L’estetica dei distributori di benzina

Sono entrati a far parte delle iconiche tele di Edward Hopper, che ne ha saputo evidenziare la desolazione quotidiana. Sono stati accuratamente ritratti dalla lente di Luigi Ghirri, che li ha incontrati lungo la via Emilia per offrire un ritratto autentico della loro presenza. Più recentemente, alcuni dei loro elementi caratteristici sono stati impiegati da Virgil Abloh come sculture sull’orlo del baratro all’interno della mostra Figures of Speech. Potrebbe sembrare strano, ma stiamo parlando dei distributori di benzina, quelle entità in cui l’architettura è stata messa al servizio delle nuove esigenze della società nate durante il secolo scorso. Così, alla sempre crescente diffusione dei mezzi di trasporto dotati di motore a scoppio, è seguito un necessario impegno nella realizzazione di quei luoghi in cui le automobili, per prime, si sarebbero potute rifornire durante il viaggio. Nonostante si tratti di spazi incredibilmente trascurati dalla considerazione delle persone, nascosti e dimenticati dietro la patina dell’utilità e dell’abitudine, portano con sé una storia che affonda le proprie radici alla fine del XIX secolo e che ha visto prendervi parte architetti di fama mondiale, capaci di dare vita a piccoli capolavori on the road.

“Gas”, Edward Hopper (1940)

Tutto ha inizio con l’avvento su strada delle prime automobili al termine del 1800. Queste, oltre a rappresentare una comoda alternativa per muoversi all’interno della propria città, più velocemente rispetto alle carrozze e senza la fatica di una lunga camminata, pian piano iniziano a offrire la possibilità di spingersi alla volta di viaggi più lunghi. Complice il progressivo miglioramento dell’affidabilità dei motori, le automobili cominciano a diffondersi e, come è logico immaginare, diventa necessario che si provveda alla presenza di tappe in cui riempire il serbatoio e, magari, fare una piccola pausa per riposarsi e mette qualcosa sotto i denti. È così che alle farmacie, che originariamente vendevano il carburante al pari di altri beni, si sostituiscono quelli che oggi chiamiamo volgarmente “benzinai”: nascono le pompe di benzina, capaci di travasare direttamente il liquido all’interno del serbatoio con un semplice gesto, e si sviluppano le stazioni di servizio, dotate di strumenti per la manutenzione delle auto e di piccoli punti vendita in cui acquistare cibo e bevande.

La presenza dei distributori di benzina diventa considerevole solo a partire dagli anni ’20 del Novecento, periodo in cui l’industria automobilistica inizia a sfornare esemplari standardizzati ed economici, tra i quali spicca la celeberrima e vendutissima Ford T (1908-1927). Dovranno passare ancora un po’ di decenni, però, per assistere al boom economico del secondo dopoguerra che, per la maggior parte dei paesi occidentali, si è tradotto nella motorizzazione di massa e che ha reso possibile la costruzione di quella che oggi possiamo definire una vera e propria rete di stazioni di servizio diffusa sul territorio. Un reticolo di piccole architetture che, se viste con attenzione, si mostrano al centro di una situazione unica nel proprio genere: edifici, spesso di ottima qualità progettuale, vengono ampiamente utilizzati senza nemmeno farci caso e vanno incontro a una vita effimera, in quanto non dispendiosi da costruire e facili da smantellare. Ma da cosa deriva tutto ciò?

Per capirlo dobbiamo partire dal ruolo che i distributori di benzina ricoprono nella nostra vita e come si relazionano con il tessuto urbano circostante, evidenziando subito, quindi, la loro natura da “non-luoghi”. Grandi centri commerciali, autostrade, aeroporti, sono tutti esempi di “non-luoghi”, ovvero spazi architettonici che non vengono vissuti nel vero senso della parola, ma che si configurano esclusivamente come aree e ambienti di passaggio. Ciò li rende freddi, impersonali e difficili da decifrare e, proprio per questo, non si instaura una relazione empatica tale da farceli ricordare o tenerli in considerazione. Così tendiamo a non prestarci attenzione e a sfruttarli esclusivamente secondo la funzione per la quale sono stati realizzati. Pensateci bene: quando andate a fare rifornimento e siete presi dalla fretta di giungere a destinazione, quante volte vi siete soffermati sul distributore di benzina? Probabilmente non avete nemmeno fatto caso al logo dell’azienda dalla quale avete acquistato il carburante.

Per questi motivi, i distributori di benzina sono da sempre stati un campo fertile di sperimentazione progettuale, da un lato con l’obiettivo di attirare visivamente l’attenzione lungo la strada, dall’altro lato con la libertà di spingersi oltre i limiti convenzionali dell’architettura, che spesso vincolano lo sviluppo degli edifici da sempre presenti e ampiamente codificati. A un primo momento in cui ogni distributore veniva affrontato come un progetto a sé stante, è necessariamente seguita una tendenza alla loro standardizzazione, in modo tale da ideare un modello che potesse essere messo in atto potenzialmente ovunque. Tuttavia, soprattutto negli Stati Uniti sono nati distributori di benzina decisamente stravaganti e fuori dagli schemi, in alcuni casi caratterizzati dall’estetica googie, in altri dall’esuberanza e tendenza al kitsch.

Stazione di servizio Sinclair a Spring Hill, Florida (1979)

Se analizzate da un punto di vista prettamente progettuale, queste architetture possiedono alcune caratteristiche che le distinguono nettamente dal resto degli altri edifici. Per prima cosa, a livello strutturale prevedono sempre l’elaborazione del rapporto tra pieno e vuoto: è necessario coprire ampie metrature senza intralciare la corretta circolazione dei mezzi all’interno della struttura. Così, l’elemento più logico da sfruttare diventa la pensilina che si staglia in cielo a volte sorretta da colonne o pilastri, a volte completamente a sbalzo su un piazzale lasciato libero in pianta. Da non trascurare, inoltre, è il ruolo della grafica e della comunicazione visiva che spesso ricopre ogni angolo della struttura. I loghi e i colori delle compagnie che distribuiscono carburante assumono un ruolo chiave per l’immediata identificazione del brand al quale l’automobilista vuole affidarsi. L’aspetto più interessante, però, è che questi edifici nel corso del tempo sono diventati oggetto delle sperimentazioni dei grandi protagonisti dell’architettura, che hanno voluto cimentarsi nell’ideazione di piccoli capolavori su strada. È per questo che abbiamo raccolto una piccola selezione degli esempi più significativi.

Esso gas station – Mies van der Rohe

Situato in una piccola isola della città di Montreal in Canada, il distributore di benzina di Mies van der Rohe rappresenta un inno all’architettura del movimento moderno. La celebre frase pronunciata dall’architetto “Less is more”, si addice compiutamente al progetto realizzato nel 1966 sotto commissione dell’Imperial Oil, che è stato restaurato nel 2011 dallo studio di architettura FABG salvandolo dalla rovina. Gli inconfondibili elementi strutturali in ferro nero compongono una struttura che sembra sospesa nel vuoto, al centro della quale si trovano gli spazi di transito dei veicoli per accede alle pompe di benzina. Su entrambi i lati, invece, sono presenti due spazi chiusi che fungevano da piccoli negozi per la stazione di servizio.

Skovshoved petrol station – Arne Jacobsen

Padre delle iconiche sedute Egg e Serie 7, Arne Jacobsen ha progettato un distributore di benzina durante gli anni ’30 nei pressi di Copenaghen. Ancora operativa, l’opera dell’architetto e designer danese si è da subito affermata come un piccolo gioiello architettonico. Da un piccolo edificio rivestito in ceramica dalle linee squadrate e ampie vetrate, si sviluppa una pensilina circolare che si collega a una sola colonna centrale. Di certo non invulnerabile alle più forti piogge, la struttura a fungo è presto diventata un elemento riconoscibile che Jacobsen ha saputo far dialogare con l’imperante colore bianco, decisamente inusuale per il tipo di edificio.

Stazione AGIP di viale Certosa – Mario Bacciocchi

A Milano, lungo viale Certosa, troviamo una delle stazioni di servizio più importanti sulla nostra penisola. Si tratta di un progetto dell’architetto Mario Bacciocchi che, all’inizio degli anni ’50, viene assoldato dal fondatore di Eni per realizzare una serie di edifici per l’azienda. Tra questi spicca sicuramente il distributore di benzina dall’estetica streamline che, come una nave o una navicella spaziale, slanciandosi sulla strada offriva carburante agli automobilisti milanesi. Sfruttando il linguaggio formale delle auto in voga alla metà del secolo scorso, Bacciocchi ha dato vita a un edificio diventato rappresentativo della modernità della Milano del secondo dopoguerra. Oggi, invece, il destino della stazione di rifornimento è stato preso in mano da Garage Italia di Lapo Elkann, che l’ha convertita in un atelier creativo dove mettere le mani sull’elaborazione di macchine.

Fiat Tagliero – Giuseppe Pettazzi

Per conoscere il prossimo distributore di benzina, ci dobbiamo spostare direttamente nella capitale dell’Eritrea. Ad Asmara, durante il ventennio fascista, arrivarono anche le stazioni di servizio delle compagnie italiane e, tra queste, ne venne costruita una dall’architetto Giuseppe Pettazzi per la Fiat. La singolarità? Si trattava di un edificio fuori dagli schemi, le cui forme riprendevano quelle di un aereo mentre lo stile si articolava come binomio tra una proiezione verso il futuro e il rigore e la monumentalità delle architetture del regime. 

Repsol Service Station – Foster + Partners

Ottimo esempio di un’efficace traduzione di una brand identity in un’architettura è il progetto guidato da Norman Foster per la società spagnola Repsol. L’obiettivo era proprio quello di ridefinire l’immagine aziendale in modo che trasparisse dalle proprie stazioni di servizio sparse sul territorio. Così lo studio dell’architetto inglese ha deciso di concentrare la propria attenzione sulle pensiline piuttosto che sull’edificio del punto vendita. Il risultato è stato lo sviluppo di un sistema modulare di strutture che, più che pensiline, sembrano degli ombrelli squadrati caratterizzati dalle cromie del brand: realizzati in altezze diverse, possono sovrapporsi per creare composizioni sempre diverse in funzione del sito di costruzione e, contemporaneamente, offrire un buon riparo nel momento del rifornimento.