Viviamo tempi strani. Il più grande tour operator per fissare prenotazioni negli hotel non possiede nemmeno un albergo. La più grande compagnia per trasporti privati non possiede nemmeno un taxi. O ancora: quello che è visto come il più grande e geniale imprenditore moderno sta riuscendo nell’impresa di mandare in rovina un social network globale che pareva inscalfibile a colpi di scelte gestionali scellerate una dietro l’altra (e pure con le sue valide macchine elettriche, beh, se la passa un po’ meno bene che un tempo, dopo aver sperperato molta cassa per dare vita ad un mammut su ruote di dubbia commerciabilità).
Succede anche nell’ecosistema musica che questa irrazionalità regni sempre più spesso sovrana, creando cortocircuiti bizzarri. Tipo che il miglior investimento di un musicista per la sua carriera sempre più spesso pare sia quello di non esserci, quello di non suonare, o almeno di non farlo sotto l’egida per cui è diventato famoso davvero (sfornando invece altri progetti meno convincenti); come bonus, è consigliabile passare – quando è possibile – il tempo a litigare e/o a lanciare frecciate e frecciatine su social e media contro i propri ex compagni d’avventura. I tour più pagati e più di successo sono sempre più spesso, oggi, quelli di artisti che non fanno uscire un disco da decenni. Quasi che fare dischi (e farne di buoni), fare nuova musica ed essere una band che va banalmente d’amore e d’accordo fosse una cosa da perdenti. Una banalità da non valorizzare, da non valutare.
C’è un divertente filo rosso che lega l’Italia al mondo, fatte le debite proporzioni: se noi abbiamo avuto i CCCP, che con la loro reunion semi-improvvisa hanno sbaragliato ogni aspettativa e fatto numeri che mai si sarebbero sognati di fare manco per sbaglio all’apice della loro vera carriera, e se esattamente lo stesso è successo per i Club Dogo, ecco che ora il globo intero ha a che fare con la notizia che sì, gli Oasis si rimettono assieme: evviva.
I dati precisi sono ancora tutti da confermare, ma sono monstre: si parla di dieci date a Wembley a Londra e dieci ad Heaton Park a Manchester, più una comparsata da headliner a Glastonbury, questi sono i rumour. Per il “disturbo”, sul piatto sono stati messi 50 milioni di sterline: cifra che avrebbe fatto sì che i due fratelli Gallagher, campioni olimpici di sputtanamento ed insulto reciproco prima, durante e dopo lo scioglimento del loro sodalizio, improvvisamente ritrovassero accettabile il fatto di condividere la vita sul palco in tour di nuovo.
Se per Liam e Noel sia solo questione di soldi o anche di altro, forse non lo sapremo mai davvero. Bisognerebbe stare nelle loro teste, o in quelle dei loro commercialisti. Quello che possiamo fare però è interrogarci su una cosa ben precisa: perché improvvisamente, o forse nemmeno tanto improvvisamente, sentiamo noialtri pubblico tutto questo spasmodico bisogno di rivedere sul palco gente che artisticamente si era separata e che in più interviste aveva detto che non era granché interessate a tornare fare cose con gli ex colleghi? Come se le parole degli artisti non le prendessimo sul serio. A Gué non importava tanto rimettere insieme i Dogo, Ferretti disprezzava la possibilità di avere di nuovo i CCCP nella sua vita. A noi invece sì. Tantissimo. Morbosamente tanto, numeri alla mano.
C’entra la nostalgia, ovvio. Voler rivedere i propri eroi al massimo del potenziale, ok, ma non solo: il cinquantenne/sessantenne che torna a rivedere i CCCP e il trentenne/quarantenne che torna a rivedere i Dogo si sente di nuovo il ghepardo o la gheparda ventenne di una volta. Siamo sempre più abituati ad ottenere le emozioni velocemente e facilmente (i social servono in primis a questo): quindi troviamo fantastico che ci sia un metodo apparentemente “facile” e divertente per farci tornare indietro nei nostri ricordi migliori e più baldanzosi. Gli Oasis poi avevano costruito un seguito non solo mondiale ma anche generazionale molto forte dal punto di vista emotivo – con la scusa di essere i “nuovi Beatles”, cosa di cui l’industria discografica prima inglese e poi mondiale aveva drammaticamente bisogno – quindi nel loro caso il tornare in pista diventa anche un dimostrare che certe emozioni, certi slogan e certe isterie non erano vacue, sono invece ancora valide, possono interessare ancora, possono entusiasmare ancora, non ci eravamo insomma solo fatti ingannare dai meccanismi di seduzione del pop globale pilotati dalle major. Se impazzivo per gli Oasis allora, per dimostrare di essere coerente devo impazzirci ancora adesso – non erano mica una boy band, loro! Anche se sono diventati famosi globalmente in maniera sospettosamente veloce, dopo un disco solo…
The Ticketmaster Queue when Oasis Tickets go on sale pic.twitter.com/HR8h19qDN3
— Berty (@fatladrunningco) August 25, 2024
C’è però forse anche qualcos’altro. Esattamente come un tempo gli artisti più amati e desiderati erano quelli degli eccessi (la rockstar strafottente e drogatissima), una maledizione questa che via via ci ha portato via tantissimi grandi talenti da Jim Morrison fino ad Amy Winehouse (e che stava per farlo anche con Dave Gahan dei Depeche, per fare un nome di uno che se l’è cavata), una volta che si è diffusa un minimo di consapevolezza su quanto sia importante la salute mentale per i nostri idoli si è dovuto trovare qualcos’altro che mettesse del pepe, che solleticasse insomma la nostra piccola morbosità tascabile, ingrediente che non può mancare nei cinici meccanismi di creazione di valore del pop globale.
Andiamo a vedere i Rolling Stones o Bruce Springsteen o Paul McCartney come mai prima – e pagando come mai prima – anche perché ci affascina vedere se questi pensionati reggeranno ancora a fare il gioco del leone indomabile sul palco, pur essendo in età da INPS e oltre; accorriamo alle date di CCCP e Dogo anche per vedere se Giovanni Lindo deriderà gli altri o Gué resisterà alla tentazione di fare il superiore con Jake e Don Joe; i tanti soldi che spenderemo per i biglietti di una delle date della reunion degli Oasis in buona parte saranno spesi perché gli Oasis ci piacciono e/o ci incuriosiscono, ok, ma ammettiamolo, una parte di noi pensa al brivido di poterli vedere litigare sul palco, o comunque al piacere della visione di come possano comportarsi insieme su un palco due persone, anzi, due fratelli che hanno passato due decenni a mandarsi affanculo pubblicamente, come in una gigantesca soap opera intrisa di humour nero e brutale sarcasmo working class britannico. Sai che figata se si mandano affanculo di fronte a centomila persone! E magari lo fanno pure mentre abbiamo lanciato la diretta su Instagram per i nostri amici!
Nessuno degli artisti sopracitati ha fatto uscire delle cose artisticamente mirabolanti ed entusiasmanti, negli ultimi anni. I Dogo avrebbero mietuto dieci sold out al Forum anche non ci fosse stato un disco nuovo di mezzo, quella è più una giustificazione che hanno dato a sè stessi – per onestà artistica e personale – per rimettersi assieme. In generale, a parte poche eccezioni (Kendrick, Beyoncé, Taylor Swift e Rosalia) i più grandi campioni nazionali ed internazionali di vendita di biglietti dei loro concerti sono tali per motivi non strettamente musicali.
La verità, forse, è che se gli Oasis non si fossero mai sciolti e se avessero continuato a fare dischi buoni come il primo anno dopo anno, oggi un loro tour verrebbe quotato dieci milioni di sterline, non cinquanta, a stare larghi; e se per giunta nemmeno fossero stati così litigarelli fra loro, una loro serie di concerti varrebbe in questo momento ancora meno sul mercato, farebbe diciamo più o meno fatica ad arrivare a cinque. Divertente, no?
…divertente di sicuro. Ma siamo sicuri che la reunion degli Oasis sia, razionalmente, la cosa migliore che possiamo sperare?