Cercare di immaginare come appariranno le città del futuro non è cosa affatto semplice, soprattutto in un contesto in cui le tecnologie si evolvono rapidamente e l’incertezza della nostra stessa presenza sul pianeta Terra è sempre più concreta. Ci troviamo in un periodo storico terribilmente unico che, a causa del nostro aggressivo operato dell’ultimo secolo, ci pone di fronte a veri e propri bivi: c’è sempre meno tempo per pensare ed è sempre più determinante prendere le decisioni corrette per imboccare quell’unica strada che, a differenza delle altre, non si interrompe bruscamente affacciandosi su un burrone. Di conseguenza, i grandi settori che rendono disponibili le risorse fondamentali al funzionamento del mondo in cui viviamo, come quello petrolifero per fare un esempio, non sono gli unici a dover subire radicali cambiamenti nella propria impostazione.
Tra le numerose industrie a cui è richiesto di saper virare verso nuovi orizzonti più sostenibili compare ovviamente anche l’architettura, una delle più antiche discipline abituate a sfruttare l’ingegno umano per risolvere i problemi e che, per sua natura, deve porsi sempre qualche passo avanti rispetto al normale corso delle cose. È proprio l’architettura, infatti, che con il suo costante mutare, può dare prontamente risposte brillanti e risolute, grazie anche a una buona dose di innovazione tecnologica che avviene al suo interno. A questo punto dovremmo quindi poter riuscire ad abbozzare una minima risposta a questa domanda: come saranno fatte le città del futuro? Beh, probabilmente con dei grattacieli di legno.
È vero, detta così potrebbe sembrare affrettata come risposta e decisamente poco credibile, soprattutto pensando al panorama urbano al quale siamo tutti abituati: singole abitazioni e palazzine in calcestruzzo armato, alti edifici e grattacieli in ferro e vetro a cui si aggiunge, per ultimo, un vasto impiego di massicce pietre e laterizi. Insomma, del legno sfruttato come elemento costruttivo e strutturale sembra non esserci traccia e alla mente, al massimo, si palesano immagini prevalentemente di ambienti interni, contesti nei quali siamo decisamente più soliti vedere concretamente applicato tale materiale. Ciò, però, non significa che il legno non abbia già trovato in passato ampio uso nell’edificazione di strutture abitative e che, come la storia dell’architettura ci insegna, anche i materiali più inaspettati – per una determinata epoca – possano diventare i principali fautori di un nuovo modo di costruire, fino ad affermarsi come assoluti standard.
Di questa tendenza, che caratterizza lo sviluppo dell’arte di plasmare gli spazi, gli ultimi due secoli ne sono un esempio perfetto, a partire proprio dal vasto impiego di legno che ha caratterizzato l’800 americano. All’inizio del XIX secolo, infatti, oltreoceano si diffonde il “balloon frame”, un sistema costruttivo basato sulla creazione di uno scheletro ligneo: un’ossatura composta da assi modulari in legno estremamente facili da montare in cantiere, economici e di agevolato reperimento. Attorno a questa “struttura a pallone”, poi, venivano installati tutti gli altri elementi utili alla finalizzazione dell’abitazione, facendo sì che in brevissimo tempo si riuscisse a rispondere all’elevata domanda di case, nata sopratutto nel periodo della corsa alla conquista dei territori verso la West Coast. Gli Stati Uniti dunque, grazie alla disponibilità di legno sul proprio territorio, hanno originariamente optato per un’architettura che coniugasse l’utilizzo di risorse del luogo, con la necessità di un ridotto impatto economico e ambientale in fase di costruzione, riuscendo a delineare una tecnica edilizia le cui tracce sono ancora oggi evidenti nella tradizione americana.
Successivamente, con il passare del tempo, si è iniziato a vedere sempre più frequentemente che nuovi materiali, giudicati avveniristici e inadatti alla realizzazione di strutture, grazie a coraggiose menti potevano dimostrare la propria rilevanza nel riparametrizzare le regole ormai assodate. Nel 1851, per esempio, succede qualcosa che rompe gli equilibri nell’intero mondo dell’architettura: a Londra, in occasione della Great Exhibition, un costruttore di serre di nome Joseph Paxton realizza il Crystal Palace, un colossale edificio letteralmente montato all’interno di Hyde Park e costituito esclusivamente da ferro e vetro. Era la prima volta che il ferro veniva usato così prepotentemente in architettura e, come solitamente accade, generò una bufera di critiche, ma anche gli apprezzamenti dei più lungimiranti. Il Crystal Palace ricoprì il ruolo di pioniere per quelli che sarebbero stati gli edifici emblematici della Seconda Rivoluzione Industriale, uno fra tutti la Torre Eiffel del 1889, della quale tutti conosciamo le vicissitudini. Con un salto di qualche decina di anni giungiamo poi a un altro importante cambio di rotta per l’architettura, quando, dagli anni ’20 del Novecento, iniziano a materializzarsi le prime costruzioni in calcestruzzo armato, caratterizzate da un materiale che ancora oggi facciamo fatica ad abbandonare: il cemento. Uno dei primi architetti che lo riuscì a sfruttare secondo le sue massime potenzialità strutturali fu Le Corbusier, come dimostrano i primissimi progetti Maison Dom-ino e Maison Citrohan. E sempre Le Corbusier inaugurò, un po’ in anticipo coi tempi negli anni ’50, la stagione del Brutalismo, ovvero quella tendenza architettonica tipica degli anni ’60 e ’70 che mostra il cemento per come è realmente, grezzo e senza maschere che ne nascondano l’estetica fredda e minacciosa.
Ecco che, se in un lasso di tempo non troppo esteso, si è potuto registrare un rapido susseguirsi di nuovi materiali, inizialmente criticati ma poi accettati e largamente sfruttati fino a totalizzare l’intero settore, oggi è utile interrogarsi su cosa potrà riservarci il futuro in quanto ormai noto che non si possa più contare unicamente sul cemento e sul ferro, a causa dell’impatto negativo che il loro impiego presuppone. E a dir la verità, non è poi così remota l’idea di trovarsi a ridosso di un ulteriore cambio radicale che investirà l’architettura: il ritorno del legno in grande scala, per grattacieli e non solo per piccole abitazioni. Queste considerazioni, sia chiaro, non scaturiscono da ipotesi e speculazioni puramente fantasiose ma al contrario si basano sulla realtà dei fatti, ovvero quella che, negli ultimi anni, vede aumentare il numero di sperimentazioni e di risultati ottenuti utilizzando il legno come principale materiale per grandi edifici. Di certo, quando pensiamo a un materiale che possa mantenere in piedi un grattacielo, non ci viene in mente il legno, ma ciò è dovuto al fatto che del materiale abbiamo ancora una visione troppo superficiale. Negli ultimi anni, infatti, ne sono stati sviluppati nuovi derivati caratterizzati da proprietà fisiche a dir poco eccezionali. Un esempio è il CLT (Cross Laminated Timber), ovvero un laminato a strati incrociati che oggi risulta il più impiegato nell’edificazione di architetture, anche colossali.
E, nonostante ci possa apparire controintuitivo, utilizzare il legno a fini strutturali è un’operazione a cui dovremmo fare l’abitudine, poiché porta con sé numerosi vantaggi dal punto di vista della sostenibilità. Per prima cosa il legno possiede una differenza fondamentale rispetto al ferro e al cemento: la leggerezza. È proprio questa a consentire una sostanziale riduzione dell’impatto che la costruzione di edifici ha sull’ambiente: le fondamenta dei grattacieli possono essere meno profonde, i processi industriali per la produzione del legno hanno consumi ridotti, il trasporto della materia prima è molto più semplice. Costruire edifici in legno non solo permette di ridurre l’impronta ambientale dell’intero processo a monte, ma fa sì che si traggano vantaggi anche successivamente, come una maggiore durata nel tempo e uno smaltimento altrettanto sostenibile (il legno può essere smaltito come biomassa per la generazione di nuova energia). Infine, potrebbero sorgervi leciti dubbi sull’effettiva costruzione di grattacieli in legno: saranno veramente resistenti? La risposta è sì, sia da un punto di vista dell’assorbimento e tenuta di sollecitazioni sia rispetto al pericolo di incendio dato che, a differenza di quello che immaginiamo, le fiamme difficilmente arrivano a bruciare l’interno di materiali lignei molto compatti che, oltretutto, vengono appositamente trattati. Detto ciò, però, non possiamo fare a meno che notare un’incongruenza: la sostenibilità tanto millantata da un’architettura di questo tipo, può essere ottenuta solo a discapito di un utilizzo di legno in quantità spropositate, che facciamo ancora fatica a immaginare. È fondamentale, dunque, porsi anche il problema di un sano reperimento della materia prima, poiché dell’aggressiva deforestazione ne stiamo ancora oggi pagando le conseguenze. Il maniacale controllo delle foreste e la tutela della corretta ripiantumazione degli alberi tagliati, saranno pratiche fondamentali per un’effettiva realtà in cui tutti gli edifici verranno costruiti in legno.
Ora non ci rimane altro da fare che passare in rassegna qualche esempio di questa nuova tendenza, che forse prenderà il sopravvento nei prossimi decenni.
Sara Kulturhus
Il Sara Kulturhus è un nuovissimo centro culturale dedicato alla scrittrice svedese Sara Lidman e collocato a Skellefteå, un piccolo paese nel nord della Svezia. Progettato dallo studio d’architettura White Arkitekter, quello che è diventato uno dei grattacieli di legno più alti del mondo, è stato ufficialmente terminato nel settembre del 2021. Per la sua realizzazione è stato impiegato legname proveniente dalle regioni territoriali limitrofe alla cittadina, mentre la lavorazione dello stesso è avvenuta a soli 60 km di distanza, riducendo così al minimo i costi e l’impiego di risorse. Alto 75 metri e con 30.000 metri quadrati spalmati su 20 piani, l’edificio è interamente costituito da legno e pensato per autoalimentarsi grazie a pannelli solari, batterie e pompe di calore.
Mjøstårnet
Affacciato sul Lake Mjøsa, il lago più grande della Norvegia, spicca Mjøstårnet concepito da Voll Arkitekter nel 2019. Poco a nord di Oslo, dunque, troviamo un altro esempio delle possibilità strutturali che il legno offre dato che la “torre del lago Mjøsa” (questo il significato di Mjøstårnet in norvegese), si erge per un’altezza di 85,4 metri e per il luogo rappresenta un chiaro segno dell’interesse volto a costruire in maniera più sostenibile. La struttura ospita numerosi spazi adibiti ad altrettante funzioni: un piano terra pubblico con una lobby e un ristorante, mentre ai piani superiori si trovano uffici, appartamenti, stanze per eventi e molto altro. La torre, infine, termina con una struttura reticolare sempre in legno, che aiuta l’architettura a fondersi maggiormente con il circostante paesaggio mozzafiato.
HoHo
HoHo è il nome del grattacielo di legno nel quale ci si può imbattere passeggiando per le strade di Vienna. In soli 3 anni, dal 2016 al 2019, il progetto di RLP Rüdiger Lainer + Partner ha visto la propria realizzazione, arricchendo sin da subito lo skyline della capitale austriaca con i suoi 84 metri di altezza. Lungo l’intero sviluppo dei 24 piani che costituiscono HoHo – dal tedesco “holzhochhaus” ovvero “grattacielo in legno” – è possibile trovare un nucleo centrale realizzato in cemento che lascia spazio, però, alla restante componente strutturale in legno, il 75% del totale. Basato sulla modularità e sul massimo grado di prefabbricazione degli elementi costruttivi, il grattacielo offre un nuovo modo di concepire l’architettura anche all’interno di città ampie e sviluppate come Vienna.
T3
Anche alberi morti a causa di insetti possono trovare un valido impiego nell’edilizia. A dimostrarlo c’è T3 (timber, technology and transit), un imponente palazzo da 7 piani ideato dallo studio canadese Michael Green Architecture e situato a Minneapolis, USA. Ultimato nel 2016, l’edificio è stato eretto utilizzando solai, colonne e travi esclusivamente in legno e rappresenta un valido esempio di come anche strutture destinate al lavoro e alla produttività, possano assumere caratteri sempre più sostenibili. Il legno è tanto presente esternamente, nelle pennellature a copertura e protezione dell’edificio di colore brunastro che si alternano ad ampie vetrate, quanto internamente dove gli elementi strutturali sono lasciati a vista.
W350
Concludiamo con quello che forse è il progetto più ambizioso ancora da realizzarsi. Si tratta di W350, il grattacielo giapponese che punta a divenire il più alto nel suo genere. Con 350 metri di altezza, si staglierà su Tokyo non prima del 2041, anno in cui è prevista la sua ultimazione per celebrare i 350 anni di attività della Sumitomo Forestry, la compagnia che ha commissionato l’immane opera. Il grattacielo di 70 piani, progettato dal Sumitomo’s Tsukuba Research Laboratory insieme allo studio Nikken Sekkei, sarà anche l’edificio più alto del Giappone e consisterà in una incredibile costruzione a scheletro ligneo, che comporrà il 90% dell’intero sistema strutturale.