La prematura morte di Paolo Rossi è una perdita che ha toccato da vicino tutta l’Italia del pallone: l’eroe del Mondiale spagnolo vinto dagli Azzurri nel 1982, divenuto poi opinionista e volto televisivo negli ultimi anni della sua carriera, aveva girato tanti club italiani a cavallo degli anni ‘80 regalando ovunque ricordi magnifici. Se quelle più celebrate sono sicuramente le stagioni trascorse con Vicenza e Juventus, se non altro per i successi europei e la conquista di uno storico Pallone d’Oro, il suo breve passaggio al Perugia (interrotto dalla squalifica per la vicenda del calcioscommesse del 1980) ha comunque lasciato il segno in maniera definitiva. Rossi, prima ancora di diventare Pablito, ha infatti contribuito in maniera indiretta a scrivere la storia del calcio italiano con la nascita delle prime sponsorizzazioni sulle maglie da gioco.
Sul finire degli anni ‘70 il Perugia è sicuramente uno dei club più prestigiosi d’Italia, ha uno stadio nuovo di zecca e ha costruito una società forte e ambiziosa grazie alle qualità del dirigente pugliese Franco D’Attoma. Nonostante lo shock per la morte di Renato Curi, riesce a terminare la stagione di A 1978/1979 da imbattuta, guadagnando il titolo di “Perugia dei miracoli”. A questa squadra serve qualche ritocco per confermarsi tra le grandi del campionato, ed è proprio allora che l’ex presidente decide di puntare sull’attaccante più chiacchierato del momento, reduce dai Mondiali di Argentina ‘78, Paolo Rossi. Ma per convincere il Vicenza a lasciarlo andare serviva uno sforzo economico non indifferente (500 milioni annui per il prestito) ed ecco che allora a D’Attoma venne in mente l’idea che avrebbe rivoluzionato per sempre il calcio italiano.
Non ci voleva credere nessuno a questo affare… comprare Rossi con i soldi degli altri. Noi abbiamo trovato un paio di ditte che ci sponsorizzeranno per intero l’affare, non ci rimetteremo una lira, anzi ne guadagneremo sopra considerando i prevedibili aumenti sia degli incassi sia degli abbonamenti.
Franco D’Attoma a La Stampa, 14 luglio 1979.
L’idea delle sponsorizzazioni sportive si stava sviluppando un po’ ovunque, in realtà. A Braunschweig, per esempio, la squadra locale dell’Eintracht aveva deciso già nel 1972 di apporre sulle proprie maglie lo stemma commerciale della nota azienda tedesca di liquori, Jägermeister, ottenendo 100 mila marchi per fargli pubblicità. Ma anche in Italia stava nascendo qualcosa di simile dopo la nascita del sodalizio tra la Lanerossi e il Vicenza, risalente addirittura al 1953, per il quale il club veneto iniziò a portare lo stemma del lanificio sul petto. Infatti ci aveva provato anche l’Udinese, che per iniziativa del presidente Teofilo Sanson decise di far stampare il logo dell’azienda di gelati di sua proprietà sui pantaloncini.
Per ottenere i soldi per concludere l’affare Rossi, D’Attoma studiò un piano differente, accordandosi col gruppo alimentare IBP (Buitoni-Perugina) per utilizzare il logo del pastificio Ponte sulle divise da gioco in cambio di 400 milioni. Tutto avvenne per la prima volta in occasione della sfida di Coppa Italia tra Perugia e Roma, il 26 agosto del 1979, anche se in quell’occasione l’unico a non vestire la maglia griffata Pasta Ponte fu proprio Rossi, che aveva già un accordo personale con un’altra azienda alimentare, la Polenghi Lombardo.
Il debutto delle maglie sponsorizzate da un’attività commerciale, per quanto illegale (espressamente vietato dall’art. 16 del regolamento federale che contemplava infatti la possibilità di poter inserire sulle maglie, per un massimo di 12 centimetri quadrati, soltanto il nome dello sponsor tecnico) segnò in ogni caso un turning point clamoroso nella storia del marketing applicato allo sport. Visto il divieto e la conseguente multa di 20 milioni, D’Attoma dovette solamente preoccuparsi di aggirare la norma con un escamotage, creando una linea sportiva fittizia che denominò “Ponte Sportwear” rendendo dunque possibile l’esposizione del marchio sulle maglie dei calciatori, proprio sotto al simbolo del Grifone.
D’Attoma aveva infatti capito alla perfezione la portata futura di questa intuizione e proseguì con il suo progetto di valorizzazione del brand e sfruttamento dell’immagine a scopi economici, apponendo il nome dello sponsor su altri prodotti sportivi come tute e altri indumenti di gioco dei biancorossi e perfino sulle reti e sull’erba dello stadio che nel frattempo era diventato il “Renato Curi”. Da lì a qualche mese, la Lega Nazionale Professionisti autorizzò il Perugia a scendere in campo col marchio pubblicitario sulle maglie, concedendo di fatto il via libera non soltanto alla squadra umbra (che dunque fece un secondo debutto, questa volta regolare, il il 23 marzo 1980), ma a tutte le altre squadre italiane attraverso un regolamento diramato ufficialmente nel 1981 dalla FIGC.