La straordinaria normalità di Larissa Iapichino

Larissa Iapichino indossa un total look GCDS e scarpe PUMA.

La carriera di Larissa Iapichino sta prendendo una direzione chiara: verso l’alto. Vincere nello sport non è facile, vincere nell’atletica, dove anni di allenamento si concentrano in un gesto tecnico di pochi secondi, è ancora meno facile, perché basta una giornata no per buttare tutto all’aria. «Nell’atletica non è mai scontato. Nei grandi campionati, ad esempio, ci sono solo 3 salti per qualificarsi alla fase finale della gara, e non sai mai cosa può succedere, basta un nulla per buttare tutto all’aria. Hai i nervi a fior di pelle, non puoi ridurti al terzo salto. Mia mamma diceva sempre che in questi contesti vince solo chi ha più voglia di vincere perché la pressione non arriva quasi mai da fuori, è quella che ti metti tu». Staccarsi dalle etichette però può essere ancora più difficile, ed è proprio quello che sta facendo Larissa. Essere cresciuta e conosciuta dal pubblico generalista come “la figlia di Fiona May” può essere un grande peso se si è un’atleta, ancora più grande se si compete nel salto in lungo, il medesimo sport che ha reso May una delle figure sportive più note della storia recente italiana. Larissa però non sta solo riscrivendo i record in pedana un tempo stabiliti dalla madre, ma sta anche mostrando a tutti la propria identità fuori dal mondo sportivo. «Non credo di aver uguagliato mia mamma, per me lei è ancora un’atleta quasi irraggiungibile, non solo per il suo talento ma per quanto ha vinto. Ci vorrà ancora un bel po’ per raggiungerla».

Larissa Iapichino sta vivendo in un limbo: da un lato la leggerezza di essere ancora una giovane atleta emergente senza il peso dei risultati di una Nazione sulle spalle, da un altro la consapevolezza di essere arrivata ormai tra i grandi professionisti più affermati, perché ora si fa sul serio. «In Turchia sono arrivata positiva perché ero in un buon momento. Non ho pensato a medaglie, ma solo a essere presente e coinvolta, pronta a mettermi in gioco. Ero consapevole di non essere più “la bambina della situazione”, pur essendo la più giovane. Il mio primo obiettivo è sempre la finale, infatti mi sono qualificata in modo diretto solo di 1 centimetro. Da lì può succedere di tutto. In finale, a un certo punto ero entrata in un tunnel, in un mondo tutto mio. Ero nella gara ma non avevo idea di cosa mi succedesse attorno. Vedevo solo come cambiava la mia classifica dopo i salti delle mie avversarie. All’ultimo salto, quello che è stato poi quello del record, si vede che sorrido. Era come se mi fosse svegliato da una trance. Prima avevo il record italiano indoor in coabitazione con mia madre, ora l’ho superata. È stato strano, ma un simbolo, come a dire: tocca a me, sono grande».

Larissa Iapichino indossa un total look PUMA e accessori creati da Samuele Pampaloni e Ginevra Corvo.

Quello di Iapichino è solo l’ultimo di una serie di grandi traguardi che l’atletica italiana ha recentemente raggiunto, ma il lato mediatico che diffonde queste specialità al grande pubblico fa ancora fatica. «Non è quindi facile trasmettere l’amore per l’atletica. Basterebbe solo renderla più “curiosa” per i giovani». Sono tanti gli italiani che fanno grandi risultati, ma pochi riescono a raggiungere una nomea nazionalpopolare, soprattutto in un paese così calcio-centrico. Ciò vuol dire non solo raggiungere la fama, ma diventare ambasciatori di uno sport agli occhi di tutti, soprattutto di quelle persone che si avvicinano a certe pratiche solo una volta ogni quattro anni. Gli ultimi Giochi Olimpici hanno visto dei traguardi clamorosi per l’atletica italiana. Solitamente sono proprio questi risultati, quasi inimmaginabili, a dare un punto di svolta a un sport. Solitamente le vittorie sono associate a momenti che diventano storici, punti di svolta che intere generazioni ricorderanno per sempre. Si pensi solo all’impresa di Pietro Mennea a Mosca nel 1980, l’Italbasket che in pochi mesi batte il Dream Team Americano e raggiunge l’argento olimpico e l’oro della nazionale di pallanuoto a Barcellona sono solo alcuni degli esempi di vittorie che non solo hanno scosso la coscienza collettiva, ma hanno ispirato generazioni future di talenti e di giovani a iscriversi a sport normalmente meno considerati tanto dai ragazzi, quanto dai genitori. L’accoppiata d’oro generata da Marcell Jacobs a Tokyo nei 100 metri e da Gianmarco Tamberi nel salto in alto può posizionarsi tranquillamente al primo posto tra le più grandi imprese sportive italiane di sempre, specie con l’aggiunta dell’oro nella 4×100. Sarà questo il momento che riuscirà a lanciare l’atletica verso un pubblico più grande, più generalista, o è l’ennesimo fuoco fatuo di cui riparleremo solo in concomitanza dei Giochi con tono nostalgico? «Per me una spinta c’è stata, ma ovviamente ci vuole tempo per raggiungere certi numeri. Parliamo di 5 medaglie d’oro, tra cui nella velocità, una cosa che nemmeno io mi sarei mai aspettata. Nella velocità, te lo giochi tanto sul momento, sulla condizione. Certo, tranne se sei Usain Bolt. Da lì è partito un percorso che abbiamo portato avanti l’anno dopo a Eugene, in Oregon, vincendo due medaglie, e agli Europei di Monaco e più recentemente a Istanbul. Sono certa che che arriverà anche un maggiore riconoscimento a livello mediatico, anche perché la maggior parte degli atleti sono davvero molto giovani e hanno ancora carriere lunghe davanti». 

Tra queste figure da cui passerà il presente e soprattutto il futuro dello sport c’è ovviamente anche quella di Larissa stessa. «Ancora non mi vedo come un modello, è ancora presto per dirlo. Penso ancora di essere una normalissima ventunenne. In realtà quando incontro qualcuno che non mi conosce che mi chiede cosa faccio nella vita, tendenzialmente rispondo che studio e nel frattempo faccio un po’ di sport. Mi tengo sul vago. Se poi proprio mi incalzano lo dico, ma di base me lo tengo per me». Una straordinaria normalità.

Larissa Iapichino indossa maglia PUMA, felpa PUMA, pantaloni Organica Estrusa, scarpe PUMA, accessori forniti da @ytena.

Parlando con Larissa e vedendola muoversi sul set organizzato in una delle sedi del Polimoda si percepisce subito come viva in un limbo tra estrema riservatezza e sicurezza di sé. Iapichino infatti sembra spesso timida, chiusa, salvo poi tirare fuori una forte padronanza e presenza scenica. «Come ti dicevo, non amo le attenzioni. Ho sempre preferito i risultati». Va detto però che lo sport ci insegna un sistema molto semplice: con i risultati, arrivano le attenzioni. «Ho sempre lottato con questo dualismo. Io cerco di creare la mia dimensioni in cui mostro sì me stessa, ma non a chiunque. Ci sono dei momenti in cui mi distacco dai social per concentrarmi su di me o sulle persone che mi circondano, e altri in cui mi mostro maggiormente. Sto ancora capendo come vivere a pieno i miei social». Certo perché quella diffusione dell’atletica di cui si parlava precedentemente, quel raggiungimento di un grande pubblico che passa anche e soprattutto dal risultato degli atleti, ora passa anche molto dai social. Uno dei motivi per cui eravamo abituati a sentire parlare di atletica una volta ogni 4 anni era perché la diffusione di queste discipline era legata all’iter dei media tradizionali. Ora invece, basta appassionarsi di un atleta nello specifico e seguirlo per essere sempre informati sullo specifico sport. «A volte li trascuro un po’ perché sono concentrata su altro e non voglio essere influenzata da nulla, specie a ridosso delle competizioni. Ho avuto anche periodi di “crisi” legati al contatto con i social: parliamo di momenti in cui sono stata molto criticata e tramite i social lo vedi molto di più, se non ci fosse lo schermo sarebbe come prendere degli schiaffi. Passare dal gestire un profilo normale, di una ragazzina che si divide tra scuola, amici e sport, a quello di un’atleta professionista che diventa di conseguenza anche un personaggio subito non è banale».

Il bello degli atleti di oggi e di come i social possono aiutarli a comunicare rispetto al passato sta nel fatto che questi profili consentono a loro di comunicare anche passioni e attività totalmente diverse rispetto a ciò che viene mostrato in pedana o sul campo di allenamento. Larissa Iapichino, ad esempio, studia giurisprudenza. «Ho sempre voluto farla perché mi ha ispirata mio zio che è avvocato. Sentendolo parlare, mi ha sempre affascinato la figura dell’avvocato e l’applicazione della legge, quindi fin da piccola avevo questo obiettivo accademico. Ovviamente non mi sono preclusa nulla, infatti crescendo ho sondato anche altri terreni, ma nessuna mi ha invaghito come la giurisprudenza. Inoltro sono molto pacata, ma se voglio so discutere, so farlo. Non mi piace aggredire, ma dibattere sì. Fortunatamente ho trovato un ateneo che ha un programma per gli sportivi e che mi permetta quindi di studiare e allenarmi. Ci metterò un po’ di più rispetto allo studente medio ma non importa. Per il resto sono una ragazza normalissima di quasi 21 anni. Sono appassionata anche di arte per via di mio nonno che era architetto. Mi piace andare alle mostre e ci sono tantissimi museo che vorrei vedere, tipo il Louvre o il Musée d’Orsay. Si vede forse che voglio andare a Parigi? Vorrei vedere anche il Partenone ad Atene perché da piccola ho sempre amato la mitologia greca».

Da sinistra: Larissa Iapichino indossa maglia PUMA, felpa PUMA, pantaloni Organica Estrusa, scarpe PUMA, accessori forniti da @ytena; nella seconda foto Larissa Iapichino indossa un abito Missoni e scarpe PUMA.

«La moda mi ha sempre appassionata». Non sembra per nulla una frase fatta. Quando Larissa si rapporta con il team di styling e con gli abiti, ha una delicatezza e un interesse naturali che trasmettono senza dubbio il suo legame con quel mondo. «È qualcosa che mi ha trasmesso mia madre fin da piccola, infatti ora mi piace guardare gli abiti, provarli, o vedere anche le sfilate. In occasione delle gare, ad esempio, amo molto truccarmi in modo curato e farmi i capelli. Tra l’altro è un’attività che mi rilassa e mi distrae. Ritengo la moda una forma d’arte, un veicolo per esprimere sé stessi ma anche per dare dei messaggi. Io ad esempio, parlando di social media, uso principalmente Instagram, e il mio obiettivo è di mostrare il mondo con i miei occhi. Quindi anche come mi vesto fa la differenza. Gli scatti che pubblico possono sembrare casuali ma non lo sono mai. Se condivido un tramonto non è solo perché lo trovo bello, ma anche perché ho provato determinate emozioni vedendolo». Quello di dare messaggi tramite la moda è diventato un trend decisamente rilevante negli ultimi anni. Abbiamo visto nomi di altissimo profilo da ogni categoria quali LeBron James, Naomi Osaka e Lewis Hamilton utilizzare l’abbigliamento per lanciare comunicazioni politiche o sociali. «Ho sempre stimato quella tipologia di atleti che riescono a comunicare di essere più di semplici figure sportive. Ancora mi sto formando su quello che voglio condividere col mondo, ma sicuramente la moda è uno strumento di cui mi servirò da questo punto di vista. Poi è normale che il pubblico possa apprezzare o meno, perché con i social è tutto amplificato. Normalmente uno si espone a poche persone, se invece lo fai davanti a milioni, cambia tutto». La saltatrice azzurra fa parte di quella generazione (di atleti e di ragazzi) nati con i social. Già quelli che raggiungono ora l’ultima parte della carriera, gli over 30, non è detto che abbiano avuto familiarità con i social media fin dalla giovanissima età, cosa che invece non si può dire per chi è nato anche solo 10 o 15 anni dopo. Per questo che il punto di vista di Iapichino è particolarmente interessante. «Ormai sono entrata nell’ordine delle idee che apprezzamenti e critiche ci saranno sempre e che, soprattutto, non dipendono da me, quindi ci ho fatto pace. Anche col mio mental coach ci ho lavorato molto».

Larissa ha sempre parlato di come il mental coach sia stato fondamentale nel suo sviluppo. Ciò non è un caso: mai come in tempi recenti si è parlato dello stato mentale e psicologico degli atleti, grazie anche a tanti di loro che si sono esposti per esplicare recenti crisi di ansia al punto tale da averli fatti ritirare da eventi importantissimi per cui si allenavano da anni. «Credo che al giorno d’oggi ci sia molta più attenzione per l’aspetto psicologico degli sportivi, ma anche più rispetto e comprensione per questo ambito dal punto di vista del pubblico. La testa può essere un posto molto insidioso». Il mental coach per me è stato fondamentale negli ultimi due anni perché ho avuto diversi problemi dal punto di vista psicologico. Oggi come atleti siamo molto più esposti alle circostanze positive e negative su base quotidiana rispetto al passato. Forse è per questo che la figura del mental coach diventa così rilevante».

Larissa Iapichino indossa un abito Missoni e scarpe PUMA.

Rispetto a tanti altri Paesi, l’Italia ci ha messo un po’ di più ad accogliere la mentalità dell’atleta attivo nel sociale e coinvolto nell’aspetto psicologico. «Una cosa che so per certo è che in altri Paesi l’atletica ha ben altra considerazione, come ad esempio in Germania o in Inghilterra». Forse anche per questo motivo, questo specifico ambito sportivo è spesso erroneamente considerato secondo Larissa: «Penso che talvolta la gente creda che sia facile fare atletica. Chiaro, è un gesto semplice, ma è il gesto semplice più difficile al mondo. Non è credibile pensare che sia facile correre sotto i 10 secondi nei 100 metri. Io stessa, nei primi due anni in cui ho fatto atletica, non sapevo minimamente come saltare in lungo». Lo stesso si potrebbe dire di Marcell Jacobs: fa sorridere pensare che l’attuale uomo più veloce del mondo sia stato per lungo tempo considerato solo un saltatore in lungo al punto che il suo handle di Instagram è ancora @crazylongjumper. «Io al contrario nasco prima come ostacolista, poi facevo le prove multiple, quindi ho fatto un po’ di tutto, tranne mezzofondo, marcia, disco e martello. Ogni tanto un paio di gare di velocità le faccio ancora, senza impegno, anche perché mi aiuta per migliorare nella rincorsa del lungo. Mi piacerebbe riprendere gli ostacoli, magari i 400. Poi ti dirò, non credo proprio di riuscire a fare lo stesso percorso che ha fatto Marcell».

Project
Outpump x Polimoda
Art Director
Oghenetega "Tega" Agege // Julie Tocariuc
Stylist
Tea Yzeiraj // Elisa Porpora
Stylist assistant
Xuan Du
Stylist coordinator
Veronica Bergamini
Production assistant
Josefa Asteg
Photographer
Mattia Cocci
Photographer assistant
Caterina Stolzi
Mua
Clara Giaccari