Quando la t-shirt diventa manifesto

Cosa succede se uno dei primi artisti apertamente gay della scena hip hop americana decide di indossare una t-shirt dal significato antidiscriminatorio in occasione di un importante festival musicale? Nel 2017 una semplice maglietta con slogan a caratteri bold ha detto al mondo che la ghettizzazione non dovrebbe avere voce, trasformando inconsapevolmente Frank Ocean nell’apripista di un nascente e sentito fenomeno collettivo volto all’apertura mentale, alla consapevolezza e soprattutto alla narrazione. 

“Why be racist, sexist, homophobic, or transphobic when you could just be quiet?” ci ha domandato un uomo tipicamente riservato, senza aver realmente parlato. Negli ultimi anni la necessità di dar voce ai propri pensieri è diventata sempre più prorompente, e le t-shirt sono un ottimo mezzo.

Le famose magliette con gli slogan simboleggiano la perfetta trasposizione del cambiamento sociale sul capo popolare per eccellenza: la t-shirt. E in un presente in cui i consumatori sono sempre più assetati di tendenze, sballottati tra un social e l’altro, spesso ignari e disinteressati nei confronti di ciò che indossano, vediamo l’indumento più di culto della storia insinuarsi nei nostri armadi attraverso un rifacimento particolare. Ovviamente ognuno di noi ha sempre indossato magliette – quindi perché parlarne tanto? – ma in questo caso si ruota attorno a un vero e proprio fenomeno che ha interessato i più disparati settori: tra band musicali, sfera politica e college americani.

Ben oltre l’“I’m a virgin, but this is an old t-shirt” di Britney Spears, dietro questo tipo di magliette si nasconde una storia poco conosciuta che si dirama nei giorni nostri grazie ai profili social come Good Shirts e ai tentativi disastrosi di Ye di buttarsi nell’universo degli slogan – errare è umano, perseverare è Mr. West, nonostante avesse già indossato un cappello con “Make America Great Again” in caps lock.

Ma facciamo un salto indietro nella Londra degli anni ‘60 quando negozi come Mr. Freedom sulla King’s Road rievocano la libertà dell’era Swinging su quelle che saranno le prime slogan tees della storia. ll fondatore Tommy Roberts e il designer Roger Lunn realizzano una collezione di t-shirt con scritte e motivi che si rivela un enorme successo tra la gioventù inglese, grazie anche all’esplosione dell’amore libero e della fervente cultura pop.

Roberts è il primo a unire il mondo della moda al contesto fiabesco della Disney, ottenendo una licenza esclusiva per creare magliette con i loro personaggi dei cartoni animati, una mossa vincente che darà vita a un lungo e redditizio legame. La coppia ha addirittura realizzato una collezione ispirata alla sfera zodiacale dove a fare da testimonial è presente niente meno che Mick Jagger. Amate e indossate dalle celebrità, le slogan tee negli anni vedono la loro evoluzione e proliferazione.

Ma il passo successivo è stato quello di trasformare questo capo in un portatore di messaggi socialmente attivi: il luogo è sempre Londra, ma i designer sono Vivienne Westwood e Malcolm McLaren. In una città contraddistinta da colori candidi e femminilità nascente vediamo, a fare da contraltare, una maglietta trasformarsi in tela bianca per un’ideologia spiccatamente punk e sovversiva che si occupa di tutto ciò che può essere scomodo, dalla religione al fascismo. 

“La t-shirt è diventata il mezzo per il messaggio” così recita un articolo del New York Times del 1973. Ma è con il decennio degli ’80 che assistiamo a una vera e propria svolta politica enfatizzata da una presa di coscienza collettiva. Questa mania torna nuovamente nel mirino grazie al contributo di Katharine Hamnett, le cui magliette erano un po’ come cartelloni nel bel mezzo di un corteo. La prima creazione è nata nel 1983, con la famosa tee dallo slogan “CHOOSE LIFE” in risposta alla guerra. Indossata da George Michael nel videoclip di “Wake Me Up Before You Go-Go” degli Wham!, anche questa volta l’approvazione e l’influenza delle celebrità ha rappresentato una carta vincente. Dal semplice brano dalle sonorità dance pop che funge da portatore di un messaggio politico alla Hamnett in prima fila che incontra il Primo Ministro Margaret Thatcher indossando una maglietta con la scritta “58% DON’T WANT PERSHING”, in riferimento all’opposizione pubblica per i missili Pershing.

Sicuramente l’accessibilità economica e la sua adozione diffusa l’hanno resa un simbolo per l’attivismo dello scorso secolo: gli studenti di Harvard nel 1968 hanno indossato magliette contro la guerra durante i loro sit-in, mentre il Black Panther Party le ha usate come mezzo di propaganda. Infine, l’ennesima riprova c’è stata qualche anno fa con le proteste del Black Lives Matter.

Da quando lo scrittore F. Scott Fitzgerald ha utilizzato la parola “T-shirt” per la prima volta nel suo romanzo del 1920 “This Side of Paradise”, questo semplice capo ha acquisito un’importanza sempre maggiore rappresentando il perfetto esempio di come la moda possa offrire molto più del “semplice” abbigliamento. Le t-shirt sono anche una tela per trattare temi sensibili come quello dell’AIDS, e a dimostrare ciò c’è una storica foto di Nelson Mandela che indossa una t-shirt bianca con un copy che recita “HIV POSITIVE”.

Le slogan tee iniziano a ritagliarsi uno spazio nell’universo del fashion – pur mantenendo uno scopo di base – e diventano uno strumento abbastanza comune durante la settimana della moda per i designer che desiderano fare dichiarazioni esplicite attraverso le loro collezioni. Se nel 2006 Marc Jacobs ha pubblicato una serie di t-shirt con varie celebrità in posa nude per esprimere il suo appoggio alle persone affette dal cancro della pelle, nel 2017 Maria Grazia Chiuri da Dior è scesa in difesa dei diritti delle donne presentando la famosa “WE SHOULD ALL BE FEMINISTS” – citazione della scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie, icona della lotta al sessismo. 

Ma l’uso del testo nella moda non deve necessariamente essere politico per avere valore, diverse sono infatti le proposte che puntano sull’ironia dando vita al nuovo guilty pleasure della Gen Z. Forse è proprio per questa vena irriverente e simpatica che stanno prendendo tanto piede, oltre al fatto che le nuove generazioni amanti del second-hand hanno la possibilità di trovare t-shirt di questo tipo molto facilmente, accaparrandosi pezzi unici senza dover necessariamente puntare sull’high fashion.

“È il mio compleanno e tutto ciò che ho ricevuto è stata questa costosissima maglietta di Vetements”

Su TikTok e Instagram, questa moda mista a ironia e insolenza attira un gran numero di visualizzazioni e mi piace, ogni pensiero è buono per essere riportato su una maglietta, che sia una grafica sfacciata o semplicemente il nome di qualche università americana. 

Quando Eddie Murphy si è presentato sul grande schermo nel ruolo del poliziotto Axel Foley in Beverly Hills Cop, nessuno avrebbe mai pensato che il pubblico sarebbe impazzito per la sua maglietta della Mumford High School – facendo vendere tutte le 500 t-shirt disponibili nel giro di una settimana. Lo stesso legame tra cinematografia e slogan tee ha sempre appassionato i fan e anche oggi dà vita a infinite collaborazioni.

In più, celebrità degli anni 2000 come Lindsay Lohan con la sua “Skinny bitch” e Paris Hilton con l’iconica e discussa “Stop Being Poor” – recentemente dichiarata essere un fake che rimarrà lo stesso nei libri di storia – hanno enfatizzato la vena tipicamente pop e irriverente di questa tendenza, che non a caso ad oggi rimane predominante. Che sia la “I love me” t-shirt presa nel negozio di souvenir o il merch di un concerto di qualche cantante random – Gigi D’Alessio annesso – perché non dare sfogo alla nostra weird “aesthetic”?

Del resto, cosa c’è di più bello di indossare una maglietta che possa parlare al posto nostro? Che abbiano un significato politico e socialmente attivo o uno stupido claim cringe e imbarazzante, le slogan tee sono dirette e concise, in grado di esprimere con poche parole significati più o meno importanti. Se oggi esiste un’affermata tendenza – altalenante nel tempo – è giusto capire perché un semplice capo di cotone abbia in qualche modo fatto la storia nel mondo della moda.