è il disco che ha cambiato il destino del nostro hip hop, quello che l’ha proiettato in un’altra dimensione a livello di mercato. Non vi sarebbe stato, però, alcun Tradimento – e quindi il rap italiano ci avrebbe messo un po’ di più ad emergere – se la frustrazione di Fabri Fibra, un ragazzo di ventotto anni della provincia di Ancona, intrappolato nel limbo di incertezze che vive la maggior parte delle persone a quell’età, non avesse prodotto Mr. Simpatia.
Sono passati vent’anni esatti dall’uscita di uno dei classici del rap italiano, un disco intergenerazionale, resistente all’usura del tempo, perché le sofferenze e i pensieri che lo animavano continuano ad esistere e quel disco riesce a dargli corpo attraverso le rime. Era il primo settembre del 2004: se siete stati tra i contemporanei o quasi all’uscita di quel disco, probabilmente vi sarà capitato di scoprirlo scaricandolo da eMule. Chi all’epoca ne aveva acquistato una copia fisica, però, si sarà accorto già dalla copertina e dal cd stesso di cosa avrebbe potuto aspettarsi. In primo piano vi è la salma di Fabrizio Tarducci: si è sparato alla tempia, la testa riversa sulla scrivania. Sotto di lui il quaderno su cui probabilmente stava scrivendo gli incastri che fino a quel momento avevano caratterizzato il suo stile. Tutta la scrivania è cosparsa di sangue e il rosso vivo scelto come unico colore della copertina è opprimente, una sofferenza per gli occhi (Fibra ha più volte dichiarato di essersi ispirato alla locandina di un film horror, Cabin Fever, che lo aveva colpito quando viveva in Inghilterra). Lo sfondo del cd, invece, è nero: su di esso si stagliano le figure di un marito e una moglie, col primo intento a bucare la seconda con una siringa. In poche immagini – il suicidio, il quaderno delle rime imbevuto di sangue, la relazione tossica tra due genitori – Fibra ha già racchiuso tutto l’immaginario dentro al suo album.
Nel premere play, dev’essere stata grande la sorpresa di chi era abituato ad ascoltare il vecchio Fabri Fibra. La storia del contesto intorno alla nascita di Mr. Simpatia è stata raccontata mille volte. Il rap italiano era arrivato ad un punto morto, non esistevano prospettive di successo commerciale e l’underground era avvitato su sé stesso. Fabri Fibra, fino a quel momento, era uno dei migliori esponenti di quel tipo di hip hop più tradizionale, devoto alla ricerca della rima articolata, che però aveva finito per rendere il rap un genere chiuso nel nostro Paese. Il preziosismo tecnico e una certa astrattezza erano state fino a quel momento la cifra stilistica di Fibra, com’era possibile che lo stesso rapper di Turbe Giovanili aprisse un disco dicendo di voler lanciare freccette sulla sua foto da bambino?
Che la penna di Fibra fosse in fermento e che piano piano qualcosa potesse cambiare, però, era percettibile già da alcuni episodi precedenti a Mr. Simpatia. Qualche mese prima, a marzo 2004, era uscito Lato & Fabri Fibra, EP con cui F. F. aveva voluto chiudere definitivamente il capitolo Uomini di Mare. Lì era contenuta una delle canzoni più belle e introspettiva di tutta la sua carriera, La mia vita. In quelle strofe, con un tono cupo ma ancora pacato, tipico del primo Fabri Fibra, già allora parlava di non saper stare in mezzo alle persone, di essere stato un ragazzo problematico e di non sapersi rapportare alle ragazze.
Era il preludio di ciò che avrebbe fatto esplodere con Mr. Simpatia, un riflesso di un periodo della vita in cui il rapper marchigiano forse non poteva considerarsi più nemmeno un rapper e ormai non aveva nulla da perdere. È stata l’insoddisfazione l’incubatrice dell’album che ha cambiato la sua storia. Sindrome di fine millennio e Turbe giovanili avevano ricevuto il consenso degli appassionati, ma non avevano avuto alcun respiro al di fuori degli strettissimi argini della scena di allora. Fibra, di certo, con la musica non ci campava, nella vita avrebbe dovuto fare altro. Aveva iniziato a non sopportare più le mura domestiche e la provincia, così aveva deciso di trasferirsi a Brighton, dove aveva lavorato in una fabbrica di tende. È in quel momento che concepisce il nuovo disco.
La vita in fabbrica era complicata, accorgersi che il proprio sogno – fare del rap un lavoro in questo caso – non diventerà realtà è la delusione più grande da digerire. Fibra decide che gli resta un solo colpo in canna. Mr. Simpatia è l’ultima concessione che lascia alle sue ambizioni da rapper, inutile proseguire oltre, se quell’album fosse rimasto anonimo avrebbe dovuto abbandonare. Le sue aspettative, in quel momento, dovevano essere minime.
Qualcosa però cambia. In Inghilterra è dura, ma Fibra si sente finalmente libero di staccarsi dalle convenzioni del rap italiano. Può lasciarsi andare ad esprimere tutta la sua insoddisfazione, ormai è inutile tenerla dentro. Semplifica la scrittura in favore di qualcosa di più diretto, che possa rimanere impresso nella testa del pubblico: se ne accorge riflettendo sul fatto che ai suoi concerti la gente sotto il palco non cantasse le rime più tecniche, ma solo quelle che, come in uno slogan, si chiudevano con una parolaccia, come il «porti sfiga!» con cui chiudeva Una minima, classico contenuto in 950 di Fritz da Cat.
Così, il fatto di poter sperimentare qualcosa di diverso si sposa con la volontà di lasciare un segno, di pubblicare un prodotto che non passasse inosservato. Il modo migliore di farsi notare, allora, è entrare nella stanza della musica italiana con una mazza in mano e spaccare ogni modello di riferimento, dalla TV alla vita di tutti i giorni dell’italiano medio.
Ma allora, cosa rappresenta Mr. Simpatia per Fabrizio Tarducci? Mr. Simpatia è il Joker di Joaquin Phoenix – in senso quasi letterale, visto che il Fibra di Tradimento, due anni dopo, sale sui palchi con la faccia pitturata da pagliaccio psicopatico– è Travis Bickle che impazzisce dopo che Betsy lo rimbalza perché l’ha portata a vedere un film a luci rosse e allora cambia look, impugna una pistola e prova ad ammazzare le figure che, nella sua testa, rappresentano le cause del suo malessere.
C’è, ad esempio, il rigetto verso le dinamiche del rap italiano dell’epoca (da cui il dissing a Tormento, le rime contro il rap politicizzato e quelle contro il rap che parla di rap). Per non parlare del rapporto complicato con le donne, che emerge in maniera patologica – soprattutto in Gonfio così, Niente male e Voglio farti un regalo – con immagini che la sensibilità odierna, di certo, non riuscirebbe ad ammettere.
Il fatto è che Fibra, tramite la scrittura, si sente libero di sporcarsi le mani col sangue di tutti quei personaggi che gli generano insofferenza, rappresentati dalle vocine con cui intavola dialoghi nelle skit tra un pezzo e l’altro. Così arriva a regalarci episodi di storytelling incredibilmente particolareggiati, con un gusto per i dettagli più macabri che sfocia nell’ossessione. Quando Fibra descrive il modo in cui, nella mente malata di Mr. Simpatia, ha ucciso ex fidanzate o volti del mondo dello spettacolo, diventa tutto incredibilmente tangibile.
Qualcuno potrebbe fraintendere o rimanere infastidito, ce ne saranno stati anche all’epoca, ma è chiaro che in quel caso la scrittura è solo uno strumento per sfogarsi.
Si passa dalla violenza assoluta ad aneddoti dai tratti paradossali, che si tratti di ricostruire la notte in cerca di prostitute di Solo una botta o di immaginare situazioni che coinvolgono personaggi del mondo dello spettacolo, come l’assurda rima in cui Fibra si ritrova in salotto con Pannella mentre sta «tritando marjiuana su un piatto Giovanni Rana».
A sorreggere gli estremi della violenza e dell’ironia, vi è la rabbia che Fibra esprime nella maniera più genuina, e che rende immortale Mr. Simpatia. Venerdì diciassette, Non Crollo, Momenti No, Palle piene: sono tutti brani in cui c’è un uomo di ventotto anni che sta subendo le frustrazioni della vita da adulto, ma che al contempo non ha chiuso i conti con le cicatrici dell’adolescenza e dell’infanzia.
Sentimenti del genere, vivi nel 2004 come oggi, fanno di Mr. Simpatia un album resistente al tempo. È un disco estremamente intimo ma trasversale, che ognuno può fare suo, e che infatti all’epoca colpì anche chi non era un impallinato di hip hop. Se ne può appropriare un ragazzo turbato per la separazione dei suoi o per il rapporto con essi (non è improbabile pensare che i primi a sfondare con il rap siano stati Fibra e Mondo Marcio proprio perché, oltre al linguaggio esplicito, toccavano la sensibilità di tanti ragazzi che avevano assistito al divorzio dei propri genitori). Oppure vi si può rispecchiare l’impiegato trentenne costretto ogni giorno ad andare «a lavoro con l’umore storto» e la voglia di non rivedere mai più quello stronzo del capo.
Mr. Simpatia rappresentava un salto nel vuoto e alla fine Fabri Fibra ha ottenuto ciò che cercava. Un album così non c’è più stato e non ci sarà mai più. Rimane sempre, però, lo spirito che ne ha decretato il successo, l’insoddisfazione a cui spesso si cerca riparo con la musica. Lo ha detto Fibra stesso, in un’intervista di qualche anno fa: chi si ritrova in un contesto felice, secondo lui, vive la musica in maniera superficiale, perché «è il contorno di qualcosa che funziona. Se c’è un buco, o una crepa, invece, le storie vissute con la musica ti aiuteranno a riempire il vuoto, anche raccontando a tua volta te stesso».