Le coreografie hanno segnato la stagione delle coppe europee

Con la finale di Champions League tra Real Madrid e Liverpool di sabato scorso si è conclusa la stagione delle coppe europee, tornate nuovamente tre con l’introduzione della neonata UEFA Conference League. Un’annata in cui è aumentata e non poco l’offerta di match infrasettimanali a disposizione degli appassionati e una nuova formula che ha dato l’opportunità a tantissime altre squadre (e di conseguenza, intere Nazioni) di essere attivamente coinvolte nelle competizioni e di diventare protagoniste sul panorama continentale. Allo stesso tempo la maggior parte dei club poco abituati a figurare tra i partecipanti ha onorato la scelta dell’UEFA di rendere il calcio più inclusivo aumentando il numero delle squadre ammesse di diritto (80 fino alla stagione 2020/2021, 96 adesso) sfruttando questa occasione per mettersi in mostra al di fuori dei confini nazionali e ritagliarsi un ruolo che, altrimenti, che non avrebbero potuto costruire. Questa operazione è stata possibile non soltanto grazie ai risultati ottenuti nel corso dei tornei, ma soprattutto grazie alla partecipazione dei tifosi, capaci di esaltare l’heritage delle loro squadre semplicemente attraverso il tifo.

Se c’è qualcosa che ha veramente contraddistinto le tre competizioni, o che è le ha segnate in maniera abbastanza ricorrente specialmente nella fase clou, quelle sono state le coreografie. Più che un gol o una giocata, infatti, sono state le creazioni dei gruppi organizzati ad essersi prese la scena, contribuendo alla costruzione di un immenso patrimonio visivo da poter tramandare. Partecipare alle coppe europee “secondarie” (soprattutto all’inedita Conference League, appena introdotta e dall’appeal ancora ignoto) ha dato la possibilità ad alcuni club di riaffacciarsi in Europa dopo anni vissuti un po’ in ombra e riconquistare uno status che sembrava perduto, e spettacolarizzare la propria presenza è stato il minimo da fare per celebrare il momento, consapevoli di stare attraversando una situazione temporanea che potrebbe anche non ricapitare presto.

L’esempio più luminoso è quello delle due finaliste di Europa League, l’Eintracht Francoforte e il Rangers Football Club: due squadre gloriose ma da tempo lontane dai riflettori, che sono state capaci di diffondere partita dopo una partita un’immagine maestosa di loro stesse, esprimendo la versione migliore della loro identità sportiva attraverso la fantasia e il supporto della Nordwestkurve del Deutsche Bank Park e della Broomloan Stand di Ibrox. Il colpo d’occhio, la viralità ottenuta sui social e l’ammirazione per l’atmosfera che alcune squadre sono state in grado di creare sono riusciti ad autoalimentare un movimento più diffuso, ispirando, se possibile, altre realtà sparse per l’Europa desiderose di non sfigurare e di dimostrare, anzi, tutto il loro potenziale.

Oltre al voler comunicare il sentimento di amore nei confronti dei propri colori e condividere il semplice fatto di esserci, tra i fattori di questa manifestazione di orgoglio può essere ricompreso anche il prolungato periodo di chiusura degli stadi, che ha represso per parecchi mesi le abitudini di tanti ultras. Originali coreografie sono state mostrate da squadre storicamente meno famose per questo genere di spettacoli come il Real Madrid, mentre sono state molto più frequenti nella Conference League, anche per via del fatto che tre club con tifoserie molto “calde” come Roma, Feyenoord e Olympique Marsiglia sono arrivati fino in fondo. In questi casi ha anche influito parecchio il set dove le coreografie sono state organizzate: lo Stadio Olimpico, il de Kuip e l’Orange Velodrome pieni di gente si sono infatti dimostrate delle location ideali.

In riferimento al contenuto delle coreografie si è visto praticamente di tutto: dediche a calciatori attualmente in rosa, simboli e frasi in latino, provocazioni a tifoserie rivali e anche contestazioni più serie ed esplicite come l’ormai ricorrente slogan “UEFA Mafia” apparso a Marsiglia. Non sono mancati gli omaggi a eventi o a personaggi del passato, vedi lo Zar Pietro il Grande ricordato dai supporters dello Zenit lo scorso ottobre, in occasione della gara contro la Juventus, o a bandiere appena decedute come Gerd Müller, celebrato sia dai tifosi del Bayern Monaco che da quelli dell’Eintracht.