Le celebrità amano i pezzi d’archivio

Cercare e acquistare capi d’abbigliamento vintage in mercatini, negozi specializzati o online da piattaforme come Vestiaire Collective è diventato una tendenza, soprattutto tra i giovanissimi che sembrano tenere di più al bene del pianeta Terra mentre agiscono nel loro piccolo e diffondono consigli su piattaforme social. 

Le celebrità hollywoodiane non potevano non cogliere l’occasione ed immergersi, insieme ai loro abili stylist, negli archivi dei brand più amati dal grande pubblico, riportando all’attenzione la bellezza di abiti che erano opere d’arte e che possiedono tutt’oggi una certa capacità di reiterazione, ovvero potere di ritornare, riuscendo a riportare in vita personaggi come Alexander McQueen o Gianni Versace. Indossare capi d’archivio, però, risulta essere una scelta dettata anche dal marketing e non solo dall’estetica o dall’amore dell’operato di uno stilista defunto, poiché l’effetto nostalgia riesce a colpire tutti, anche coloro che sostengono di preferire le novità, senza rendersi conto che la “novità” nel 2022 può essere proprio il vintage. A questo punto il confine tra il nuovo e il vecchio scompare e si creano outfit mixando prodotti degli anni ’80 con quelli dei primi anni duemila o di oggi.


Bella Hadid in un abito di Gianni Versace nel 1987

L’apice di tale ossessione da parte dei vip, specialmente oltreoceano, è stata la decisione da parte di Kim Kardashian e del suo intero team di far indossare alla star dei reality il vestito che Marilyn Monroe sfoggiò al compleanno di John F. Kennedy nel 1962, quando gli dedicò “Happy Birthday Mr. President” creando inconsapevolmente uno dei momenti più indimenticabili della cultura pop.

Colei che ha reso l’archivio qualcosa di interessante per tutti coloro che non erano soliti pensarci è stata Bella Hadid, appassionata di moda e specialmente di “thrifting”, la quale, sempre parlando di icone eterne, ha scelto per un recente evento mondano a NYC un romantico abito del ’59 disegnato da Yves Saint Laurent – quando era a capo di Dior – e visto ai tempi su Jackie Kennedy Onassis, first lady americana e precorritrice delle it-girl. L’ultimo momento, però, in cui ha manifestato la sua passione per i pezzi d’archivio è stato recentemente al festival di Cannes, apparendo sul red carpet con un vestito del nostro Gianni Versace, che lo ideò per Salomé, opera messa in scena al Teatro alla Scala di Milano ed interpretata dal soprano e mezzo-soprano Helga Dernesch. Tutto ciò non potrebbe essere possibile per una persona che non conosce alla perfezione l’operato dei grandi del passato, infatti la modella è aiutata da Law Roach: famoso stylist, ormai celebrità grazie al suo talento, che predilige il vintage a discapito del nuovo.

Cercando di fare colpo sul pubblico, di accalappiarsi articoli e foto in più e di trovare il bello nel passato, è facile perdersi e non riconoscere più il proprio stile, ma questo non sembra essere il caso di Bella Hadid, la quale rispetta quella classicità total black anni ’60, o di Zendaya, aiutata dallo stesso stylist della precedente, la quale tradisce Valentino Garavani preferendo colori gioiosi alla serietà come per l’abito del ’56 firmato Balmain e scelto per i NAACP. È fondamentale, infatti, attenersi al proprio gusto perché il pubblico non esita a trovare ed evidenziare gli errori altrui e il matrimonio di Kourtney Kardashian e Travis Barker, sponsorizzato da Dolce&Gabbana e curato dallo stesso, ne è l’esempio. Tutto il clan Kardashian, seppur si sia impegnato a selezionare solo il meglio del florido archivio di Stefano Gabbana e Domenico Dolce, come Kendall Jenner che ha scelto una rivisitazione del famoso abito del ’96 indossato l’anno successivo da Monica Bellucci proprio a Cannes, ha ricevuto notevoli commenti contrariati sia per lo sfarzo di cattivo gusto sia per l’incongruenza tra lo stile delle cinque plurimilionarie e i pezzi scelti, sebbene le sorelle Jenner siano state le più coerenti.

Kendall Jenner in un abito di Dolce&Gabbana del 1996

Non solo haute couture ed eleganza anacronistica, ma ritornano anche vestitini, denim e pellicce grazie a figure come Miley Cyrus che per il suo recente press tour ha deciso di portarsi una valigia piena di vecchie novità, questa volta senza affidarsi a Gucci di cui è brand ambassador. Anche il mitico John Galliano, stilista che ha dominato gli anni ’90 e ’00 quando lavorava da Dior, è tornato ad essere visto su star del calibro di Rihanna attraverso pellicce coloratissime – scelta contraddittoria poiché potrebbe spingere ad acquistare capi fatti di pelli animali così come invogliare ad investire su prodotti già creati – ma anche grazie a mini-dress e Saddle Bag intramontabili. Perciò non si guarda al passato solo per la chicness ma anche per il casual e ciò può essere a favore delle battaglie ecologiche combattute dalla Gen Z.

La domanda a questo punto sorge spontanea: come mai le celebrità, le quali possono avere tutto, prediligono il vecchio – che lo è solo temporalmente – al nuovo? Semplicemente perché sono più trendy e innovativi i vestiti vintage piuttosto che quelli contemporanei. D’altronde, è più che logica questa ricerca nel passato a discapito del presente poiché gli attuali fashion designer cavalcano continuamente vecchie tendenze e rimandano lo spettatore a collezioni e sfilate datate senza porsi il problema di creare una nuova estetica che renda il nuovo millennio apprezzabile, e non come l’Y2K; anche se qualche rivoluzionario ce l’abbiamo e fortunatamente lo apprezziamo proprio per il suo essere controcorrente ed estremamente attuale, piacendo o meno. 

Il fashion system oggigiorno non è decadente tantomeno privo di talenti validi, ma è nostalgico e questa è colpa del periodo storico che stiamo vivendo, in cui possiamo affermare di aver vissuto momenti epocali che stanno segnando l’uomo lasciando ricordi positivi e negativi, i quali si riversano nell’arte che ci rappresenterà. Nelle situazione più critiche guardiamo indietro e non puntiamo al futuro perché è più difficile vederlo. Nulla di nuovo, però, visto che è sempre accaduto così e intanto sarebbe giusto sperare, anche attraverso la moda e invenzioni meno attaccate a ciò che “è stato”.